È stata approvata in Belgio il 1 dicembre la prima legge al mondo che disciplina la prostituzione alla pari di un qualsiasi lavoro dipendente. A due anni dalla depenalizzazione del sex work da parte del governo belga, le persone che si prostituiscono avranno accesso agli stessi diritti dei lavoratori dipendenti. Malattia, maternità, congedi, così come il sussidio per la disoccupazione e la pensione saranno garantiti dalla nuova legge.
«Ho dovuto lavorare mentre ero al nono mese di gravidanza» ha raccontato Sophie, prostituta belga, alla Bbc, che non ha potuto smettere nemmeno dopo il parto. «Non potevo fermarmi perché avevo bisogno di soldi». Grazie alla nuova legge, Sophie avrebbe i giorni di maternità che le spettano.
«È una rivoluzione che riconosce alle lavoratrici e lavoratori del sesso la protezione di un contratto di lavoro» commenta Espace B, collettivo belga. «Il lavoro sessuale non è un lavoro come un altro. La nuova legge permette alle lavoratrici e ai lavoratori del sesso sotto contratto il rispetto dei diritti fondamentali». L’associazione sottolinea inoltre come nessun elemento di favoreggiamento sia stato messo in atto. Accusa principale avanzata proprio dalle associazioni abolizioniste.
Forte la condanna di queste organizzazioni, come Isala, che accusa la legge di favorire i protettori. «La persona prostituta è – ora legalmente – subordinata a lui o a lei in base a un contratto di lavoro» si legge in un comunicato. «Ciò significa che i protettori/datori di lavoro stabiliscono le condizioni di lavoro, i prezzi degli atti sessuali e gli orari di lavoro. In questo modo si normalizza lo sfruttamento del corpo e della sessualità delle donne e si legittima il fatto che i “clienti” possano acquistarle da un protettore terzo che sarà pagato legalmente». Isala punta il dito contro la nuova legge in quanto contraria agli standard del diritto internazionale, in particolare la Convenzione di Istanbul che combatte la violenza contro le donne e la Convenzione delle Nazioni Unite per la repressione della tratta di persone e dello sfruttamento della prostituzione altrui.
Il Belgio apre così in Europa uno scenario legislativo inedito, andandosi ad aggiungere all’elenco dei sette paesi europei dove la prostituzione è riconosciuta come un’attività lavorativa vera e propria. Già in Germania, Austria, Paesi Bassi, Svizzera, oltre a Grecia, Ungheria e Turchia esistono infatti delle leggi che regolamentano l’attività e che però, secondo alcuni, non hanno influito positivamente sulle condizioni di vita delle prostitute o sulla diminuzione del fenomeno, come auspicato.
Secondo uno studio dell’università di Heidelberg, la legalizzazione della prostituzione in Germania nel 2001 ha portato anzi a un aumento della stessa. I dati della polizia criminale tedesca divulgati nel 2015 in Italia dall’Espresso confermavano che la regolamentazione non aveva inciso sulla diminuzione de fenomeno della tratta di esseri umani. Sottolinea in questo senso la psicoterapeuta e attivista abolizionista tedesca Ingeborg Kraus: «Da una prospettiva psicotraumatologica la transizione tra la prostituzione forzata e quella volontaria è fluida. È difficile separare chiaramente questi due termini e trattarli separatamente».
E L’ITALIA?
In Italia è attualmente in vigore la legge Merlin, che nel 1958 ha istituito il reato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, adottando così una legge di compromesso che non punisce né il cliente, né la prostituta. Tuttavia, da allora sono state numerose le pronunce sul tema: con la sentenza 115 del 2011, ad esempio, la Cassazione ha definito la prostituzione “attività lecita”. Già nel 2010, un’altra sentenza aveva stabilito che il mancato pagamento della prestazione sessuale fosse pari allo stupro.
Del 2019 è un’altra pronuncia decisiva della Corte costituzionale, che rileva come il modello neo-abolizionista (noto anche come “modello nordico” in vigore in Svezia, Norvegia, Islanda e altri paesi) sia incompatibile con la Costituzione.
Proprio in senso neo-abolizionista, la senatrice Alessandra Maiorino (M5S) ha presentato nel 2022 un disegno di legge di matrice neo-abolizionista, al termine di un’ampia indagine conoscitiva sul tema avviata nel 2019 (la prima svolta dall’entrata in vigore della legge Merlin), e che puntava a punire il cliente. «L’unico sistema che limita il danno è il sistema nordico, che individua nella domanda il motore di tutto», sostiene Maiorino.
Intorno al tema, tutte le forze politiche sono polarizzate: sia le organizzazioni femministe così come i partiti politici, compresi quelli di destra.
«Le donne non sono macchinette da soldi: colpire i clienti», aveva affermato nel 2019 Giorgia Meloni, al contrario della Lega di Salvini, favorevole alla regolamentazione della prostituzione e anche alla riapertura delle cosiddette “case chiuse”. Misura contro la quale, invece, si scagliano le associazioni di sex workers.
Ma la questione più urgente, per l’Italia, è capire se la legge Merlin sia ancora uno strumento in grado di far fronte alle sfide e ai problemi sorti con le nuove piattaforme online dove è possibile offrire servizi sessuali a pagamento e che, di fatto, sfruttano la prostituzione applicando una percentuale sul fatturato delle “creator”.
Come fa notare Maiorino in un’intervista rilasciata a Fanpage: «La differenza con la prostituzione classica è che qui gli sfruttatori ti vengono a prendere fin dentro la cameretta con la lusinga di farti diventare influencer, creator, famosa. Quale fascinazione maggiore? Fare soldi, diventare famose, diventare personaggio. Perché mai una ragazza dovrebbe dire di no?».
Serena Ganzarolli