Perché Putin incolpa Kiev dell’attentato a Mosca

Perché Putin incolpa Kiev dell’attentato a Mosca

mosca putin

L’attentato a Mosca di venerdì scorso apre molti, nuovi interrogativi sul futuro prossimo della Russia. Da due giorni i commentatori più nazionalisti dell’universo mediatico russo continuano a incolpare l’Ucraina, nonostante siamo ormai a tre rivendicazioni ufficiali da parte dell’Isis e nei video diffusi dallo Stato Islamico stesso si sentono gli assalitori parlare in tagiko e arabo. Tuttavia, lo shock per la popolazione russa è stato enorme e l’emotività che l’abbondante diffusione di fotografie e filmati hanno generato non può lasciare il Cremlino indifferente. Al momento siamo a 137 vittime e almeno altrettanti feriti, ma i numeri sembrano destinati a crescere ancora.

Le accuse di Mosca

Dal lato russo il presidente Putin ha dichiarato chiaramente che esiste la possibilità che gli assalitori stessero tentando di fuggire verso l’Ucraina. Maria Zakharova, la portavoce del ministero degli Esteri sostiene che ci sono indicazioni secondo le quali «i 4 uomini stavano cercando di entrare in Ucraina dove era stata preparata per loro una finestra per poter passare il confine».  L’Fsb, l’intelligence russa, è ancora più specifica: «Dopo l’attacco terroristico i criminali hanno cercato di fuggire, avanzando in auto verso il confine russo-ucraino, che intendevano attraversare», ha aggiunto l’Fsb, «in quanto i terroristi avevano contatti appropriati sul lato ucraino». Il fatto che i presunti terroristi siano stati arrestati a Brjansk, in una zona che permetteva il passaggio a sud verso l’Ucraina, ha alimentato i sospetti e fornito materiale ulteriore a supporto della cosiddetta «pista ucraina». Per ora non c’è nessuna prova, abbiamo solo accuse e supposizioni, ma vale la pena confutare qualche elemento.

Le ipotesi sulle vie di fuga

Il confine orientale ucraino è una delle zone più militarizzate al mondo a causa della guerra in corso in Ucraina. Se è vero che in un conflitto così violento e su un fronte così esteso (stiamo parlando di oltre 1000 km solo sul fronte est) sarebbe abbastanza fattibile confondersi tra le maglie dell’organizzazione militare, è altrettanto vero che passare due check-point, russo e poi ucraino, sarebbe estremamente rischioso. L’eventualità che qualcuno si insospettisca e richieda ulteriori controlli è troppo alta per permettere una fuga agevole a degli uomini ricercati da tutte le forze di polizia russe. Dunque, per passare in un punto del fronte est è vero che gli assalitori avrebbero dovuto avere «una finestra aperta», come la chiamano i vertici politici di Mosca, al confine ucraino. Ma in tal caso tale finestra avrebbe dovuto aprirsi prima dal lato russo, il che implicherebbe anche dei complici nel territorio della Federazione russa. Dato che il Donbass e la zona costiera del Mar Nero sono da escludere perché troppo lontane e troppo problematiche, restano solo le zone di Belgorod, Kursk e Brjansk, dove, infatti, il commando è stato fermato. Le eventuali regioni di ingresso in Ucraina, in questo caso, sarebbero state Kharkiv o Sumy. Ma Kharkiv è bombardata costantemente, attraverso i boschi di frontiera passano le unità di russi filo-ucraini che combattono contro l’esercito regolare russo. Si tratta della famosa Legione Libertà per la Russia e il Corpo dei Volontari Russi (Rdk) e il Battaglione Siberano. Venerdì, tuttavia, quando ancora l’Isis non aveva rivendicato l’attacco e le accuse viaggiavano solo sui social network, dalla Legione era già stato diffuso un comunicato: «siamo vicini a tutte le vittime e speriamo che i colpevoli vengano trovati al più presto, noi siamo per la libertà della Russia, non per la morte dei nostri compatrioti quindi non abbiamo alcun coinvolgimento in azioni di questo tipo». Si può in conclusione ipotizzare che se gli assalitori avessero realmente intenzione di tentare il passaggio in Ucraina, o se ci fosse qualcuno che li attendeva, ciò avrebbe potuto essere possibile soprattutto al confine con la regione di Sumy.

Un dato da non sottovalutare è che da Brjansk, dove secondo le autorità russe è stato effettuato l’arresto dei fuggitivi, si può procedere agilmente verso ovest ed entrare a Gomel, in Bielorussia, dove non ci sono neanche dogane in virtù degli accordi tra il governo di Minsk e quello di Mosca. Al netto di eventuali informazioni o prove che saranno rivelate in futuro, la «pista bielorussa» sembrerebbe più fattibile e più logica. Anche se, bisogna aggiungere che pur trattandosi di un altro stato, la polizia russa avrebbe avuto campo libero nel territorio bielorusso, trattandosi essenzialmente di uno stato satellite del Cremlino e dunque gli assalitori non sarebbero stati davvero al sicuro. Inoltre, dopo la Bielorussia c’è la Polonia, un confine assolutamente blindato al momento.

Aggiungiamo che all’inizio si diceva che gli assalitori fossero in fuga su un’auto con targa ucraina, ma poi si è visto che si trattava della stessa Renault (con targa russa della provincia di Tver, a nord di Mosca verso San Pietroburgo) con la quale il commando era giunto nella capitale russa ed era poi nuovamente fuggito. Con la stessa automobile, e sappiamo che le telecamere dei semafori o quelle a circuito chiuso sono ormai in grado di tracciare una determinata auto sulle strade pubbliche, gli assalitori in fuga hanno percorso oltre 400 km prima di essere fermati. Verrebbe da pensare che un gruppo che non voglia farsi trovare abbia almeno previsto uno o più cambi di mezzo di trasporto, ma ciò non è accaduto. Dopo l’attentato gli assalitori sono saliti sulla stessa auto con la quale erano arrivati e sono fuggiti da Mosca quasi indisturbati.

Dunque non è semplice immaginare un’eventuale via di fuga per chi abbia appena commesso un massacro, ma questi sono gli elementi in nostro possesso finora.

Perché il Cremlino incolpa Kiev.

Sulle motivazioni dell’insistenza dei vertici russi per la responsabilità ucraina potremmo scrivere molto. Al momento, grosso modo, gli analisti si dividono tra chi sostiene che Mosca stia cercando un motivo per aumentare d’intensità il conflitto, magari per lanciare una vera e propria dichiarazione di guerra (cosa che, lo ricordiamo, seppure si tratti di una questione giuridica, finora non è stata fatta). La dichiarazione di guerra comporterebbe la mobilitazione generale, compresa quella dei riservisti e la possibilità di usare tutte le armi a disposizione delle forze armate. Tuttavia, Vladimir Putin ha appena vinto le elezioni puntando sul fatto che i russi potevano stare tranquilli perché a difenderli c’è lui, il leader forte, il capo coraggioso. Alienarsi molti consensi, seppure le elezioni sono ormai un capitolo chiuso, non è una mossa scontata. Per lo stesso motivo, del resto, Putin potrebbe scegliere di non accollare la responsabilità a eventuali mancanze degli apparati di sicurezza russi, ma all’aggressività degli ucraini. I quali, in ogni caso, sono già dipinti come nemici «governati da un regime neonazista» da diverso tempo. Quindi si tratterebbe di aggiungere solo un accusa in più, per quanto gravissima.

Le reazioni ucraine

Il consigliere presidenziale di Zelensky, Mikhaylo Podolyak ha scritto su Twitter: «ci aspettavamo la versione dei funzionari russi sulla `pista ucraina´ nell’attacco terroristico al Crocus City Hall. Qualsiasi tentativo di collegare l’Ucraina all’attacco terroristico è assolutamente insostenibile. L’Ucraina non ha il minimo legame con questo attacco. La versione dei servizi russi è assurda». Gli ha fatto eco, in un’intervista alla Bbc, il portavoce dei Servizi segreti militari ucraini (Gru), Andryi Yusov, che ha parlato di «accuse assurde». Anche il presidente Zelensky ha derubricato le dichiarazioni di Mosca a «teorie insensate, volte solo a giustificare i massacri in Ucraina» prima di ricordare gli attacchi missilistici degli ultimi giorni e della scorsa notte alle città ucraine.

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