Se è vero, come dicono fonti anonime citate dal “Financial Times”, che il presidente russo Vladimir Putin avrebbe perso interesse nei negoziati di pace, è al sud dell’Ucraina che bisogna guardare. Anche perché sono quasi tre settimane che non ci sono sviluppi significativi dal punto di vista diplomatico, più meno da quando il ministro degli esteri Lavrov ha annunciato che il suo esercito si sarebbe ritirato da Kiev “come segno della buona fede russa nelle trattative”. Oggi tutti gli analisti che avevano sbandierato l’imminente fine della guerra e la debolezza del Cremlino dovrebbero forse riflettere sulle false speranze che hanno diffuso nell’opinione pubblica Occidentale e sull’importanza della prudenza nelle valutazioni di questo conflitto. Anche perché sembra che all’indomani della Pasqua Ortodossa siamo già ai proclami sulla “guerra che durerà per mesi, forse anni”. Da un estremo all’altro. Partiamo dalla teoria.
L’ipotesi che Putin voglia ricongiungere il suo territorio con quello della Transnistria è reale? Se guardiamo alle dichiarazioni di Rustam Minnekaev, vicecomandante del distretto militare centrale della Federazione Russa, sembrerebbe di sì. “Il controllo del sud dell’Ucraina” ha dichiarato Minnekaev il 22 aprile, “è un altro modo per raggiungere la Transnistria, dove ci sono anche prove che la popolazione di lingua russa viene oppressa”. A tre giorni di distanza, mentre il mondo guarda ancora a Mariupol, un video diffuso su Telegram dall’emittente separatista moldava Tsv (citata dalla russa Tass) e alcune dichiarazioni stampa hanno fatto sapere che nei pressi del ministero per la sicurezza statale di Tiraspol si sono registrate diverse esplosioni. Tiraspol, capitale dell’autoproclamato territorio separatista della Transnistria, dista poche decine di chilometri dalla frontiera ucraina e non è difficile immaginare chi sarà incolpato per quest’attacco dai media russi e filo-russi. Senza falsa ingenuità potremmo aggiungere che la ricerca di un pretesto per un intervento armato non è certo una strategia inedita e che l’assenza di fonti verificabili rende il contesto estremamente difficile da comprendere. Tuttavia, nonostante nessuna fonte ufficiale moldava o ucraina si è ancora espressa, vale la pena ricordare che attualmente si stima che in Transnistria siano di stanza 1.500 soldati russi, oltre a diverse centinaia di miliziani locali. Kiev teme che la regione possa essere usata come base di lancio per nuovi attacchi e come scalo per incursioni di paracadutisti in territorio ucraino e ha più volte allertato il governo moldavo a tale proposito. Ma, sia Chisinau, sia le autorità separatiste hanno sempre negato. L’attacco di oggi, ammesso che si tratti di un attacco, potrebbe essere il primo (o il definitivo) pretesto per un intervento armato dalla Transnistria verso l’Ucraina.
Tuttavia, al momento, questo scenario è reso improbabile dal fatto che le truppe russe sarebbero accerchiate da sud dalle difese di Odessa e da nord da quelle dell’Ucraina occidentale ed, eventualmente, di Kiev. Più probabile che a Tiraspol si osservi la situazione e si valuti in virtù delle evoluzioni lungo la linea costiera del Mar Nero. E a questo punto non si può non giungere alla seconda domanda, che sul fronte sud tutti si pongono da qualche giorno, ma Putin davvero vuole arrivare a Odessa? Nessuno lo sa, gli analisti Occidentali dicono che il Cremlino è interessato ai territori fino alla Crimea, quindi fino a Kherson. Gli odessiti, dopo il secondo attacco missilistico, questa volta caduto anche su dei civili inermi, non ne sono più così convinti. Se l’affondamento dell’incrociatore “Moskva” aveva rassicurato rispetto all’eventuale sbarco che si paventava fin dal 24 febbraio, gli ultimi giorni hanno tolto ogni tranquillità agli abitanti della “Mama Odessa”, così come la chiamano i suoi figli che prima della guerra erano di ogni nazionalità e, soprattutto, sia ucraini sia russi. Le sirene in città non sono più una sorpresa e i passanti non le trattano più con non leggerezza, anche le poche automobili che circolano di sera accelerano rumorosamente quando le sentono mentre i colpi della contraerea sono sempre più frequenti. Un ulteriore elemento da aggiungere a questo quadro molto complesso è la possibilità dell’apertura di una nuova linea di contatto a Kryvyi Rih, la città natale di Zelensky. Già un mese fa i russi avevano tentato uno sfondamento verso la città con due o tre battaglioni tattici che però erano stati respinti verso il fiume Dniepr.
Ieri, Oleksandr Vilkul, il capo dell’amministrazione militare di Kryvyi Rih, ha dichiarato “le forze russe si preparano ad attaccare e che l’offensiva è prevista nei prossimi giorni”. L’indiscrezione è frutto di alcune rivelazioni satellitari e di circolari dell’intelligence che hanno segnalato significativi raggruppamenti di truppe russe “in preparazione di una potenziale offensiva lungo due direttrici”; tuttavia, secondo Vilkul, “la città è assolutamente preparata” a respingere un eventuale attacco. In questa parte dell’Ucraina la città di Kryvyi Rih ha una posizione strategica fondamentale, a metà strada tra Dnipro e Zaporizhzhja da un lato, e Kherson e Mykolayiv dall’altro.
Proprio quest’ultima, che fino a oggi ha rappresentato il baluardo difensivo della costa controllata dalle forze ucraine e ha pagato un prezzo altissimo in termini di bombardamenti e sofferenza per la popolazione civile, potrebbe essere tagliata fuori da una manovra come quella appena illustrata. Il comando operativo ucraino del sud ha fatto sapere che alle prime luci dell’alba di lunedì i suoi soldati hanno impedito l’avanzata di alcuni gruppi di sabotaggio e ricognizione russi verso il sud dell’oblast, “arrecando pesanti perdite di effettivi al nemico”. Le fonti russe non si sono espresse in merito, ma nella zona di Mykolayiv sono settimane che gli scontri tra manipoli di fanteria proseguono senza sosta quindi la notizia non ha nulla di incredibile. L’ultimo tassello è costituito da Kherson. Domani si voterà per il referendum indetto dall’amministrazione occupante russa in cui si deciderà per l’indipendenza dell’oblast dal governo di Kiev.
Zelensky ha già fatto sapere che la proclamazione dell’indipendenza di Kherson è una condizione invalidante per la continuazione dei negoziati di pace. Oggi la città sarebbe stata bombardata, secondo il Cremlino dall’esercito ucraino, secondo gli ucraini da carri armati russi sotto mentite spoglie che avrebbero come obiettivo quello di “screditare l’Ucraina mediante falsi attacchi”. In serata, inoltre, i dipendenti ucraini dell’amministrazione regionale di Kherson sarebbero stati allontanati in blocco dal palazzo dalla polizia militare russa. Non è semplice sapere cosa stia succedendo davvero a Kherson ma ciò che è certo è che l’esito di questo voto potrebbe cambiare definitivamente il corso del conflitto. *Articolo apparso su “Il Manifesto” del 26 aprile
Sabato Angieri