«Sono sempre titubante nel dire di avere un’app di incontri perché sento molto forte dentro di me un pregiudizio della società non meglio specificato»
«Tre anni fa, quando ho scaricato l’app per la prima volta, percepivo un preconcetto negativo da parte dei miei amici, pur se nessuno mi diceva mai direttamente qualcosa. Come se venisse visto un po’ male a priori. Questo mi ha fatto riflettere molto: e se stessi facendo qualcosa di sbagliato?»
«Sentivo dire da alcuni coetanei di essere una ragazza facile soltanto perché ero su Tinder»
Depressione, mancata accettazione di sé, delusione sociale e pressione sulla propria immagine. Abbiamo intervistato ragazze e ragazzi tra i 18 e i 30 anni che utilizzano – o hanno utilizzato – quotidianamente le app di dating. L’obiettivo? Analizzare nel profondo quale sia effettivamente l’impatto psicologico che hanno Tinder e le altre sulla generazione post-millennials.
Negli ultimi dieci anni, il settore delle app di dating è stato sempre in costante crescita. Durante la pandemia, la galassia degli incontri online si è espansa, modificandosi. Nel 2020, le app di incontri hanno incassato circa 3 miliardi di dollari e, tra gennaio e settembre del 2021, il leader di mercato Match Group (proprietario, tra le altre, di Tinder, Hinge, Meetic e OkCupid) ha fatturato 2,2 miliardi di dollari. Molto distanziato – ma sempre di altissimo livello – è stato il ricavato di Bumble, principale concorrente, che aveva all’attivo oltre 557 milioni di dollari. Nel giro di nove mesi, quindi, le due principali società del settore avevano incassato poco meno dell’intero mercato in tutto il 2020. In più, a partire dal secondo trimestre 2020 – quello del lockdown più stringente – gli utenti paganti di Tinder erano aumentati, passando da 8,2 a 10,4 milioni, che in termini percentuali si traduce in un +16% anno su anno.
Per capire ancora meglio queste dinamiche abbiamo avuto modo di parlare con un social media manager di Tinder Japan: «Quando sono entrato in Tinder [tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, ndr.], in Giappone c’era veramente un forte pregiudizio negativo in merito alle app di dating. Assieme ad un altro collega siamo stati chiamati per cercare di ribaltare questo stigma sociale e iniziare a farci apprezzare di più». Il progetto, biennale, era quello di portare Tinder ad essere visto sui social come una piattaforma più generalista e meno improntata al dating. «Ci siamo accordati con influenti youtuber giapponesi così che potessero parlare al loro pubblico e sponsorizzare Tinder in modo originale e differente, aggirando il pregiudizio». Il lavoro è stato ripagato con un aumento di viralità, download e un trend in crescita su tutti i social, nonostante – ci dice – dal centro operativo principale di Tinder US questo nuovo look dell’app per presentarsi all’esterno non era visto di buon occhio perché avrebbe rischiato di snaturare lo scopo primario dell’app.
Oggi, infatti, il problema delle app di dating è una questione di identità: continuare a proporsi solo come un sistema che favorisce gli incontri o piuttosto aggiungere funzionalità “generaliste” che vadano a coinvolgere i gusti degli utenti (musicali, in merito allo di stile di vita, ai viaggi, alle esperienze)?
Da quel momento d’oro sono passati soltanto quattro anni ma il mercato è drasticamente cambiato. Nel 2023, Match Group ha perso oltre 40 miliardi di dollari e le app più note non riescono a reinventarsi a tal punto da cogliere i bisogni della nuova generazione. Contattare youtuber e rendersi originali dal punto di vista social pare non bastare. Una frustrazione di fondo, la pratica del ghosting e il timore del rifiuto sono soltanto la punta dell’iceberg che ha portato ad una decadenza e a una generalizzata rinuncia nel continuare ad incontrare persone su Tinder & Co.
Ma allora queste app non le usa più nessuno? Non proprio. O meglio, è avvenuto un processo più stringente di selezione all’entrata. Rispetto a prima, c’è una grande sproporzione di soddisfazione tra i fruitori che pagano e chi no. Da quando Tinder e, a cascata, tutte le altre piattaforme del network hanno deciso di porsi come freemium, sviluppando piani a pagamento, boost momentanei, modalità labirintiche accessibili ad una ristretta cerchia, il pubblico pagante si è sentito automaticamente rassicurato nel ricevere più visite sul proprio profilo, più match e, potenzialmente, una maggiore possibilità di uscire. La novità del match, però, è ormai soltanto un lontano ricordo: la gamificazione è andata già ben oltre lo swipe. E questo lo hanno capito da un bel po’ anche gli inserzionisti. La dinamica di inserire pubblicità tra uno swipe e l’altro – come accade su Tinder e Bumble – non è funzionale perché il target vede quell’annuncio soltanto come una pausa tra un potenziale match e quello successivo. Alla nostra domanda, in merito alle possibilità di come poter tornare competitivi sul mercato, soprattutto da un punto di vista di fidelizzazione di clienti delusi dall’applicazione, Match Group non ci ha risposto, ma la soluzione è piuttosto chiara nella mente degli utenti: «Il punto non è per forza trovarsi bene all’interno dell’app. È piuttosto un qualcosa di molto più egoistico. È ottenere una scorciatoia».
Un modo più veloce e facile di conoscere qualcuno che dal vivo – a quanto pare – non si trova più. Gli utenti sembrano non essere poi tanto interessati al “benessere” all’interno della piattaforma, alla comodità d’uso e a un buon matching algoritmico nel flusso di swipe.
Talvolta seguire il flusso, però, può portare a situazioni di potenziale pericolo. È stato il caso di C. «Ho sempre parlato molto con il match prima di uscirci, mentre qui – a detta sua, per problematiche di lavoro – eravamo praticamente stati costretti a vederci neanche 24 ore dopo che l’app ci aveva collegati». Nonostante ci abbia riflettuto molto prima di incontrare il match di persona «siamo stati a casa sua e quella sera mi ha invitato il giorno dopo a una serata fuori con altre sue amiche e amici. All’inizio non ci avevo visto nulla di male ma poco dopo avevo percepito che qualcosa non andasse, soprattutto perché non parlavano la mia lingua e dalle loro facce mi sentivo un pesce fuor d’acqua che non aveva compreso la situazione fino in fondo. Ho cominciato a sentirmi molto a disagio ma, al contempo, non avevo neanche la forza di tornare a casa, in solitaria, di notte». Il piano del gruppo, molto probabilmente, era quello «di fare un festino a base di alcool e sesso». Nonostante C. si trovasse in una situazione di pericolo, lo stare insieme a qualcuno in una città nella quale viveva da poco ha prevalso sullo stare soli e anche dopo quella sera – nella quale comunque, con una scusa, ha lasciato l’abitazione – «molto incoscientemente ho continuato a frequentare il match per un altro po’ di tempo. C’era talmente tanta attrazione fisica che non vedevo al di là del mio naso. È stato a tutti gli effetti un’esperienza tossica e non lo rifarei». Il trauma dell’accaduto ha portato C. a subire stalking, a sottostimarsi a tal punto da ritenersi una persona inadeguata, non apprezzata.
Il sentirsi usati può anche travalicare i confini ed estremizzarsi, con la possibilità di mettere a rischio anche la propria incolumità. T. ci ha raccontato di aver accettato un invito a casa di una persona conosciuta giusto il giorno precedente su Tinder. «Ho avuto l’incoscienza di accettare la sigaretta che mi ha passato e poco dopo mi è salito un batticuore allucinante. Molto probabilmente l’aveva corretta con la cocaina e l’ho capito perché nei suoi occhi leggevo preoccupazione ma non mi ha chiesto i motivi del perché stessi male. Credo fosse un modo per dirmi indirettamente di poter restare insieme quella notte».
Nonostante ciò, in entrambi i casi, le persone in questione hanno continuato ad utilizzare le app di dating anche dopo questi eventi negativi. Se per C. il cambiare nuovamente città poco dopo l’episodio ha contribuito a percepire come distante quella storia negativa, T. ci ha detto che «da dopo quella volta ho capito che dovevo prenderla con più calma». Alla nostra domanda se poi ha pensato, dopo l’accaduto, di disiscriversi dall’app ci ha risposto che «forse perché ero proprio inconsapevole dei pericoli. Alla fine, a fronte di un’esperienza negativa ce ne erano molte altre positive».
Certo, si potrebbe obiettare che eventi di questo tipo potrebbero accadere anche al di fuori di un’app di incontri ma è innegabile che, talvolta, queste sono degli importanti facilitatori di episodi spiacevoli. Non soltanto dal punto di vista degli incontri con altre persone. Il meccanismo psicologico insito all’interno di queste app fa sì che può accadere di essere risucchiati entro un vortice di pensieri che minano l’autostima dell’utente. Abbiamo rilevato che è il genere maschile quello che risulta il più insoddisfatto: stando agli ultimi dati rappresentano circa l’80% dell’utenza totale di Tinder. L’enorme sproporzione in termini numerici si abbatte anche sulla singola persona iscritta: in media, in un anno, un uomo con un profilo free compie 100 match, mentre le donne – sempre con un profilo gratuito – si attestano a dieci volte tanto, con più di 1800 match, per una media di cinque al giorno. Ogni match, a differenza di una donna, è grasso che cola e bisogna farsi trovare sempre pronti e performanti. Al minimo errore o mancanza di interesse scatta il ghosting. «Ho ghostato spesso. Quando lo facevo mi sentivo una persona codarda e pigra – ci raccontano – ma mi sentivo in colpa fino a un certo punto perché alla fin fine non credevo che l’altra persona ci tenesse più di tanto. Ci eravamo visti soltanto una volta magari, quindi più che altro lo facevo per scrollarmi dal senso di colpa. È stato sempre un ragionamento molto egoista ma era per sradicare ogni tipo di aspettativa».
Il processo di innovazione del dating online sta portando sempre più alla collaborazione indiretta con altre app di uso più generalista. L’ultimo caso è un network tutto italiano, Musr, ancora in fase beta, che si propone di collegare le persone mediante i loro gusti su Spotify. Deve ancora uscire ufficialmente ma la loro proposta più “soft” potrebbe far breccia nella nuova generazione. Se l’originalità sembra la cifra vincente per creare una nuova rinascita per le dating app, il rischio è quello di ritrovarsi entro una bulimia di contenuti innovativi che, alla fin fine, tanto unici non sembrano poi essere. Nell’effettivo, secondo il parere degli intervistati e di molti utenti la stravaganza, le fragilità e i difetti della persona sono banditi. In altre parole, se ti mostri come un essere umano, in tutte le tue sfaccettature, non diventi popolare. Non sei un utente che funziona.
Dipende dai casi, è vero. Ma a volte “dipende da”, più che una risposta è un’illusione. Le app di incontri potrebbero essere visti come un acceleratore di opportunità o una centrifuga di difetti repressi. Probabilmente non tocca nemmeno tanto agli utenti decidere consapevolmente quale strada percorrere.
Giovanni Maria Zinno