Durante il discorso alla parata per la Vittoria, che celebra la sconfitta della Germania nazista nella II Guerra Mondiale il presidente russo Putin non ha annunciato la mobilitazione generale né la proclamazione della legge marziale. La sua spiegazione dell’intervento militare in Ucraina si può sintetizzare con la frase: “dovevamo intervenire in Ucraina prima che la situazione diventasse troppo pericolosa per la nostra sicurezza nazionale”. Tuttavia, dopo quasi tre mesi di guerra, sembra che la strategia di Mosca si stia orientando sempre più verso la conquista delle parti degli oblast di Luhansk e Donetsk ancora sotto il controllo ucraino e verso il controllo della costa del Mar Nero fino a Kherson. Quest’ultima è l’unica città controllata in modo stabile dai russi al momento e da settimane si parla di un referendum che dovrebbe decidere sull’indipendenza della regione dal governo di Kiev. Nel frattempo, l’amministrazione occupante ha iniziato a introdurre il rublo russo per pagare le pensioni e si pensa che l’uso di tale valuta sarà presto esteso a tutti i commerci.
Quanto (non) si sta lavorando per la pace?
La frase del presidente francese, Emmanuel Macron “la sconfitta della Russia non può passare attraverso la sua umiliazione” suona come un insolito richiamo alla ragionevolezza in un momento in cui non si fa altro che parlare di soluzione militare. Da quasi un mese non si nominano più i trattati di pace e le delegazioni russa e ucraina non si sono più incontrate. Eppure la situazione umanitaria continua a peggiorare. A quando un nuovo incontro per trattare il “cessate il fuoco”? Perché l’Occidente non lavora in questo senso invece di soffiare sul fuoco?