Atlante

L’Envol

L’Envol

Aspettando le vele scarlatte

“L’envol”, già film d’apertura alla Quinzaine des Realiseteurs a Cannes e presentato in anteprima nazionale alla Festa del Cinema di Roma, segna il ritorno al cinema di Pietro Marcello dopo la partecipazione al documentario collettivo “Futura”.

La pellicola, liberamente tratta dal romanzo “Le vele scarlatte” di Aleksandr Grin, è ambientata in un villaggio del nord della Francia durante gli anni 20 del ‘900. I protagonisti sono diversi: un uomo, Raphaël, d’aspetto burbero e duro, reduce dalla prima guerra mondiale, che una volta tornato alla vita comune si scopre vedovo e padre; Juliette, la figlia di Raphaël, che cresce grazie all’amore del padre; infine Adeline, l’amabile vicina di casa, che ha badato alla piccola mentre il padre era via e che successivamente cresce Juliette come se fosse sua figlia.

Questa sorta di famiglia allargata vive in una fattoria lontana dal villaggio in cui il tempo sembra scorrere in modo arbitrario. Se è vero infatti che Juliette cresce normalmente, dall’altra parte gli adulti che vivono lì non invecchiano e restano sempre uguali per tutta la durata del film.

L’oscillazione tra realtà dura e cruda, messa in scena dal regista campano grazie alle particolari scelte registiche e visive (immancabili i reali video d’archivio che ormai caratterizzano le opere del cineasta) è resa alla perfezione anche grazie alle interpretazioni e ai volti degli interpreti, i quali sembrano usciti direttamente da una delle tele di Jean-Francois Millet. La dimensione magica e quasi onirica del film costituita da particolari scelte narrative e sezioni canore contribuisce a far nascere nello spettatore una sensazione di piacevole spaesamento: un piacevole naufragio tra l’acredine della complicata vita di campagna e la dolcezza del sogno.

In quest’opera Pietro Marcello si dimostra un maestro in grado di saper gestire una narrazione molto complessa. Il regista si inoltra nella strada già percorsa in parte con “Martin Eden” e rende più evidenti alcuni elementi della sua poetica che potevano sembrare, ad un occhio poco attento, marginali.

Le prove attoriali sono eccezionali e una particolare nota di merito va alla scelta del casting: ogni volto, come detto, è evocativo e rende alla perfezione l’idea di realtà che l’artista vuole trasmettere.

Su tutte spicca la grande interpretazione di Raphaël Thiéry (che non a caso dà il nome anche al personaggio che interpreta), in grado di restituire allo stesso tempo l’ambivalenza che è il leitmotiv del film. Da una parte l’apparente ruvidità, la quale insieme ai gesti lenti e sofferti dell’uomo trasmette allo spettatore una sensazione continua di sofferenza; dall’altra l’estrema dolcezza che è capace di dimostrare ogni volta che interagisce con l’amata figlia.

“L’Envol” è un’opera che merita e che ha bisogno di essere guardata e ammirata al cinema nel buio della sala, luogo, che come il film, vive del contrasto tra realtà e magia.

Condividi