Un’epoca di passioni tristi: la guerra e le conseguenze sulla salute mentale

Un’epoca di passioni tristi: la guerra e le conseguenze sulla salute mentale

Che impatto hanno, a livello di salute mentale, i continui conflitti che riguardano non solo l’Ucraina e la Russia ma tutti i paesi che, sebbene abbiano un’eco mediatica meno forte, si trovano attualmente in uno stato di guerra?

I conflitti bellici hanno certamente conseguenze a livello economico e di rapporti geo-politici, ma hanno anche un profondo impatto sulla psiche delle persone e sul funzionamento delle comunità.

Atlante-Baruch-Spinosa

Come ci ricorda Spinoza, con epoca delle passioni tristi non indichiamo il dolore o il pianto, ma il vissuto di impotenza, la disgregazione e la mancanza di senso, che ci porta a rinchiuderci in noi stessi, a vivere il mondo come una minaccia, alla quale bisogna rispondere ‟armando” i nostri figli.

Guardiamo con una certa indifferenza, aiutati anche dai media, agli edifici distrutti dalle cariche di dinamite, ai combattimenti che si intensificano e alle città che via via si trasformano in rovine. Più le bombe cadono, più le città divengono città fantasma. Come terapeuti immaginiamo e proviamo a fare lo sforzo di confrontarci con corpi che si torcono dal dolore, con pianti che riempiono ogni spazio e con parole che restano in fondo alla gola. Racconti che possono rendere visibile l’insopportabile. La guerra che divora. Le immagini che spesso restituiscono un pulsionale allo stato brado.

citta fantasma

Secondo uno studio basato su stime Oms e pubblicato su The Lancet, nelle aree colpite da conflitti una persona su cinque vive con qualche forma di disturbo mentale, da lieve depressione o ansia a psicosi, mentre quasi 1 su 10 vive con un disturbo mentale moderato o grave. Lo studio ha stimato che la prevalenza dei disturbi mentali (depressione, ansia, disturbo da stress post-traumatico, disturbo bipolare e schizofrenia) è del 22,1% in qualsiasi momento del conflitto.

Attualmente circa mezzo milione di rifugiati ucraini che ha raggiunto la Polonia ha cominciato a soffrire di disturbi psicologici con successiva ricerca di un supporto e tra questi 30.000 hanno cominciato a soffrire di patologie serie e gravi. L’Ucraina, sempre secondo un’indagine condotta dall’Oms, era già in una situazione precaria dal punto di vista della salute mentale dal 2014, anno della guerra in Crimea. La situazione è diventata così grave e seria al punto che dal 2017 questo paese è, a livello europeo, il secondo ad avere più casi di persone affette da problemi depressivi. Questa nuova guerra, ovviamente, non ha fatto altro che complicare una situazione già problematica.

Ma quand’è che un evento, più o meno stressante, si trasforma in trauma? E quand’è che questo esita in problemi mentali?

Possiamo definire evento stressante una richiesta di modificazione e cambiamento da parte dell’ambiente che implica una risposta da parte dell’organismo. Banalmente, un trasloco può essere stressante ma, per lo più, riusciamo ad adattarci a questo piccolo cambiamento di vita. Un evento stressante può divenire traumatico nel momento in cui l’organismo non riesce ad adattarsi alla richiesta ambientale. Uno stupro, una catastrofe naturale, una guerra, minano il nostro senso di sicurezza e la nostra fiducia nel mondo e richiedono un processo difensivo tale (a livello biologico e psicologico) che a volte l’adattamento sembra impossibile. In questo processo di adattamento risultano fondamentali tanto le caratteristiche specifiche dell’evento, quanto le strategie di coping dell’individuo.

Il termine trauma proviene dal greco τραῦμα (-ατος) che significa ferita. Quando irrompe il trauma sulla scena, la reazione comune è quella di essere sollecitati da forti emozioni, come la paura, la collera, l’odio, il dolore, che pongono l’individuo in una condizione di allerta, si attiva il sistema sensoriale e percettivo, che si rivolge esclusivamente al pericolo e dispone al pensiero e quindi all’azione efficace. Dal punto di vista biologico, ogni evento stressante prevede l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) e il coinvolgimento di specifiche aree (ippocampo, amigdala, corteccia prefrontale) che partecipano al processo di valutazione degli stimoli stressanti e hanno un ruolo nelle conseguenti risposte attivate. Durante un evento traumatico, questo sistema di risposta allo stress rimane in uno stato di attivazione perenne producendo una secrezione continua di cortisolo.

ptsd brain

Il trauma rappresenta l’esempio fondamentale di come gli eventi modificano il cervello e le funzioni cerebrali al di là di quello che è geneticamente determinato . Ad esempio, gli studi evidenziano come individui con PTSD mostrino un persistente stato di allerta e paura connessi con un volume ridotto di alcune aree della corteccia prefrontale, un’ipervigilanza connessa a un’iperattività dell’amigdala e deficit nella memoria dichiarativa e non-dichiarativa connessi a una riduzione del volume dell’ippocampo (più piccolo quello sinistro nei veterani del Vietnam e quello di destra in donne abusate).

Nell’investigazione clinica è importante considerare che tipo di traumatizzazione il soggetto sperimenta: si parla di traumatizzazione primaria, quando il soggetto è vittima esso stesso dell’aggressione; di traumatizzazione secondaria, quando gli eventi traumatici, le aggressioni in senso lato del termine, riguardano persone a lui molto vicine, per esempio familiari; di traumatizzazione terziaria, quando si è in relazione con persone che sono vittime di traumatizzazione primaria o secondaria, per esempio si è testimoni di atrocità, o si appartiene a gruppi perseguitati, o si è operatori e professionisti in relazione con le vittime.

Altro elemento da considerare è la frequenza, ovvero quanti traumi si subiscono e quante volte si è coinvolti in situazioni traumatiche. Si parla di traumi multipli, ripetitivi e cumulativi. E infine bisogna volgere lo sguardo all’ambiente sociale, culturale, relazionale, fisico in cui la persona si trova. È in questa area che generalmente vengono anche sottolineate le risorse personali, come elementi facilitanti o aggravanti, per affrontare il trauma.

bomba ucraina

Il tema dei disturbi mentali causati dall’esposizione a eventi traumatici gravi, come le guerre, fu introdotto alla fine del 1800 in psichiatria. Con la Prima Guerra Mondiale, in particolare, migliaia di soldati sotto shock, divennero un problema medico rilevante che contribuì alla possibilità di comprendere gli effetti degli stress traumatici sulla vita dei soggetti e sul loro adattamento psicologico. Molti studiosi hanno evidenziato, ad esempio, come la grande guerra fu soprattutto una guerra di trincea, che esponeva soldati e ufficiali a movimenti pericolosi sotto il fuoco nemico. Fu introdotto infatti il termine shock da granata, concepito dapprima come danno organico al sistema nervoso, poi identificato come una reazione psicologica.

Nel corso degli anni si assiste allo svilupparsi sempre più vasto, rapido e articolato delle concettualizzazioni sui traumi e sulla loro cura. La Prima e la Seconda Guerra Mondiale hanno dato impulso a studi e ricerche, e anche in seguito sono stati molti i fenomeni sia di catastrofi naturali, sia di traumi collettivi per disastri civili, sia di traumi collettivi per violenza sociale, che trovano immediata attenzione nella comunità scientifica. Pensiamo ai reduci del Vietnam e ai problemi psichici correlati, ai paesi dell’America Latina e all’impatto delle dittature, o ancora all’Europa e al terrorismo. Tutto sembra avere un impatto terribile e durevole su un numero enorme di persone.

È alla fine degli anni ‘70 che viene identificata la sindrome di disturbo post-traumatico da stress (DPTS), e si elaborano diverse tecniche di cura, oggi molto utilizzate nei contesti di emergenza sia per le vittime che per équipe di operatori (counselling, debriefing e defusing).

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AP Photo/Art Greenspon

Con l’inizio della guerra in Vietnam, il fenomeno inizia a manifestarsi in proporzioni sempre più ampie tanto da divenire, nel linguaggio comune, la sindrome del Vietnam e riuscire a ottenere, alla fine del 1970, l’inserimento delle sindromi traumatiche nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM ). Nella revisione del 1980 assume, infine, il nome con cui la conosciamo oggi: Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS sigla italiana).

Attualmente, i sintomi del DPTS sono divisi in quattro categorie:
-⃣  Sintomi di intrusione: pensieri, sogni, ricordi che si ripetono in maniera involontaria.
-⃣  Evitamento di persone, luoghi o cose che possano riportare all’evento traumatico.
-⃣  Cambiamenti negativi dei pensieri.
-⃣  Cambiamenti nell’eccitazione e nella reattività.

Il PTSD è, però, solo una delle manifestazioni cliniche conseguenti a un trauma. Bremner (2002), ad esempio, propone l’utilizzo del termine “disturbi dello spettro traumatico” per comprendere l’ampia gamma di disturbi (PTSD, depressivo, dissociativo, abuso di sostanze, alimentare) che può essere connessa a uno o più eventi traumatici mediati dalle caratteristiche proprie del soggetto.

Attualmente, la letteratura scientifica sugli effetti a lungo termine dei conflitti bellici a livello di salute mentale è abbondante. Solo per citarne alcuni temporalmente e geograficamente più vicini, gli studi effettuati sulla popolazione balcanica , diversi anni dopo il collasso della Yugoslavia e il conseguente conflitto, mostrano un’alta prevalenza di sintomi post-traumatici, idee suicidarie, disturbi d’ansia e depressivi, ma anche forti sentimenti di odio e desiderio di vendetta.

Recentemente, l’interesse si è spostato, inoltre, dagli effetti dei traumi sulle persone coinvolte a quelli sulle generazioni future, arrivando a parlare di trasmissione transgenerazionale del trauma.

Alcuni studi hanno mostrato, ad esempio, che i figli di sopravvissuti all’Olocausto erano maggiormente a rischio di sviluppare una patologia post-traumatica e altri sintomi psichiatrici rispetto ad altri soggetti . I figli dei veterani del Vietnam avevano una maggiore possibilità di sviluppare sintomi emotivi e comportamentali e i figli della popolazione civile coinvolta nel conflitto in Kosovo riportavano frequentemente disturbi d’ansia e dell’umore.

rifugiati-ucraina-salute-mentale

Come possiamo spiegare questo fenomeno? L’eziologia è ancora incerta ma di certo complessa e multifattoriale.

Da una parte cominciano ad esserci evidenze dal punto di vista biologico: ad esempio, si sono osservati livelli di cortisolo più bassi nei figli delle madri esposte al crollo delle Twin Towers durante la gravidanza. D’altra parte, a partire dagli anni ’80 lo studio delle prime relazioni genitore-bambino ha reso evidente come le cure ricevute durante i primi anni di vita lascino una traccia, a livello di memoria implicita e procedurale, che necessariamente si imprime sullo sviluppo emotivo, comportamentale e affettivo del bambino. Se i traumi irrisolti nei genitori possono causare alterazioni dell’umore e nella gestione dello stress sarà difficile per questi svolgere quella funzione regolatoria necessaria soprattutto nei primi anni di vita. Le difese al trauma e i sintomi che da esso derivano rendono difficile, per il genitore, cogliere empaticamente i segnali affettivi e rispondere ai bisogni emotivi e corporei del figlio. Inoltre, i clinici che hanno curato la generazione dei bambini nati dopo l’Olocausto hanno ipotizzato l’agire di una rimozione da una generazione all’altra: alla prima generazione arriva nel rapporto dei genitori con i figli sotto forma di segreto taciuto, capace di generare una sofferenza rappresentata psichicamente ma non esprimibile. Nella generazione successiva, quella dei figli, il segreto si incista nell’inconscio, fino a che, nella terza generazione, i figli dei figli, il non detto, non dicibile, diventa non pensabile, non rappresentabile per convertirsi così in un fantasma che perseguita i discendenti delle generazioni successive con la potenza della spinta traumatica, senza conservare il ricordo dell’evento scatenante.

salute mentale ucraina

Nel complesso, gli studi mostrano chiaramente come la fine formale dei conflitti, di fatto, non corrisponda alla fine delle difficoltà per le persone coinvolte. Una guerra lascia individui e comunità fragili. Il tema della guerra, della violenza che la sostanzia, del trauma che produce, delle tracce mnestiche che lascia nei soggetti implicati, nei contemporanei e nelle generazioni successive, è una dimensione su cui tutti dobbiamo confrontarci e riflettere, e che nel tempo ha interrogato l’intera comunità di professionisti della salute mentale, invitati a interrogarsi su quanto la guerra costringa a riconsiderare l’elemento ambientale, il peso della realtà esterna nell’origine della sofferenza psichica, spostando l’accento dal mondo interno al mondo esterno.

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