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Louis Armstrong’s Black & Blues

Louis Armstrong’s Black & Blues

“Louis Armstrong’s Black & Blues” è il nuovo documentario diretto dal regista Sacha Jenkins ed è stato presentato in anteprima nella categoria “Freestyle” alla Festa del Cinema di Roma. Il documentario (che vede Ron Howard tra i produttori) è stato realizzato grazie allo sconfinato materiale d’archivio riguardante la vita del famoso jazzista; gran parte del materiale consiste tra l’altro in registrazioni effettuate da Armstrong stesso, che era solito tenere una sorta di audio diario. Oltre alle registrazioni audio, anche le lettere – lette nella pellicola dal rapper Nas – sono prese direttamente dall’archivio dell’artista.

A far da collante al materiale “personale”, il regista ha inserito video di performance live e filmati d’epoca che contestualizzano e aiutano ancor di più il pubblico ad avvicinarsi alla vita di una delle personalità più importanti della storia degli Stati Uniti.

Il racconto copre la vita dell’artista dalla nascita alla morte, non tralasciando neppure le controversie che hanno segnato la sua vita, come ad esempio l’apparente scarso impegno nella lotta al razzismo o l’uso reiterato di marijuana.

La minuzia con cui viene rappresentata la vita del jazzista acquisisce particolare importanza in alcuni momenti specifici del documentario in cui il regista si serve del racconto di Armstrong per rappresentare anche l’America del passato: dalla segregazione razziale alla diffusione della musica leggera, dalla malavita che si nascondeva nei meandri dell’industria musicale al cinema di Hollywood, passando ovviamente per la lotta per i diritti civili.

Il materiale raccolto dal regista risulta perfettamente consono e centrato rispetto a quello che la pellicola vuole raccontare e durante la visione dell’opera non si avverte mai la sensazione di essere di fronte a clip slegate dal resto.

Dal punto di vista della colonna sonora si può dire solo una cosa di questo documentario: ineccepibile. Con un mostro sacro come Louis Armstrong la scelta potrebbe sembrare semplice, ma spesso, come si è visto, la semplicità ricade nella banalità e nella stucchevolezza. Per fortuna in quest’opera così non è e per questo va fatto un grosso plauso a chi ha scelto il commento musicale. La musica, sempre perfetta, si presenta sempre nei giusti momenti contribuendo così all’aumento o alla riduzione di velocità nel ritmo della narrazione.

Per concludere, siamo davanti ad uno dei documentari migliori dell’anno, consigliato sia agli amanti del genere, sia a chi non apprezza particolarmente il jazz.

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