Se la politica non si occupa di produrre proposte alla popolazione tutta (dunque saperle comunicare), indistintamente se essa comprenda anche elettrici ed elettori dei partiti della coalizione di governo, allora fa solo parlare di sé: un’azione subita e non praticata. Se alla politica si toglie la politica, resta un vuoto. Ma i vuoti in politica non esistono e il dibattito pubblico conseguente (che sia sano e non avvelenato o volutamente intorbidito) scade e diventa irrilevante. Risibile, perfino.
È la vicenda Sangiuliano-Boccia, ça va sans dire, ad aver tenuto sotto scacco la politica, la stampa, la comunicazione pubblica tutta: scontrini, ricevute, probabili nomine, foto che avrebbero potuto essere reali ma che potrebbero essere ritoccate, materiale che qualcuno avrebbe registrato (come verrà archiviato e da chi?), telefonate che sarebbero state ascoltate ma che nessuno è in grado di riferire (“parli lui/lei”, “lo chieda a lui/lei”). E poi, decine e decine di minuti di interviste su carta stampata, su canali di tv pubblica ed emittenti private ai personaggi di questa vicenda personale, politica, intima, indiscreta e tracimante allo stesso tempo. Il caso personale/politico Sangiuliano-Boccia è stato il vero protagonista della settimana politica che si è chiusa – così come di quella che si è aperta: la coalizione di centrodestra (Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, a cui ultimamente si aggiunge anche Noi Moderati) si è trovata di nuovo coesa e ritrovata sugli obiettivi comuni in vista dei prossimi appuntamenti. Coesa davanti a un piatto di pasta. Ravioli, per la precisione. Il Corriere della sera di martedì 10 settembre informa lettrici e lettori che i pentaviri (c’erano anche Lupi e Giorgetti oltre al trio Meloni-Tajani-Salvini) hanno consumato «mozzarella e ravioli di pesce». Un carboidrato e un latticino valgon bene una coalizione. Il pranzo è servito, stando al già citato retroscena di Monica Guerzoni, per «convincere gli italiani che il governo» sia «compatto e lavora serenamente, al di là delle tensioni quotidiani, degli scontri sulla Rai e sulle elezioni regionali e dei (presunti) complotti».
Eppure il Governo ha una manovra a cui badare: Giorgetti invoca la solita prudenza per non trovarsi di fronte l’ira funesta di Bruxelles/Strasburgo e la coperta sembra essere sempre corta. Talmente tanto che le stime di crescita sono ancora timidamente positive e il ministro Paolo Zangrillo ha ipotizzato, verbalizzandola, l’ipotesi di far rimanere al lavoro i dipendenti pubblici fino ai settanta (70) anni. Su base volontaria, s’intende, e assumendo «trecentocinquanta mila giovani entro il 2025».
Ma tutto questo non basta. Servono i “Draghi viola”, come nel celebre cartone animato della Disney, ma con la D maiuscola. Serve la nuova “Agenda Draghi” a cui il Partito democratico già plaude, sebbene il rapporto Futuro della competitività europea presentato dal già presidente della Bce e Primo Ministro italiano, riporti chiaramente la necessità di un aumento degli investimenti nel settore della difesa. Il plauso del Pd giungerebbe prima ancora d’aver letto il documento, verrebbe da dire: sono pur sempre quattrocento pagine di «realismo capitalista». Se Tajani approva quanto detto da Draghi, Lupi gli fa eco; un’eco talmente forte che giunge ad abbracciare (e a fondersi) con quanto ribadito da Gentiloni e Letta (Enrico). D’altra parte, a proposito di realismo capitalista, se il settore dell’automotive e della transizione all’elettrico non decolla, il vuoto deve poter essere riempito da qualcos’altro: chip, difesa, intelligenza artificiale e via dicendo. L’importante è condire il tutto con un po’ di retorica chiamando in causa il Piano Marshall e la necessità di uno sviluppo coeso.
L’Italia può interpretare un ruolo fondamentale in questo nuovo assetto europeo: produzione ed esportazione di armamenti, un settore in cui il nostro paese riesce a dire la sua con autorevolezza.
Con buona pace della Costituzione.