Aumento del 50% dei ragazzi detenuti negli istituti penitenziari minorili, sovraffollamento, aumento dei minori stranieri non accompagnati, crescita esponenziale della somministrazione di psicofarmaci.
Nel suo ultimo dossier, presentato il 2 ottobre a un anno dall’approvazione del decreto legge 123/2023 noto come Decreto Caivano, l’organizzazione Antigone lancia l’allarme: «Non avevamo mai visto nulla di simile. Nonostante la nostra lunga esperienza nel monitoraggio delle carceri italiane, è la prima volta che troviamo un sistema minorile così carico di problemi e denso di nubi. La nostra preoccupazione cresce di giorno in giorno. Non riusciamo a immaginare come potrà finire questa storia». Già, perché il sistema di giustizia minorile disciplinato dal D.p.r. 488/1988, fiore all’occhiello del nostro Paese, era guardato e studiato con interesse da tutta Europa e da diversi Paesi del mondo. Proprio grazie alla sua “capacità di differenziarsi dalle carceri per adulti e di proporre un approccio educativo e non esclusivamente repressivo”. E di cui ora resta ben poco.
Con il DL Caivano, infatti, gli istituti penali minorili hanno subito una stretta repressiva dove finiscono i ragazzi marginali, non quelli che compiono i reati più gravi: il 52,2% dei reati è infatti contro il patrimonio.
I ragazzi che attualmente si trovano negli istituti minorili sono 569 (dati al 15 settembre 2024). Dall’insediamento del governo, i giovani detenuti sono aumentati del 48%. «Un’impennata che non ha eguali e che non trova alcun fondamento in un parallelo aumento della criminalità minorile», commentano da Antigone. E che si verifica proprio a seguito del decreto voluto dal governo Meloni. Naturale conseguenza dell’aumento degli ingressi è il sovraffollamento, tanto che a Treviso e al Ferrante Aporti di Torino i giovani detenuti dormono su brandine e materassi a terra.
Ciò su cui però Antigone si sofferma nel dossier è come l’utenza degli istituti minorili sia cambiata. Sono moltissimi infatti i minori stranieri non accompagnati che finiscono in carcere. «Emblematico è il caso di M., ragazzo nato in Egitto nel 2008. Lo scorso giugno la sua tutrice volontaria ha contattato il Difensore Civico di Antigone denunciando l’improvviso trasferimento di M. dall’istituto minorile di Milano, dove si trovava in attesa di giudizio, ad un istituto della Campania» si legge nel dossier. Trasferimento ricaduto su di lui proprio in quanto senza famiglia d’origine presente sul territorio, per via della situazione di sovraffollamento del suo istituto. La tutrice di M. ha denunciato che non ha potuto salutare né avvisare nessuno: «Né me, né il legale, né gli assistenti sociali. Non è stato possibile salutare il ragazzo né recuperare le sue cose. Il minore ha forti fragilità psicofisiche e stava già soffrendo moltissimo la condizione di detenzione. Gli unici legami del minore sono a Milano: io e uno zio. La lontananza e l’impossibilità di vederlo potrebbero essere (anzi saranno) sicuramente per lui altamente dolorosi e peggiorativi»
Per tre giorni, M. è stato sorvegliato a vista perché ha tentato il suicidio diverse volte. «Per fortuna sappiamo che ora M. è tornato in Lombardia, in una comunità. Tanti ragazzi continuano invece a vagare, da un istituto all’altro, senza che per loro si trovino soluzioni concrete».
Le fragilità psichiche, assai diffuse tra i reclusi, vengono curate principalmente tramite psicofarmaci. Proprio un anno fa, in un articolo comparso su Altreconomia si denunciava come negli istituti minorili la spesa pro-capite di antipsicotici (farmaci che si usano per patologie come la schizofrenia o il disturbo bipolare) fosse aumentata del 30%.
«Una soluzione penale ad una questione sociale», scrive ancora Antigone commentando il malessere dei reclusi, che spesso sfocia nelle rivolte che in questi ultimi 12 mesi si sono verificate negli istituti minorili. Proteste contro il vitto scadente, per il divieto di partecipare a un progetto formativo, contro il sovraffollamento, contro l’obbligo di assumere la terapia di psicofarmaci.
Grida di aiuto che la politica e l’opinione pubblica cui il dossier è rivolto non si fermano ad ascoltare.
Serena Ganzarolli