Dove andrà l’America di Kamala Harris? Il programma elettorale

Dove andrà l’America di Kamala Harris? Il programma elettorale

Mancano ufficialmente meno di quindici giorni alle elezioni negli Stati Uniti d’America, e il Partito Democratico sta intensificando la campagna elettorale in vista di questa scadenza. Kamala Harris e il suo vice, Tim Walz, sono impegnati in una serie di comizi, e non sono i soli: fra gli esponenti del partito più attivi in questi giorni nella propaganda troviamo, fra gli altri, anche l’ex presidente Bill Clinton, ora impegnato in un tour nei battleground states (gli stati in bilico fra i due partiti). Anche il politico socialista Bernie Sanders, eletto come indipendente ma che ha esplicitato il suo supporto per Kamala Harris in agosto, è impegnato in una lotta senza esclusione di colpi contro Trump, mobilitando per questo anche il network socialista Our revolution, da lui fondato dopo le elezioni del 2016. La sensazione per chi vive negli Stati Uniti è molto diversa da come poteva essere anche soltanto dieci o quindici anni fa: oggi la scelta tra Kamala Harris e Donald Trump alle elezioni del 5 novembre sembra significare la scelta, più profonda, tra due modelli completamente diversi di Stati Uniti d’America. Ma quali sono le posizioni sostenute da Kamala Harris? Cosa significa, a livello di programma elettorale, un voto per il ticket democratico? Vediamolo insieme.

 

Diritti civili e Lavoro

Per quanto riguarda l’aborto, non solo Kamala Harris si è espressa a favore di una legge federale che garantisca a tutte le donne la possibilità di abortire fino a che il feto non sia di 24 settimane, ossia fino al limite della viability, della possibilità del feto di vivere al di fuori dell’utero materno. Non solo, ma la candidata democratica ha promesso di eliminare il cosiddetto filibuster for Roe, ossia il limite di 60 voti al senato utile per far approvare una legge. Eliminando questa maggioranza qualificata, e portando dunque il limite alla maggioranza semplice (51 senatori su 100) sarebbe molto più semplice per i democratici trovare i voti per far passare una legge del genere. Tuttavia, va sottolineato che questa era già stata una promessa – mai mantenuta – di Joe Biden, e dunque la Harris risulta talvolta poco credibile nel pronunciarla, in quanto attuale vicepresidente.

Kamala Harris si è anche schierata a favore di una legge federale che preveda la legalizzazione dell’uso della marijuana a scopi ricreativi, una legge che esiste già in ventiquattro Stati e che sarà votata a novembre in altri quattro (Florida, Idaho, Nebraska e South Dakota), contestualmente alle elezioni presidenziali. Per quanto riguarda la detenzione delle armi da fuoco, Kamala Harris propone il bando della vendita dei fucili d’assalto e l’estensione ad ogni tipologia di arma dei controlli del background personale dell’acquirente (già esteso a molte tipologie di armi sotto l’amministrazione Biden). A proposito dei diritti della comunità LGBTIQ+, Harris ha promesso di spingere per l’approvazione da parte del senato del Equality Act, che proibirebbe a livello federale la discriminazione nei confronti di qualunque persona sulla base dell’orientamento di genere e dell’identità sessuale, che andrebbero ad aggiungersi a razza, religione, sesso, colore e origine nazionale, tutelate dal 1964.

Per quanto riguarda le politiche sul lavoro, la Harris ha fatto eco a Trump quando il candidato repubblicano ha proposto l’eliminazione delle tasse sulle mance (una vera istituzione negli USA). La politica, che è condivisa dai due candidati, costerebbe alle casse dello Stato oltre 118 miliardi in dieci anni. Kamala Harris si è detta poi favorevole all’innalzamento del salario minimo, all’estensione del diritto al il congedo parentale e alla malattia retribuita, non unanimemente riconosciuti negli USA, e all’approvazione del Protecting the Right to Organize Act, che dovrebbe tutelare il diritto dei lavoratori statunitensi alla creazione di un proprio sindacato: tutte queste politiche, già proposte dall’amministrazione Biden, sono state bloccate al senato dalla opposizione netta dei repubblicani e perfino di alcuni democratici.

 

Economia, Sanità e Politiche Migratorie

Le misure economiche e gli interventi in materia di sanità sono argomenti piuttosto dibattuti in questa campagna elettorale.  Per quanto riguarda la sanità, che negli Stati Uniti dipende ancora oggi in larga parte dal reddito e non è affatto un diritto universale, Kamala Harris sta portando avanti alcune proposte nell’ottica di una estensione del programma medicare, che dovrebbe permettere anche alle fasce più deboli della popolazione di poter accedere alle cure. In più, Kamala Harris propone di tagliare i profitti – oggi astronomici – dei gestori della distribuzione di farmaci, di aumentare i fondi per il National Institute of Minority Health and Health Disparities (Istituto Nazionale per la Salute delle Minoranze, che si occupa di disabilità specifiche o di malattie considerate ad alta incidenza etnica, come l’anemia falciforme, che colpisce soprattutto gli afroamericani) e di includere nella copertura di Medicare anche i servizi sanitari a domicilio. Tuttavia, la candidata democratica non ha ancora presentato un piano economico per spiegare come rendere sostenibili queste proposte.

A livello economico le politiche proposte da Harris sono rivolte soprattutto nei confronti delle fasce più povere della popolazione, dei giovani e delle piccole imprese. Harris ha promesso sussidi per chi acquisterà la prima casa, la costruzione di tre milioni di nuove unità abitative per fare fronte al problema dei senzatetto, che è diventato endemico in grandi città come San Francisco, così come una legge per mettere un limite agli affitti e allo strapotere dei palazzinari (in alcuni Stati degli USA non esistono di fatto leggi che tutelino i diritti degli affittuari). Inoltre, Harris promette deduzioni fiscali per le nuove piccole aziende (fino a un budget di 50.000 dollari annui) e la creazione di 25 milioni di nuovi posti di lavoro, con un aumento di appalti federali riservati alle sole piccole imprese. Inoltre, i democratici si sono impegnati a emanare un quadro normativo per le criptovalute, oggi lasciate a loro stesse, e a offrire oltre un milione di prestiti agli imprenditori afroamericani, nell’ottica di una protezione delle minoranze. Tuttavia, anche se un timido innalzamento delle tasse per i milionari viene effettivamente proposto, in questo mare di misure economiche (alcune delle quali già messe in campo da Biden, e poi mai attuate) manca una proposta strutturata di tassazione fortemente progressiva dei grandi patrimoni, come articolata dalla sinistra socialista del Partito democratico, che garantirebbe la copertura economica a molte di queste proposte, e assicurerebbe agli Stati Uniti l’applicazione di una maggiore giustizia sociale e redistribuzione della ricchezza.

Per quanto riguarda le politiche migratorie, Kamala Harris ha dichiarato di voler riproporre la dura Border Compromise Law che il Congresso non è riuscito ad approvare nel 2024, che chiuderebbe le scappatoie nelle richieste di asilo, rendendo più arduo l’ottenimento dello status di rifugiato, darebbe al Presidente degli Stati Uniti una maggiore autorità per chiudere il confine e limiterebbe la libertà condizionata per i migranti in carcere. Anche se in passato Harris ha affermato che le politiche di separazione delle famiglie sono un abuso dei diritti umani, oggi la posizione sull’immigrazione sembra molto dura, e la sua opinione sul numero minimo e massimo di richiedenti asilo che gli Stati Uniti dovrebbero ammettere non è affatto chiara.

 

Ambiente

Kamala Harris e Tim Walz hanno adottato una posizione fortemente progressista sulle questioni ambientali, considerandole fondamentali per il futuro del paese. Harris ha ripetutamente evidenziato l’urgenza di affrontare il cambiamento climatico, affermando che il futuro parte dalla necessità di agire sul presente. La sua proposta include un ambizioso piano per ridurre le emissioni di carbonio, con l’obiettivo di raggiungere il 100% di energia pulita entro il 2030. Questo piano prevede investimenti significativi in infrastrutture sostenibili, come reti elettriche moderne e sistemi di trasporto ecologici, oltre a promuovere l’innovazione tecnologica per migliorare l’efficienza energetica. Rafforzato dalle posizioni di TimWalz, governatore del Minnesota e candidato vicepresidente, più radicali di quelle di Harris, che su alcuni temi ambientali ha sostenuto in passato posizioni più ambigue.

 

Politica estera

In generale, durante tutta la campagna elettorale si è parlato molto poco di reali proposte a livello di politica estera. Sia Kamala Harris che Donald Trump sembrano condividere la visione degli USA come poliziotto del mondo, pronti a intervenire in ogni contesto di crisi anche se lontano migliaia di chilometri. In generale, abbiamo assistito allo scambio di reciproche accuse fra i due candidati riguardo i metodi – veri o presunti – applicati per garantire il mantenimento di una forte presenza e credibilità statunitense a livello internazionale. Tuttavia, le politiche di Kamala Harris sono abbastanza chiare su due punti cruciali: un sostegno incondizionato, anche a livello militare, nei confronti del governo Zelensky in Ucraina, e il sostegno a Israele, affiancato dalla richiesta per un cessate il fuoco a Gaza e in Libano, anche se portato avanti con una certa timidezza.

La questione del sostegno a Israele e dell’appello per un cessate il fuoco è centrale per Kamala Harris, anche e soprattutto a livello di consenso interno. Ad esempio, uno degli stati in bilico fra i democratici e i repubblicani è proprio il Michigan, che ha una forte componente araba fra la propria popolazione e anche una importante comunità libanese. Anche se i leader di quest’ultima comunità hanno garantito il proprio appoggio ai democratici, le timide posizioni della Harris sul conflitto israelo-palestinese (oggi estesosi anche al Libano) e sulle migliaia di vittime innocenti causate dal regime israeliano potrebbero spostare alcune migliaia di voti o aumentare l’astensionismo nella porzione della popolazione statunitense con origini arabe. Sembra una variazione di poco conto, ma non lo è: anche poche migliaia di voti in meno potrebbero costare ai democratici la vittoria in uno dei battleground states e, dunque, la corsa alla Casa Bianca.

Kamala Harris si è poi espressa più volte a sostegno dell’autodifesa di Taiwan contro i cinesi, accusando Pechino di voler annettere l’isola, che la Repubblica Popolare considera già de facto parte del proprio territorio. Sempre in funzione anticinese lo sguardo della candidata democratica si è poi rivolto all’Africa. Ha infatti annunciato un piano misto, con partecipazione del settore pubblico e di aziende private statunitensi, per garantire in tutto il continente africano una connessione internet stabile: per alcuni questo sarebbe un grande aiuto allo sviluppo tecnologico del continente, anche se non manca chi vede in questo atto una forma di neocolonialismo, in cui gli Stati africani come Zambia, Tanzania e Ghana, nei quali anche la Cina ha oggi grandi interessi, diventerebbero totalmente dipendenti dalla tecnologia e dalle forniture statunitensi. In generale, l’atteggiamento di Kamala Harris nei confronti della Repubblica Popolare Cinese rimane abbastanza aggressivo, almeno in un’ottica di guerra commerciale contro il colosso asiatico.

 

Una vera politica progressista?

Dunque, le politiche proposte da Kamala Harris possono essere considerate progressiste? In parte sì. Se confrontiamo il suo programma con quello di Donald Trump, appare evidente che la nuova America proposta dai democratici si distanzia nettamente dal mondo come immaginato dal tycoon.

Il vero nodo della discussione, tuttavia, non è l’analisi delle proposte elettorali di Kamala Harris, ma la sua attitudine personale. Infatti, è chiaro a tutti che Kamala Harris abbia avuto la capacità di assumere, e più di una volta, posizioni diametralmente opposte sul medesimo tema, a seconda della platea alla quale si stava rivolgendo.

Prendiamo ad esempio il tema del fracking, ossia delle trivellazioni in cerca di petrolio e gas naturale, che contribuiscono ampiamente all’inquinamento del pianeta ma garantiscono anche migliaia di posti di lavoro negli Stati chiave degli USA. Kamala Harris si è detta contraria alle trivellazioni e favorevole al passaggio alle energie rinnovabili in molte occasioni, tranne quando si è trovata a parlare agli elettori della Pennsylvania, uno Stato la cui economia dipende dal fracking, ai quali ha assicurato di non voler assolutamente mettere al bando le trivellazioni. Questo atteggiamento, a volte estremamente ondivago, ha permesso a Kamala Harris di essere identificata alternativamente come fortemente progressista” o “sostanzialmente moderata”: una ambiguità che potrebbe costare alla candidata democratica l’elezione a presidente degli Stati Uniti.

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