Se tutti stiamo cercando una colpa per la morte del giovane runner vi diamo un piccolo spoiler: la risposta è meno scontata di quello che sembra.
5 aprile 2023. Siamo a Caldes, piccola località del Trentino. Un ragazzo di 26 anni, Andrea Papi, va a correre nel bosco e fa un incontro sfortunato: un’orsa, forse con i suoi cuccioli. L’orsa lo aggredisce e disgraziatamente lo uccide. È la prima volta che in Italia un uomo muore per mano, o per meglio dire zampa, di un orso.
L’opinione pubblica sentenzia: morte all’orsa. Così viene pronunciata la sentenza per lei, colpevole già in passato di avere aggredito nel 2020 due persone, padre e figlio, sul monte Peller. Oltre a loro, pare, anche un ciclista lo scorso anno. È pericolosa, è recidiva: abbattiamola.
È possibile che la responsabile di questo tragico esito sia tutta di questo animale? Questo il suo identikit: JJ4, femmina, una dei tre orsi considerati “problematici” in Trentino. Segni particolari: non è un esemplare autoctono. In altre parole: non è di qui, sebbene ci sia nata.
Appartiene, infatti, alla prima generazione di orsi importati dalla Slovenia per ripopolare le Alpi. I suoi genitori, Joze e Jurka, in Italia ci sono stati portati dall’uomo. Merito, o per meglio dire colpa, del progetto di ripopolamento Life Ursus.
Non è inusuale che l’uomo, anche in Italia, decida di importare specie estere per ripopolare le proprie campagne, vallate e boschi. Un esempio per tutti è quello del ripopolamento dei cinghiali, ma ne parleremo più avanti.
Dalla Slovenia all’Italia: il caso di Daniza
Il suo nome ha fatto discutere per mesi: vi ricordate dell’orsa Daniza? Fu portata in Italia nel 2000 dalla Slovenia proprio come i genitori di JJ4 e nell’ambito dello stesso progetto di ripopolamento al quale loro facevano capo: Life Ursus.
A settembre del 2014 aggredì un cercatore di funghi, Daniele Maturi, nei pressi di Pinzolo (Trento). Subito si accesero i riflettori sul pericolo rappresentato dagli orsi in Trentino. Il WWF si espresse a favore di un monitoraggio costante del comportamento dell’orsa, senza confinarla in un recinto.
Il comportamento di Daniza non destò certamente sorpresa negli addetti ai lavori. Come Joanna Schönenberger, esperta di orsi dei Wwf della catena alpina, che dichiarò: “Non è un comportamento anomalo. La persona ha sorpreso l’orsa, entrando nello spazio vitale di una madre con dei piccoli. L’orsa e i piccoli si sono sentiti minacciati, e la risposta della madre è molto spesso di aggressione”. Come andò a finire è cosa tragicamente nota: Daniza fu anestetizzata e, per colpa dei narcotici, morì. Lasciando orfani due cuccioli, che erano la ragione per la quale aveva commesso l’aggressione che la condannò a morte.
Ancora una volta, andando alla radice del problema, troviamo l’uomo in qualità di importatore di specie animali non autoctone nel nostro territorio.
Il posizionamento delle associazioni: la LAV e Massimo Vitturi
Ma torniamo a JJ4. Come prevedibile, anche in questa occasione le associazioni animaliste si sono subito schierate dalla parte dell’orsa, proponendo misure alternative all’abbattimento. Tra queste la LAV, Lega Anti-Vivisezione, che si era schierata al fianco di JJ4 già nel 2020.
Abbiamo parlato con il Responsabile Area Animali Selvatici della LAV, Massimo Vitturi, che ha chiarito il punto di vista dell’associazione in merito alla vicenda Papi. Queste le sue parole: “Sulla base delle conoscenze scientifiche, noi umani non rappresentiamo una preda degli orsi, ma destiamo in loro paura e preoccupazione. Non essendo possibile ricostruire la dinamica dell’incidente che è costato la vita ad Andrea Papi, riteniamo che quanto accaduto potrebbe corrispondere ad un normale comportamento dell’orsa che potrebbe essersi sentita minacciata dalla presenza del ragazzo, e avere reagito di conseguenza anche in considerazione del fatto che potrebbe essere stata accompagnata dai suoi cuccioli”.
Vitturi ha fatto presente che la LAV ha “già fornito alla provincia di Trento e al Ministero dell’Ambiente la disponibilità di due santuari situati all’estero” per JJ4 e per gli altri orsi che sono stati condannati a morte. In Trentino, a suo dire, “la provincia dovrebbe cominciare a realizzare un serio programma di educazione e informazione dei cittadini trentini che abbia come obiettivo la convivenza pacifica attraverso la conoscenza dei comportamenti da adottare nelle zone abitate dagli orsi, al fine di prevenire possibili incidenti”.
Questa campagna della provincia dovrebbe includere “un progetto di comunicazione a vari livelli che abbia come obiettivo la ricostruzione dell’orso “culturale” tra i cittadini, con aggiornamenti costanti circa la presenza degli orsi, le misure da adottare per prevenire incidenti; la restrizione alla circolazione in aree particolarmente critiche; la creazione di app di geolocalizzazione; programmi formativi con gli studenti delle valli; creazione di processi partecipati per l’adozione delle misure migliori accettate da tutti i portatori d’interesse”.
Prevenire incidenti come questi non è difficile. Vitturi ricorda: bisogna “essere sempre consapevoli che l’incontro con un orso è oramai una cosa non impossibile; evitare di uscire dai sentieri; tenere il cane al guinzaglio; fare normale rumore ed evitare di essere troppo silenziosi”. Altri accorgimenti utili: “non abbandonare rifiuti alimentari sul territorio per evitare che l’orso metta in relazione la presenza del cibo con l’odore dell’essere umano. Se si incontra un orso evitare di fuggire, gridare, correre, aggredirlo: l’orso è un animale pauroso e questo comportamento non farebbe altro che incrementare la sua paura e quindi costringerlo a un atteggiamento difensivo per mettere in fuga la minaccia rappresentata dalla presenza dell’essere umano”.
Certo, la convivenza con l’uomo di specie come orsi, cinghiali e lupi desta grande preoccupazione ma, secondo Vitturi, non bisogna dimenticare i fucili dei cacciatori: quelli che “nei quattro mesi e mezzo della scorsa stagione venatoria hanno causato 60 feriti e 19 morti”.
Tornando al caso di JJ4, la LAV ha chiesto di poter portare l’orsa in un rifugio sicuro per salvarla dall’abbattimento. Dopo ha intenzione di chiedere “al Ministero di costringere la provincia ad attuare il progetto di comunicazione di cui già nel 2002 era stata deliberata la necessità e di cui si parla anche all’interno del Pacobace (Piano d’azione interregionale per la conservazione dell’orso bruno nelle Alpi centro-orientali, ndr), che invece è utilizzato solamente per giustificare uccisioni e catture di orsi”.
Nel frattempo è arrivata una buona notizia per JJ4 e per tutti i plantigradi del Trentino: il 14 aprile il Tar di Trento ha sospeso l’ordinanza di abbattimento dell’orsa. Mandando su tutte le furie il Presidente della Regione autonoma del Trentino-Alto Adige Maurizio Fugatti, convinto sostenitore della mozione abbattimento. Fugatti ha poi presentato una seconda ordinanza, anch’essa respinta. Il Tar ha deciso: ogni decisione in merito è rinviata all’11 maggio.
Poco dopo la sospensione dell’ordinanza, tuttavia, JJ4 è stata catturata con l’ausilio di una trappola di tubo insieme ai suoi tre cuccioli, dai quali è stata subito separata: anche questa scelta ha sollevato polemiche che tardano a spegnersi. Al momento, la loro madre è detenuta in un recinto elettrificato le cui immagini sono state mostrate da La7.
Intanto, l’opinione pubblica prende posizione. A pronunciarsi contro l’abbattimento dell’orsa è stata anche la famiglia della sua vittima. Queste le parole del padre di Andrea Papi, il runner ucciso da JJ4: “La vita dell’orsa JJ4 non ci restituirà nostro figlio. Troppo comodo cercare di chiudere questa tragedia eliminando un animale, a cui non può essere imputata la volontà di uccidere”.
Proteggersi dagli attacchi: le misure legislative
A Trento, il 5 luglio del 2018, si pensò di risolvere la situazione dei potenziali attacchi da parte di animali selvatici così: approvando un nuovo disegno di legge, dal quale ha tratto ispirazione anche la Provincia Autonoma di Bolzano. Il suo contenuto: è possibile catturare e, se necessario, abbattere gli esemplari di lupi e orsi che verranno considerati più problematici. Ma l’abbattimento non può essere considerato una risoluzione del problema.
Inoltre bisogna ricordarsi che in Italia, da Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 viene riconosciuto che “la salvaguardia, la protezione e il miglioramento della qualità dell’ambiente, compresa la conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche, costituiscono un obiettivo essenziale di interesse generale perseguito dalla Comunità”.
Non solo orsi: lupi e cinghiali
Di recente, non si è sentito parlare solo di aggressioni da parte di orsi. Qualche giorno dopo l’attacco fatale nella Val del Sole, una donna è stata aggredita da un lupo a Porcari, in provincia di Lucca. È stata morsa alla mano e a un avambraccio, poi l’animale è fuggito. C’è chi assicura di aver avvistato interi branchi di lupi in quella zona.
Un episodio analogo è avvenuto lo stesso giorno, sempre l’11 aprile, in provincia di Como, nel Parco regionale della Spina Verde: un uomo di 34 anni è stato aggredito e si è salvato arrampicandosi su un albero. Presumibilmente da due cinghiali.
Eppure, le aggressioni sono meno frequenti di quello che potrebbe sembrare e non bisogna farsi accecare dai riflettori dei media.
L’entità del problema: orsi e altri animali selvatici
In effetti, i dati parlano di un numero di aggressioni esiguo, sia nel mondo che in Italia. Giulia Bombieri, ricercatrice del MUSE (Museo delle Scienze di Trento, ndr), ha condotto studi proprio su questo tema. Il più recente è stato pubblicato su PLOS Biology e mostra, tra le altre cose, la frequenza delle aggressioni da parte dei grandi carnivori nel mondo.
Questi i numeri nel dettaglio, nell’arco di un lungo periodo che va dal 1950 al 2019: un totale di 5.440 casi di attacco in tutto il mondo. Di questi, 1.337 riguardavano orsi labiati, 1.047 tigri, 765 orsi neri asiatici, 664 orsi bruni, 414 lupi, 403 orsi neri americani, 282 leoni, 205 leopardi, 140 coyote, 135 puma, 25 giaguari e 23 orsi polari. In altre parole, quelli riconducibili a una qualsiasi specie di orso sono stati, in 69 anni, 3.192. Di queste, solo una piccola percentuale ha portato alla morte delle vittime.
Inoltre, nel 2019, Bombieri ha pubblicato su Nature uno studio incentrato proprio sugli attacchi degli orsi bruni. Stando ai dati riportati, riguardanti il periodo 2000-2015, in Europa si sarebbero verificati circa 10 attacchi all’anno (in totale 291). Di questi, solo il 6% ha causato la morte della vittima.
La proliferazione dei cinghiali: un’emergenza nazionale
Mentre il Trentino se la vede con gli orsi, nel resto d’Italia ci sono loro: i cinghiali. Cinghiali che proliferano e si riproducono ad altissima velocità, creando diversi problemi: tra questi, la devastazione dei campi agricoli.
In Piemonte, in tempi molto recenti, è stato firmato un protocollo d’intesa tra Coldiretti Torino e l’Associazione di protezione civile per la salvaguardia e gestione della fauna mirato proprio a contenere questa problematica. Coldiretti Torino ha comunicato che “nei primi mesi del 2023 sono stati abbattuti circa 600 cinghiali in provincia di Torino durante le operazioni di controllo della specie”. Gli agricoltori sono disperati: solo nel 2022, sono arrivate a Coldiretti richieste di rimborsi danni per oltre 800.000 euro.
Analoghe situazioni si riscontrano anche altrove. In Emilia Romagna, Stefano Rebecchi, agricoltore a Roveleto Landi (Piacenza), lamenta migliaia di euro di danni causati dai cinghiali. “Hanno devastato tutti i 17 ettari che avevo seminato a mais”. I numeri dell’invasione li ha ricordati Roberto Gallizioli di Coldiretti Piacenza: “L’Italia è invasa da 2,3 milioni di cinghiali nelle città e nelle campagne”.
Il problema del sovrappopolamento è insorto negli ultimi 50 anni. All’inizio del Novecento i cinghiali erano presenti solo in poche zone d’Italia: la Maremma Tosco-laziale, il Gargano, l’Abruzzo, l’Appennino Calabro-Lucano e la Sardegna. Cinquant’anni fa, per incrementare la caccia, si è deciso di ripopolare queste zone con cinghiali di origine centro-europea, che sono più grandi e onnivori oltre che in grado di adattarsi facilmente.
Questa operazione ha avuto un grande successo e ha portato alla proliferazione di cinghiali in molte zone dell’Italia, anche vicino e all’interno delle città. Una misura per limitarne la proliferazione è stata presa solo tre anni fa, vietando l’immissione di nuovi cinghiali.
In Trentino come a Yellowstone? Proprio no
Torniamo agli orsi. Ad alimentare il dibattito su di loro ha contribuito anche il giornalista Beppe Severgnini, che giustamente ha fatto un confronto tra il celeberrimo parco statunitense di Yellowstone, noto per i suoi orsi grizzly (e reso celebre dal cartone animato dell’Orso Yoghi) e la Val di Sole: nel primo “gli orsi ci sono sempre stati”, nel secondo “ci sono stati riportati”.
Inoltre c’è una differenza importante anche in termini di dimensioni: mentre il celebre parco si estende su una superficie di ben 9.000 km, la Val di Sole ricopre un’area di soli 600 km quadrati. Area che in estate si riempie di turisti, esacerbando le difficoltà di convivenza tra plantigradi, residenti e persone di passaggio.
Comunque anche a Yellowstone c’è stato un considerevole incremento dei grizzly: al punto che nel 2018 si è acceso il dibattito sulla possibilità di cacciare gli esemplari in esubero. Durante l’amministrazione di Donald Trump, il Wyoming aveva autorizzato la caccia all’orso. Anche nel suo parco più grande.
Poi è arrivata la sentenza di un giudice: i grizzly non si toccano. D’altronde si tratta di una specie minacciata: in tutti gli Stati Uniti se ne contano circa 55.000 esemplari. Nel 2021 erano circa 1.063 quelli residenti a Yellowstone (fonte: Nps). I grizzly sono sotto protezione dal 1975, anno nel quale sono state promulgate le prime leggi pensate per tutelarli.
Al cuore del problema? L’uomo
Analizzando tutti i dati e i fatti a nostra disposizione, emerge chiaramente che Il problema non è l’orsa JJ4, che ha semplicemente agito secondo la propria natura istintiva. Il problema nasce con l’espansione incontrollata degli insediamenti umani, che va a danneggiare l’ambiente circostante e a squilibrare l’ecosistema. Il problema è proprio l’uomo, con il suo smisurato antropocentrismo.
Lo ha ribadito anche Fugatti della LAV: “Soprattutto nel caso degli orsi, la responsabilità è in capo a noi umani che entriamo nei loro territori senza alcuna consapevolezza delle regole alle quali dovremmo sottostare. Siamo convinti che l’intero Pianeta sia a nostra disposizione, ma quando le leggi della natura si rivoltano contro noi stessi assumiamo un atteggiamento guerrafondaio, la nostra presunzione ci impedisce di cogliere l’opportunità di crescita e di evoluzione verso la convivenza, vogliamo continuare a dominare ogni angolo del Pianeta”. Dominare: una parola che a noi uomini è sempre piaciuta fin troppo.
La convivenza tra uomini e animali selvatici: il problema zooantropologico
Inoltre, bisogna prendere atto del fatto che il nostro modo di vivere è radicalmente cambiato: si è passati da comunità rurali in grado di gestire in modo appropriato il rapporto con gli animali a comunità urbanizzate e ignoranti sotto questo aspetto.
Lo ha ricordato, in un intervento all’Università di Padova di qualche anno fa, il docente di Etologia Enrico Alleva: secondo Alleva, un cittadino di oggi non ha più la cultura e le conoscenze che lo renderebbero in grado di gestire la fauna selvatica. In parole povere, ci si è allontanati troppo dalla natura.
Ci si allarga sempre di più, si invadono i territori di altri animali e ci si aspetta pure di essere ricevuti da un comitato di benvenuto. Mentre le nostre città si allargano, dilagano gli animali in cerca di cibo. A testimonianza di un disagio, di una difficoltà tangibile a far fronte al cambiamento del proprio habitat naturale (e innaturale).
E noi? Oggi preferiamo scattare foto e girare video con i telefonini ai cinghiali che cercano cibo nei bidoni nella nostra spazzatura, nelle nostre città, piuttosto che chiederci come è stato possibile arrivare a questa situazione. E come possiamo uscirne.
Giulia Bucelli