L’AI è ancora sotto i riflettori. Sulla scia dell’AI Act dell’UE, gli sceneggiatori hanno prodotto una risoluzione che tutela il loro lavoro.
È accaduto lo scorso 11 aprile. Due sindacati che tutelano gli interessi di 67mila sceneggiatori e autori in tutto il mondo facenti capo a 46 associazioni, la Federation of Screenwriters in Europe (FSE) e l’International Affiliation of Writers Guilds (IAWG), hanno fatto la loro mossa contro l’AI.
Lo hanno fatto approvando insieme una risoluzione che esige il rispetto della professionalità dei loro associati chiedendo che l’intelligenza artificiale sia utilizzata in modo “etico”, anche in termini di trasparenza: gli autori devono essere informati del suo impiego per scrivere, riscrivere o modificare i testi da loro prodotti.
La risoluzione dei sindacati degli sceneggiatori: i cinque punti
La risoluzione da loro presentata presenta cinque punti fondamentali, per stabilire un quadro etico per lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale nel processo di scrittura delle sceneggiature”.
- Affermare che solo gli scrittori creano materiale letterario e che i grandi modelli linguistici (LLM) o qualsiasi altra forma presente o futura di intelligenza artificiale (AI) non possono essere utilizzati al posto degli scrittori.
- Lavorare per creare meccanismi di trasparenza e responsabilità obbligatori e per garantire che gli scrittori siano informati se il materiale generato dall’IA viene utilizzato per scrivere, riscrivere, migliorare o svolgere qualsiasi altro servizio di scrittura aggiuntivo.
- Sostenere meccanismi di licenza robusti che richiedano il consenso esplicito e informato per l’uso della proprietà intellettuale degli scrittori nei dati di addestramento dell’IA con l’obiettivo di garantire che solo la proprietà intellettuale che è stata autorizzata per tale uso sia inclusa nei set di dati dei LLM commercializzati, o qualsiasi altra forma presente o futura di IA.
- Assicurare che solo gli esseri umani abbiano diritto ai diritti d’autore e siano riconosciuti dalla legge sul copyright nel contesto del materiale generato dalle macchine.
- Sostenere una remunerazione equa per l’uso della proprietà intellettuale degli scrittori nei LLM (Grandi Modelli Linguistici) o qualsiasi altra forma presente o futura di IA.
La discussione sull’uso etico dell’AI: il contesto
Il contesto è fecondo per il dibattito in materia, soprattutto alla luce dell’AI Act recentemente approvato dall’Unione Europea: questo prevede anche che si debba dimostrare che il materiale utilizzato per addestrare le AI rispetti la legge europea sul copyright.
Inoltre, proprio negli stessi giorni, il Membro della Camera dei Rappresentanti della California Adam Schiff ha introdotto una nuova legge che chiede alle aziende di rendere noti i nomi delle opere protette da copyright utilizzate nell’addestramento delle AI generative.
Una novità che apre scenari legali complessi, visto che in questo modo i creatori del prodotto originale potrebbero citare in giudizio le aziende responsabili per violazione di copyright.
Particolarmente esposta, in tal senso, è OpenAI, il colosso che ha sviluppato, tra gli altri, Sora, un sistema AI in grado di generare video da prompt di testo: quindi, potenzialmente, anche brevi film.
AI e lavoratori dello spettacolo: un rapporto controverso
Negli ultimi anni, la relazione tra gli strumenti di intelligenza artificiale e le figure lavorative del panorama cinematografico è stata molto complicata.
L’ingerenza dell’AI nel lavoro di sceneggiatura, non a caso, è stata la principale causa scatenante dello sciopero portato avanti per cinque mesi dagli sceneggiatori americani facenti capo al Writers Guild America nel 2023. E non solo: ha anche portato allo sciopero degli attori, timorosi di essere presto sostituiti da “avatar” virtuali.
Che si tratti degli scrittori o degli interpreti, l’imperativo è sempre lo stesso: tutelare la propria professionalità unica, di fronte alle possibilità pressoché infinite offerte dall’intelligenza artificiale, inclusa quella di ricreare completamente le sembianze di un attore. E arginare la potenziale violazione dei diritti, anche di quelli legati all’immagine.
Sceneggiatori italiani: il punto di vista di Francesca Serafini
Per riflettere sul tema abbiamo interpellato una professionista italiana: Francesca Serafini, linguista di formazione, autrice e docente di sceneggiatura. Oltre ad avere collaborato con il regista Claudio Caligari sceneggiando il suo Non essere cattivo, ha all’attivo la scrittura di alcune fiction e sceneggiati televisivi (Fabrizio De André – Principe libero, Carosello Carosone), e scrive libri (l’ultimo: Tre madri, edito da La nave di Teseo).
Partiamo da una domanda diretta: ti è mai capitato di fare ricorso alle AI per rendere più veloce o semplificare il tuo lavoro?
“Non solo non mi è mai capitato ma non mi passerebbe mai per la testa di farlo. Anche quando resto impantanata in quella palude dove le idee non hanno ancora preso forma e ci si sente persi (a volte in modo asfittico e ansiogeno, se c’è una consegna ravvicinata), io vivo per quell’istante in cui spunta dal nulla la liana a cui mi aggrapperò. È il momento più emozionante della creazione. Se fossi disposta a rinunciare a questo, che senso avrebbe continuare a scrivere?”.
Sul loro utilizzo: pensi che siano più gli effetti positivi o quelli negativi?
“Ci sono tanti àmbiti in cui le AI cominciano a essere usate e in molti casi è una risorsa da esplorare e che non mi spaventa (penso nell’aiuto di certe forme di disabilità, per fare un esempio); come non mi spaventano mai le novità in sé (anzi: mi mettono curiosità). Dipende sempre dall’uso che se ne fa (mi sembra terribile per esempio la manipolazione della voce e delle immagini di personaggi noti per fare video falsi e spero che il diritto studi presto una regolamentazione).
Prima bisogna sempre conoscere bene di che cosa stiamo parlando, altrimenti è misoneismo o difesa strategica del territorio. Come è stato per esempio anche per un genio come Luigi Pirandello, che, con l’arrivo del cinema, nel 1929 scrisse il saggio Se il film parlante abolirà il teatro. Poi però il teatro ha continuato a farlo, ma nel frattempo ha anche scritto la sceneggiatura del film Acciaio diretto da Walter Ruttmann. Una cosa però voglio dirla a proposito della scuola. Lì l’uso di AI da parte degli studenti per redigere tesi e tesine potrebbe essere pericoloso (dal momento che lo studio, prima ancora che nozioni, dovrebbe farci apprendere un metodo).
Se fa il lavoro per loro, gli toglie possibilità di crescita e di evoluzione, che non riesco a immaginare slegate dalla fatica. E però d’altra parte mi dico che ai miei tempi c’era il Bignami e successivamente comunque Wikipedia (chi vuole evitare quella fatica un modo lo ha sempre trovato: poi, certo, andrebbero verificate le conseguenze alla distanza). Penso che formare gl’insegnanti su questa materia magari potrebbe metterli nelle condizioni di aiutare a loro volta gli allievi a valorizzare le potenzialità di questo strumento, allertandoli però anche sui rischi”.
L’AI tende alla banalizzazione/stereotipizzazione dei testi e delle storie, secondo te?
“La banalizzazione e la stereotipizzazione dei testi e delle storie sono per me il male. L’anti arte. Ma quella tendenza al conformismo è in atto da sempre; specie da quando le case editrici e le case di produzione hanno armato centinaia di editor con dati di vendite e di ascolto alla mano e la presunzione di sapere quello che piace al pubblico, inseguendolo nel passato sulla base degli andamenti del mercato (il contrario di quello che faceva De André, per fare il nome di un grande artista, che cercava di portarlo con lui verso territori inesplorati).
Che differenza c’è tra un editor che ti chiede un punto di svolta a pagina dieci (che sia di un romanzo o di un copione), rispetto a AI che ce lo inserisce direttamente? Finché scrivo, il punto di svolta – se davvero una mia storia ne prevede uno – sarà sempre nella pagina nata per accoglierlo, al netto degli algoritmi (su cui ha ironizzato per tutti Nanni Moretti nel suo ultimo film). Come succede nella vita, con tutto quello che ne consegue”.
Pensi che davvero le AI possano rendere superflua la figura dello sceneggiatore?
“No. Perché da sempre nell’àmbito delle narrazioni – dell’arte tutta, mi verrebbe da dire – si è andati a cicli. La saturazione di storie tutte uguali ha sempre creato l’esigenza a un certo punto di qualcosa che guardasse in un’altra direzione. E quella non è un tipo di rotazione che possono fare le macchine, secondo me”.
Ti ritieni in grado di distinguere tra una storia raccontata da un essere umano e quella raccontata da un’AI?
“Magari non saprò distinguere una storia scritta da AI da una scritta da uno sceneggiatore che applica meccanicamente le regole di Vogler o di McKee. Ma credo di poter distinguere sempre una storia raccontata da AI da una pensata e scritta da un artista”.
C’è qualcosa in cui le AI non potranno mai eguagliare o superare gli scrittori umani?
“Ti rispondo con le parole di uno dei più grandi di sempre – Vincenzo Cerami – riprendendo un passaggio che ha ispirato un parallelo con Al a Claudia Durastanti, chiamata di recente a introdurre la nuova edizione di Consigli a un giovane scrittore: “non c’è tecnologia in grado di inventare e scrivere una storia. Un computer è capace di trasformare l’immagine di una scopa in quella del Grand Hotel, ma la ragione per la quale una scopa diventa un albergo deve uscire dalla testa di un narratore”.
In Italia quanto è sentito il problema?
“Troppo, dal mio punto di vista (con lo stesso stato d’animo del Pirandello del 1929), rispetto a quanto poco si sente il pericolo delle conseguenze di un accoglimento inerziale delle richieste omologanti degli editor (un certo tipo di editor, ovviamente: i discendenti di quei giovani assunti nelle case discografiche alla fine degli anni Ottanta a cui Frank Zappa attribuiva, in una famosa intervista, parte della responsabilità del declino della musica in quegli anni). Io penso che gli esseri umani possono essere sempre superiori alle macchine (non fosse altro perché sono loro a inventarsele), e possono esserlo anche nel privare un testo (che sia destinato a un libro, un film o a un disco) di una sua precisa identità autoriale”.
Come immagini il futuro del tuo mestiere?
“Non so come immagino il futuro degli sceneggiatori. Immagino invece quello degli spettatori (dei lettori e degli ascoltatori di musica): so che aumentando le proposte di storie tutte uguali, scritte nello stesso modo, dovranno mettere in conto di perdere un sacco di tempo, scorrendo tra i vari repertori contemporanei, prima di scegliere un film o un libro o un disco in grado di stupirli e fargli conoscere qualcosa di nuovo. Ma chissà: magari per facilitare la scelta, gli può venire incontro AI”.
Ringraziamo Francesca per il tempo che ci ha dedicato.
Giulia Bucelli