Ancora instabilità in Mozambico. Anche per colpa delle multinazionali del gas

Ancora instabilità in Mozambico. Anche per colpa delle multinazionali del gas

Mozambico

Nei primi mesi del 2024 sono ricominciati gli attacchi delle milizie jihadiste nella regione nord di Capo Delgado. Nella provincia più settentrionale del Mozambico, dal 2017 è in atto un’insurrezione guidata dalla milizia islamica Al Shabaab, omonima di quella presente in Somalia ma sostenuta invece che da Al Qaeda dallo Stato  islamico (Isis). Da quasi quattro anni le forze armate mozambicane, che dal luglio 2021 sono state affiancate dalle truppe ruandesi e da un contingente della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (SADC), combattono per riportare la regione sotto il controllo di Maputo.

Questo conflitto ha provocato lo sfollamento di più di mezzo milione di civili, ai quali si aggiungono quasi 110.000 persone, di cui più della metà bambini, che hanno lasciato le proprie case nei primi mesi del 2024, come riportano dall’Unhcr. All’inizio di marzo le milizie di Al Shaabab sono riuscite a conquistare la cittadina costiera di Quissanga. A metà febbraio invece era già stato conquistato il villaggio di Mucojo, sede di una base militare dell’esercito che è stata saccheggiata, come i corpi dei 25 soldati rimasti uccisi. «Finora quest’anno sono stati registrati 56 episodi di aggressione guidati dai ribelli», ha affermato Tertius Jacobs, capo analista per il Mozambico presso la società di gestione del rischio Focus Group. «Quindi, a soli due mesi dall’inizio dell’anno abbiamo già avuto più della metà del numero di attacchi dell’anno scorso», ha detto a Jacobs a The east african news.

La rinnovata offensiva arriva in un momento in cui sembrava che la situazione stesse ritornando a una relativa calma. Infatti nel 2023 gli attacchi nella regione erano drasticamente diminuiti, tanto che il Generale Tiago Nampele, comandante in capo delle forze armate mozambicane, a dicembre aveva dichiarato che «il 90% della provincia si può considerare ad oggi sicura», come riporta Africanews. Dichiarazioni a cui fanno eco quelle del governatore della regione, Valige Tauabo, che ha parlato di una situazione «stabile in termini di sicurezza». Ma più che dichiarazioni che tengono conto della realtà delle cose, sembrerebbe che le rassicuranti parole siano funzionali a due obbiettivi: il primo è quello di spronare le compagnie multinazionali dell’energia a tornare a lavorare dopo aver interrotto le loro attività; il secondo è riuscire a dare l’idea di uno stato forte e  risolutore in vista delle elezioni nazionali del 9 ottobre 2024.

Certo l’uccisione di Bonomado Omar, carismatico fondatore e capo delle milizie Al Shabaab, avvenuta nell’agosto del 2023, ha dato l’idea alle forze sul campo di aver tagliato la testa al serpente peccando nella sottovalutazione dei gruppi ribelli. Infatti durante il 2023 le milizie hanno fatto un capillare lavoro di indottrinamento della popolazione, aizzandola contro il governo di Maputo e le grandi compagnie occidentali. La provincia di Capo Delgado, la più ricca regione del Mozambico considerando le miniere di rubini nell’entro terra che producono più dell’80% delle pietre in circolazione e gli enormi giacimenti di gas davanti alle sue coste, rimane però quella con la popolazione più povera del Paese. La possibilità di imbracciare un fucile e unirsi ai gruppi armati è un’opzione che sempre di più i giovani di Capo Delgado prendono in considerazione come via per alzare il proprio status. La popolazione civile rimane schiacciata tra le milizie e l’esercito mozambicano e i suoi alleati regionali, dove le forze regolari non mancano di violare i diritti umani della popolazione. Tutti questi fattori non hanno fatto altro che avvicinare la popolazione alle milizie.

Nel 2010 è stato scoperto un enorme giacimento di gas da 2.400 miliardi di metri cubi, al largo della costa della provincia di Capo Delgado. Negli anni successi sono arrivate a bussare alla porta di Maputo la francese Total Energies, l’americana Exxon Mobil e l’italiana Eni. L’entusiasmo dell’esecutivo di Maputo per una scoperta dal valore potenziale di 120 miliardi di dollari aveva portato esponenti del governo a fare promesse di sviluppo e ricchezza: «Utilizzeremo il reddito derivante dalle risorse minerarie per diversificare e ridurre la disuguaglianza» aveva affermato nel 2014 l’allora ministro delle Finanze Manuel Chang. Da quel momento però le cose sono precipitate con l’inizio della guerriglia nella ricca provincia nord e con lo scandalo che ha investito il governo di Maputo riguardo un giro di tangenti da 2 miliardi di dollari di fondi pubblici e il conseguente arresto di Chang in Sud Africa nel 2018.

Oggi Eni, Total e Exxon detengono le concessioni sulle due aree di trivellazione, ma l’unica piattaforma che ha iniziato a immettere gas sul mercato e la Coral South di Eni. La compagnia italiana al netto di un investimento da 7 miliardi, producendo 3,3 milioni di tonnellate l’anno di gas, prevede un guadagno di 39 miliardi. Exxon e Total invece hanno lasciato il campo nel 2019 e nel 2021 a causa della situazione di insicurezza nella regione. Ma la compagnia francese, che detiene la concessione per il giacimento più grande, non intende farsi da parte. L’amministratore delegato di Total Patrick Pouyanne a febbraio durante la riunione del consiglio di amministrazione ha fatto sapere che la compagnia sta monitorando la situazione per essere certi di poter lavorare in un ambiente sicuro, «voglio evitare di prendere la decisione di riportare indietro le persone e poi essere costretto a evacuarle di nuovo» ha detto Pouyanne. Nel 2021 infatti il personale di Total è stato fatto evacuare quando i ribelli avevano conquistato la città di Palma, vicinissima all’Afungi LGN Park, l’area di 70 chilometri quadrati dove Total stava costruendo il suo hub per lo stoccaggio del gas.

Oltre allo sfruttamento dei giacimenti offshore, Eni  ha anche raggiunto accordi per lo sfruttamento dell’entroterra. Per il cane a sei zampe l’accordo firmato nel 2022 con il ministero dell’Agricoltura e dello Sviluppo Rurale della Repubblica del Mozambico (Mader), prevede la cooperazione e lo sviluppo di progetti agricoli finalizzati alla produzione di semi oleaginosi per la creazione di idrocarburi. La presenza delle multinazionali sulla terra ferma colpisce la popolazione civile che si vede costretta ad abbandonare le proprie case per far posto a campi coltivati per terzi, togliendo oltre che l’alloggio anche le tradizionali fonti di sostentamento. Un entroterra già colpito dalla presenza di diverse compagnie di estrazione nell’area di Montepuez dove si trova uno dei giacimenti più grandi del mondo di rubini. Violenze e vessazioni perpetuate da agenti e miliziani al soldo delle aziende internazionali sono all’ordine del giorno in quest’area dove le famiglie vengono cacciate e i minatori informali minacciati, picchiati e uccisi. Ma anche in mare la situazione non cambia con il divieto di pesca nell’area di trivellazione e l’acquisizione di terre costiere per la creazione di opere come l’Afungi LGN Park che ha sfollato 550 famiglie alle quali, quando Total ha lasciato il campo, non sono stati finiti di pagare gli indennizzi.

Per quanto riguarda poi il guadagno derivante dall’estrazione di gas per il Mozambico e la sua popolazione, le cifre sono ridicole. Daniel Ribeiro, attivista di Justiça Ambiental/Friends of the Earth Mozambique in visita in Europa per parlare della grave crisi umanitaria nella provincia di Capo Delgado, in una conferenza a Roma lo scorso novembre ha fatto i calcoli e «il progetto di Eni genererà in Mozambico 18,4 miliardi di dollari che il Paese inizierà a ricevere solo a partire dal 2040, quindi considerata l’inflazione si scenderà a 4 miliardi». Per tutto questo «la presenza delle multinazionali del gas in Mozambico è stata ed è un grande amplificatore della guerra di Cabo Delgado e delle sofferenze dei mozambicani» ha concluso Ribeiro. 

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Foto di Gabriel McCallin su Unsplash