Più o meno 110 mila persone di nazionalità ucraina sono arrivate in Italia negli ultimi mesi. 60 mila donne, 40 mila bambini e 10 mila uomini. Con un sostanziale ritardo sulle reti informali della comunità ucraina, e dei singoli che hanno aperto le proprie porte spontaneamente offrendo rifugio alle persone in fuga, anche la macchina statale dell’accoglienza si è attivata. Il Decreto-legge n. 21 del 21 marzo 2022 ha individuato diverse modalità di accoglienza da realizzarsi con il supporto dei Comuni e dei soggetti del terzo settore (associazioni, cooperative sociali, imprese sociali, etc.). Attraverso ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile, così come stabilito per procedure di emergenza, l’11 aprile è stato pubblicato un avviso di manifestazione d’interesse rivolto agli enti del terzo settore per individuare strutture idonee a fornire i servizi di assistenza e accoglienza diffusa, per un totale di 15.000 posti. La risposta è stata enorme da parte degli enti del terzo settore: decine di progetti per un totale di 30.000 posti proposti, esattamente il doppio di ciò che verrà finanziato. 26 sono stati i progetti approvati, per un totale di 17.000 posti. Anche l’accoglienza in famiglia viene menzionata, con una volontà di promuoverla e sovvenzionarla, creando tutta una rete intorno alla persona ospitante al fine di supportare l’ospitato nelle proprie pratiche amministrative, ricerca lavoro etc. Infine un supporto economico è predisposto anche per le persone autonome alle quali verrà erogato un pocket money di 300 euro per tre mesi (ridotto a 150 euro per i minori). A differenza di altre situazioni emergenziali (vedi emergenza nord-africa del 2013) è stata data preferenza ai progetti in accoglienza diffusa, piuttosto che nelle grandi strutture, queste ultime più atte a fare economie di scala che a offrire dei servizi di qualità, come l’esperienza ci ha più volte dimostrato.
La situazione rimane comunque complessa per diversi motivi. I posti stanziati sono chiaramente insufficienti alle necessità. Gli aiuti arrivano in ritardo rispetto allo spostamento della popolazione dall’Ucraina, e rispetto a sistemi di accoglienza predisposti in altri paesi. Per esempio il bando esclude molte delle persone che sono arrivate già da tempo e che sono ospitate in famiglia, da amici, o da connazionali. Cercando di dare precedenza alle persone temporaneamente ospitate presso le strutture alberghiere e ricettive individuate dalle Regioni e Province Autonome, il bando quindi esclude molti di coloro che invece hanno cominciato un percorso in semi-autonomia. Il non supporto alle famiglie ospitanti, che tra le altre cose, aspettando un’azione statale avevano previsto un’accoglienza temporanea e di breve durata in molti casi, è causa di frustrazione e disagio. Gli/le ospitanti sperimentano fatica, soprattutto dovuta al poco supporto in questo percorso difficile. Le persone accolte invece oltre a non avere un supporto economico, non hanno tutto il supporto sociale necessario alle prime fasi di inserimento, quali assistenza sociale e psicologica, accesso alla sanità, alla scuola, ai servizi di base insomma.
Alcuni/e ucraini/e stanno già cercando di rientrare nel loro paese. I dati non sono certi, ma il flusso di entrata e di uscita dal nostro paese sembra bilanciarsi. Nella zona ovest la situazione sembra stabilizzarsi, e piuttosto che confrontarsi con i mille cavilli burocratici per ottenere pochi soldi, il poco supporto ricevuto finora, e le difficoltà di un nuovo paese (lingua, riconoscimento titoli e competenze), preferisce confrontarsi con le difficoltà di un paese da ricostruire.
Per quanto riguarda gli altri flussi, si avvicina l’estate e gli sbarchi dal Mediterraneo stanno aumentando nuovamente. Se nel 2019 sono sbarcate mille persone solo nel mese di maggio, l’anno scorso erano intorno alle 5.000, e quest’anno sono già più di 5.000 (dati Ministero dell’Interno) a metà mese, anche se il dato non salta agli onori delle cronache, coperto da notizie ritenute più urgenti. Ma la guerra attuale ha un impatto devastante sul resto del mondo. Il Nord Africa, ad esempio, sta vivendo una crisi alimentare, proprio come effetto secondario della guerra in Ucraina. Il nostro sistema di accoglienza si dimostra già in affanno ora, come lo è stato per anni, basato più su una logica emergenziale che sulla lunga durata. Ne è prova l’aver voluto investire molto di più nell’accoglienza CAS (centri di accoglienza speciale) votati all’accoglienza emergenziale e che, al 30 novembre 2021, prima di ogni emergenza, ospitava il 68,3% delle persone accolte, che sul sistema SAI (sistema accoglienza italiano), il sistema ordinario (dati openpolis). L’aumento degli arrivi nel periodo estivo non è di certo ormai una novità. Ancor più alla luce di un contesto geopolitico sempre più complesso caratterizzato da guerra e forte incertezza sulle sponde sud del mediterraneo come in altri paesi del sud est asiatico. Il continuare a lavorare in emergenza da più di 30 anni non aiuta però il nostro sistema di accoglienza a trovare un equilibrio, e soprattutto a definire delle strategie efficaci di accompagnamento e protezione per le persone che cercano di rifarsi una vita. Nel tempo cominciamo a sentirne le conseguenze che definiscono problemi strutturali. La non integrazione delle persone nuove arrivanti in Italia nel tessuto sociale ed economico del Paese definisce traiettorie di vite persistentemente ai margini, perse tra sfruttamento e precarietà abitativa e lavorativa, e abusi di ogni genere perpetrati proprio a pochi passi dalle nostre case.
Giorgia Trasciani