Venti mesi fa il mondo è uscito dalla convinzione che per l’Europa fosse finita l’epoca delle guerre. I carri armati russi che oltrepassavano la frontiera con l’Ucraina e i primi missili volati nel cielo di Kiev possono essere considerati come l’inizio di una nuova epoca per il Vecchio continente. Vladimir Putin ha apertamente dichiarato che l’ordine scelto alla fine della Guerra fredda non era più valido e che i confini di uno stato non sono, contrariamente a quanto siamo abituati a pensare in Occidente, inviolabili. Tuttavia, anche il presidente russo si sarà dovuto assegnare al fatto che non è semplice cambiarli a proprio vantaggio, soprattutto se la Nato si schiera con il tuo nemico. Oggi, dopo battaglie sanguinose e decine di migliaia di morti, secondo il comandante in capo delle forze armate ucraine, Valerii Zaluzhny, siamo allo «stallo».
Nonostante l’invasione dell’Ucraina abbia aperto il proverbiale vaso di Pandora, il deterioramento generale dei rapporti internazionali non si è fermato in Europa dell’est. Nel Caucaso l’Azerbaigian ha approfittato della distrazione della Russia (e della comunità internazionale) per lanciare l’ultima e decisiva campagna di riconquista del Nagorno-Karabakh separatista. In Africa il Niger si è liberato dell’ingombrante presenza francese con un colpo di stato militare e ora guarda a Mosca. In Medioriente il 7 ottobre ha riportato con estrema violenza alla luce la cosiddetta “questione palestinese”. Ora si teme per la Siria, per l’Iraq l’Iraq, per gli attacchi dei ribelli Houti nel Mar Rosso ed è sempre più frequente incappare nel termine “polveriera”. Una scintilla potrebbe far detonare in modo imprevedibile e tremendo la situazione. Ma, nonostante l’allarmismo diffuso in alcuni ambienti, siamo ancora lontani dalla III Guerra Mondiale. Cercheremo di capire perché in una serie di articoli che tenteranno di approfondire in modo breve ma il più esaustivo possibile le crisi militari in atto.
1/ UCRAINA
Due anni di guerra: lo stato del conflitto, le incognite legate al ridimensionamento dell’appoggio occidentale, la situazione sul campo e le prospettive per il 2024.
Il 24 febbraio la guerra in Europa orientale entrerà nel suo terzo anno. La controffensiva estiva ucraina che doveva ricacciare indietro l’invasore è fallita, l’appoggio dei Paesi occidentali inizia a vacillare e, intanto, su migliaia di chilometri di fronti aperti e nelle città delle retrovie si continua a morire.
«Il conflitto si è trasformato in quello che in gergo militare si chiama ‘guerra di posizione’» ha dichiarato il comandante in capo delle forze armate ucraine, Valerii Zaluzhny, in un’intervista alla rivista britannica The Economist due mesi fa. Il generale voleva che si sapesse la sua opinione e forse ha scelto il modo più eclatante per diffonderla. Zelensky si è infuriato, «nessuno crede nella vittoria dell’Ucraina come me, nessuno!» ha dichiarato al Time che ha usato tale frase per una copertina che raffigura il leader di spalle, con il volto di traverso, come se qualcuno lo chiamasse o se controllasse che non ci siano pericoli incombenti. Siamo ben lontani dallo sguardo sognante con gli occhi blu come la bandiera ucraina che faceva da corona al titolo di «persona dell’anno», assegnato sempre dal Time a Zelensky.
Il protrarsi delle ostilità sta provocando non poche divisioni nelle opinioni pubbliche occidentali, non solo in Paesi come l’Ungheria. Budapest ha definito un «ricatto» la decisione della Commissione Europea di stanziare nuovi fondi straordinari per l’Ucraina e da diverse fonti, come il Fincncial Times, si inizia a ventilare l’ipotesi che i vertici dell’Ue possano optare per la sospensione dell’Ungheria dall’Unione. Sospensione che potrebbe anche essere temporanea, ovvero giusto il tempo per lasciare ai Paesi membri la possibilità di votare favorevolmente la misura economica straordinaria. Nonostante capi di stato e ministri non perdano occasione per ribadire di essere coesi nell’alveo della Nato, il dissenso monta lentamente. La «stanchezza della guerra» si inizia a percepire anche in chi riesce a empatizzare con il popolo ucraino invaso, ma sconta, ad esempio, l’aumento dei prezzi delle bollette causato dallo stop al gas russo. Zelensky lo sa, è evidente, il suo nervosismo degli ultimi tempi ne è la prova. Per questo le parole di Zaluzhny sono state recepite come una coltellata alla schiena. Ma il generale non è uno qualsiasi, non lo si può rimuovere con decreto presidenziale senza aspettarsi conseguenze. Zaluzhny è amato e rispettato dai militari ucraini che lo percepiscono come uno di loro, un capo che ha a cuore la vittoria dell’Ucraina ma anche la vita dei suoi uomini. Inoltre, è ben visto dai funzionari di Washington, che in più di un’occasione l’hanno dipinto come un alleato «serio e affidabile» e preferiscono trattare con lui piuttosto che con i servizi segreti militari di Budanov.
Ma anche oltreoceano il sostegno a Kiev non è più scontato. L’annuncio dei deputati repubblicani di voler bloccare la votazione per il rinnovo degli aiuti economici a Kiev ha generato enorme preoccupazione. Si tratta di 61 miliardi che fanno parte di un pacchetto più ampio di 106 miliardi di fondi straordinari dei quali 14 dovrebbero andare ad Israele e il resto destinato al «Pacifico e al confine con il Messico». Lo speaker della camera Mike Johnson, tentando di spiegare il motivo dell’opposizione repubblicana, aveva dichiarato di sostenere l’Ucraina ma che le «politiche fallimentari di Biden» non stanno portando ad alcun risultato. I democratici avevano ribadito che il sostegno a Zelensky è fondamentale per arginare Putin e difendere gli interessi strategici del Congresso, ma finora non sono stati ascoltati. I repubblicani continuano a esigere un netto inasprimento delle misure sull’immigrazione alla frontiera messicana e una modifica della legge sui visti pere accordare il proprio consenso allo stanziamento. Concessioni molto difficili da elargire per Joe Biden, che rischia di sollevare la fronda dell’ala sinistra del suo partito. Del resto, a questo punto scontentare qualcuno diventa inevitabile, la campagna elettorale negli Stati Uniti è iniziata e l’Ucraina è uno dei temi più sentiti da entrambi gli schieramenti politici.
In tale contesto si inserisce la situazione sul campo. Il fronte est è bloccato su Avdiivka, dove i russi cercano di sfondare da settimane, in quella che si delinea come la nuova macelleria di questa guerra dopo Mariupol, Bakhmut e Kherson. Che ci riescano o meno, possiamo finalmente riconoscere che la controffensiva estiva ucraina è fallita; come riconosciuto dal Consiglio di sicurezza ucraino a metà dicembre.
Meno di due settimane dopo, il giorno di Santo Stefano, i portavoce del Comando orientale di Kiev hanno ammesso (dopo una smentita iniziale) di essersi ritirati dal centro urbano di Marinka, una cittadina del Donetsk a pochi chilometri dalla capitale separatista. La sconfitta a Marinka, seppur «di importanza strategica limitata» come sostengono i centri studi occidentali, marca un cambio di segno importante nell’evoluzione a breve termine del conflitto. Significa che non solo gli ucraini non sono più all’attacco, ma che ora sono costretti a difendersi. A poca distanza da Marinka c’è Avdiivka, che i russi bombardano costantemente da mesi. Tra un annuncio di avanzata russa e una smentita ucraina, si stima che ogni giorno ad Avdiivka muoiano tra i 30 e i 150 soldati in totale. «Non sappiamo quando la guerra finirà, ma sappiamo che servono più uomini per lo sforzo bellico» aveva dichiarato Zelensky durante la conferenza di fine anno, aggiungendo che sono i generali dello Stato maggiore ad averli richiesti e quindi, spostando il biasimo su Zaluzhny. Ora sembra che i due quasi non si parlino. Ma se, come ha annunciato il presidente, a breve ci sarà una nuova ondata di mobilitazione massiccia da ben 4-500 mila uomini, non potranno evitare di coordinarsi. A meno che uno dei due non voglia esautorare l’altro.
Si preannuncia un anno durissimo per l’Ucraina e il futuro del Paese per al momento appare legato alla tenuta del fronte est e all’arrivo degli aiuti economici e militari occidentali. Da Mosca insistono: «gli obiettivi dell’operazione speciale saranno raggiunti» mentre a Kiev i portavoce militari parlano di «7 fronti di avanzata aperti dal nemico» e della «necessità di resistere» per un futuro libero dall’influenza russa.
Sabato Angieri