Atlante

Gli spiriti dell’isola

Gli spiriti dell’isola

“Gli spiriti dell’isola”, uscito nelle sale italiane il 2 febbraio, segna il ritorno alla regia di Martin McDonagh, arrivato al suo quarto lungometraggio.

Per questo film il cineasta irlandese abbandona l’ambientazione statunitense che ha fatto da sfondo ai suoi ultimi due film, “7 psicopatici” e soprattutto “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, per affidarsi alla sua terra natale: l’intera vicenda è ambientata nel periodo della guerra civile in un’isola immaginaria poco distante dalla costa irlandese dove gli abitanti sembrano ignari, oltreché disinteressati, di tutto ciò che accade sulla “terra ferma”. Gli isolani vivono la loro vita in una dimensione quasi al di fuori del mondo stesso.

Al centro delle vicende c’è Pádraic, un mandriano, che non riesce a capacitarsi del fatto che Colm, suo migliore amico fino al giorno precedente, abbia deciso di non rivolgergli più la parola da un momento all’altro. Questo avvenimento, in apparenza di poco conto, diventa in men che non si dica motivo di sconvolgimento per la vita di Padraic, e in un certo senso anche per quella dell’intero paesino.

La principale ispirazione da cui prende vita questo film sembra essere il teatro dell’assurdo del famoso drammaturgo e Premio Nobel Samuel Beckett; non è un caso che McDonagh, irlandese anch’egli, tragga ispirazione dal teatro: la sua carriera artistica inizia proprio a teatro dove in seguito grazie al suo talento come drammaturgo e regista vince anche numerosi premi. In “Gli spiriti dell’isola”, il debito che il regista ha con il suo conterraneo si nota principalmente nella trama: non c’è alcun reale motivo che porta Colm a rifiutare improvvisamente l’amicizia di Padraic, come, al tempo stesso, non c’è nessuna speranza concreta che muove quest’ultimo a cercare di riallacciare il rapporto. I personaggi avanzano senza scopo in un conflitto destinato a durare per sempre che senza alcun motivo li allontana e li avvicina ciclicamente. La già citata non-dimensione dell’ambientazione procede nella medesima direzione.

Il principio di assurdità che fa da base alla vicenda dà vita ad un sottotesto che può essere letto attraverso due chiavi: una legata all’universalità dell’uomo (e quindi dell’incomunicabilità e dell’incapacità dell’uomo di evolvere davvero), l’altra legata alla particolarità di una nazione divisa e pianta dagli stessi abitanti (la questione della guerra civile irlandese).

La sceneggiatura, scritta dallo stesso McDonagh, è ottima. Non si avverte in nessun momento la sensazione di lentezza o di perdita di ritmo; ogni episodio ed ogni battuta contribuiscono al perfetto andamento della storia. Anche l’umorismo grottesco, vero e proprio elemento ricorrente nella filmografia del regista irlandese, è posto al servizio della narrazione e non risulta mai fuori luogo o eccessivo.

La fotografia, curata da Ben Davis (già collaboratore di McDonagh in “7 psicopatici” e “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”) cattura splendidamente tramite l’alternanza tra il verde vivo del paesaggio naturale, il blu profondo del mare e le lunghe e scure ombre la meravigliosa isola che funge da location.

Il cast, composto esclusivamente da attori irlandesi, è composto alla perfezione. Colin Farrel e Brendan Gleeson, i quali avevano già lavorato come coppia protagonista nel primo lungometraggio di McDonagh, “In Bruges”, restituiscono allo spettatore interpretazioni di grande spessore, come anche Kerry Condon e Barry Keoghan nel ruolo di comprimari. Non hanno caso tutti gli attori citati hanno fatto, grazie a questo film, incetta di premi e nomination nei vari festival cinematografici mondiali.

“Gli spiriti dell’isola” è un film che in poco meno di due ore riesce a far riflettere su una serie di tematiche e domande che oggi più che mai fanno capolino nella testa di tutti gli spettatori e ha il pregio, non da poco, di non risultare inconcludente, pur non rispondendo a nessuna domanda. Merita senza dubbio una visione approfondita in sala.

Condividi

Continua a leggere le recensioni​