La rielezione di Putin lega sempre più il destino della Russia a quello dello zar

La rielezione di Putin lega sempre più il destino della Russia a quello dello zar

Tutto come da programma. Vladimir Putin è stato riconfermato alla presidenza della Federazione Russa con il più alto numero di preferenze da quando è entrato in politica. Né l’astensionismo né la protesta chiamata dalla vedova di Navalny hanno inficiato il trionfo dello zar.

L’affluenza nello sconfinato territorio russo ha superato il 73% degli aventi diritto e di questi l’87% ha scelto di proseguire sulla via degli ultimi 20 anni riconfermando al Cremlino lo zar. Un trionfo per i vertici politici di Mosca, «una farsa» per gli ucraini, «elezioni poco libere e poco chiare» per Ue e Usa. Anche se il risultato appare scontato, è importante sottolineare come le forme di protesta silenziosa e il rifiuto di recarsi a votare hanno avuto un ruolo marginale, quasi irrilevante. La chiamata a esprimere il proprio dissenso verso Putin e la tornata elettorale era stata fatta da Yulia Navalnaya che aveva invitato i russi a recarsi in massa ai seggi domenica alle 12. L’allerta tra i reparti di polizia e di militari era massima e online sono stati diffusi dei video di uomini in uniforme che irrompono nelle urne per controllare i votanti. Tra tentativi di sabotaggio a San Pietroburgo, qualche timida coda nella capitale e (soprattutto) davanti alle ambasciate all’estero, le uniche forme di disturbo reale sono venute dalle forze armate ucraine. Le regioni russe confinanti con il territorio ucraino di Belgorod e Kursk e la regione occupata nel Kherson orientale sono, infatti, state oggetto di bombardamenti, tentativi di sabotaggio e raid di droni. Putin ha minacciato che «questi attacchi non resteranno impuniti» ma la sua preoccupazione principale nel fine settimana sono stati i dati.

Il capo non poteva permettersi di fornire al mondo un’immagine diversa da quella di leader osannato dal suo popolo. Il plebiscito serviva per dimostrare che la Russia è dalla parte di Putin e delle sue scelte. Una su tutte: la guerra in Ucraina. E, al netto di irregolarità che possiamo intuire ma non trasformare in sistema, la conferma c’è stata. Si consideri che alle prime elezioni presidenziali a cui partecipò, nel lontano 2000, Putin aveva ottenuto il 52,9% delle preferenze come candidato indipendente (nonostante avesse ricoperto la carica di primo ministro sotto Eltsin) e Gennadij Zjuganov, candidato del Partito Comunista Russo, il 29,2%. L’affluenza era stata del 68,6%. Se citiamo questo dato è perché quelle elezioni segnarono una svolta per la Russia. Il Paese che era uscito dalla fine dell’Unione sovietica era stato massacrato dal libero mercato e dall’ingresso di investitori-predatori da Occidente. Pochissimi uomini si arricchirono rilevando per pochi spicci le grandi aziende statali sovietiche e affamando ancora di più la popolazione. L’anno precedente Mosca era stata terrorizzata da diversi attentati terroristici e la guerra in Cecenia era riesplosa con forza detonante. Putin si propose come l’antidoto a tutta questa confusione con il piglio deciso dell’ex-ufficiale del Kgb e un linguaggio diretto che proponeva un’immagine di leader atipica, più vicina al popolo. Da quel momento la Russia è stata sempre più la Russia di Putin. Tranne per la breve parentesi di 4 anni tra il 2008 e il 2012 in cui al Cremlino sedeva il suo delfino, Dmitri Medvedev, e Putin si accontentò di fare il primo ministro, è da 24 anni che quest’ultimo impera sulla Federazione Russa. E lo farà per altri 6 anni almeno, grazie alla riforma costituzionale che ha esteso il mandato presidenziale da 4 a 6 anni e ha eliminato il vincolo dei due mandati consecutivi. Se dovesse effettivamente rimanere in carica fino al 2030, Vladimir Putin diventerà il leader più longevo dai tempi di Caterina la Grande, la famosa zarina che aprì la Russia all’Occidente con conquiste territoriali lungo il Mar Nero e la fondazione di Odessa. Potrebbe superare persino Stalin (1924-1953) del quale progressivamente Putin sta contribuendo a ristabilire il mito come «padre della patria». Inoltre, a 78 anni, potrà candidarsi nuovamente.

Non è per passione statistica che citiamo questi dati, ma per rappresentare pienamente quanto il futuro prossimo di Vladimir Putin e quello della Russia siano legati. Il voto non ha rappresentato la critica alla guerra in Ucraina che molti in occidente si aspettavano. Anzi, sembra quasi aver funzionato da collante. E l’opposizione si è attestata su cifre ridicole senza mai superare il 4% per candidato. Il giorno dopo la chiusura dei seggi il quadro è chiaro: per l’opposizione politica anti-putiniana in Russia non c’è spazio. Certo, legare così tanto il proprio destino politico al consenso popolare comporta sempre rischi altissimi. Ma qui intervengono la repressione del dissenso, il controllo dei mass-media e la censura, il clientelarismo e la corruzione. Un sistema di fatto piramidale in un Paese che della democrazia mantiene solo gli istituti formali mentre continua a limitare aspramente ogni voce contraria al potere dello zar.

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