A Capodanno, attorno alle tre di notte, la città di New Orleans è stata colpita da uno dei peggiori attentati nella storia recente degli Stati Uniti. Un uomo alla guida di un pick-up Ford F-150 si è lanciato a folle velocità in piena Bourbon Street, la via simbolo dei festeggiamenti per il nuovo anno nella città della Louisiana, percorrendone un tratto e cercando di investire quante più persone possibili. Poi, una volta sceso dal veicolo, si è messo a sparare all’impazzata e, coinvolto in un conflitto a fuoco con la polizia, è rimasto ucciso. Il bilancio dell’evento è di quindici morti, incluso l’attentatore, e almeno 35 feriti. Bourbon Street e l’area circostante sono rimaste chiuse al pubblico fino all’una di pomeriggio del 1° gennaio, quando la vita nella città è tornata lentamente alla normalità, dopo lo shock collettivo provocato dagli avvenimenti delle ore precedenti.
Poche ore dopo l’attacco sono iniziate a circolare, con una velocità impressionante, numerose false notizie. Fox News, uno dei principali canali televisivi statunitensi notoriamente schierato su posizioni neoconservatrici, ha diramato la notizia, poi rivelatasi falsa, secondo cui il pick-up usato per l’attentato avrebbe attraversato il confine fra Messico e Stati Uniti, nell’Eagle Pass, in Texas, in data 30 dicembre. Con il tempismo che lo contraddistingue, il neoeletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump – che inizierà a ricoprire effettivamente la carica solo a partire dal prossimo 20 gennaio – è intervenuto un minuto dopo il servizio di Fox News con un commento sul suo social Truth. «Quando ho detto che i criminali che entrano nel paese sono molto peggio dei criminali che abbiamo nella nostra nazione» ha dichiarato Trump, «le mie parole sono state sempre contestate dai democratici e dai Media che diffondono fake news, ma è venuto fuori che si tratta della verità». Il tycoon ha dunque legato l’attentato al tema dell’immigrazione illegale, ma non avrebbe potuto essere più in errore di così: infatti l’autore dell’attacco non è un immigrato illegale, bensì Shamsud-Din Jabbar, un cittadino degli Stati Uniti, texano originario della Louisiana e veterano dell’esercito statunitense, per il quale ha combattuto in Afghanistan. Ciononostante, Donald Trump ha rincarato la dose con nuove dichiarazioni il giorno successivo, affermando che i Democratici passerebbero «tutte le loro ore da svegli attaccando illegalmente il loro avversario politico, ME, piuttosto che concentrarsi sulla protezione degli americani dalla feccia violenta esterna e interna che si è infiltrata in tutti gli aspetti del nostro governo e della nostra stessa Nazione». In una temperie di reazioni violente da parte repubblicana, peraltro a campagna elettorale finita e a elezioni avvenute, non solo Donald Trump non ha ritrattato queste dichiarazioni, ma è stato anche seguito da numerosi esponenti del suo stesso partito che si sono espressi su una simile lunghezza d’onda. Fra questi, il senatore del Missouri Josh Hawley ha preteso che il Senato interroghi ufficialmente Alejandro Mayorkas, il segretario democratico alla Homeland Security nell’amministrazione Biden, che ha già subito un tentativo di impeachment da parte dei repubblicani. La senatrice repubblicana per la Georgia Marjorie Taylor Greene, considerata uno degli elementi più a destra del Congresso, responsabile della diffusione di numerose teorie del complotto antisemite e suprematiste bianche, ha rilanciato il servizio di Fox News, chiedendo a gran voce la chiusura dei confini.
In realtà, a quanto si evince dalle prime ricostruzioni, Jabbar – dopo essere tornato dall’Afghanistan e dopo la fine del proprio servizio attivo nell’esercito – avrebbe maturato una conversione all’Islam, religione alla quale si era convertito già suo padre, che aveva appunto cambiato il cognome da Young a Jabbar, anche se buona parte della famiglia aveva continuato a frequentare la locale chiesa battista. In questo contesto, l’attentatore si sarebbe spostato sulle posizioni dello Stato Islamico, che molto poco hanno a che fare con la maggioranza dei musulmani residenti negli Stati Uniti, e sarebbe stato ispirato dalle azioni dei membri dell’Isis per organizzare l’attentato, tanto che – secondo fonti della polizia – sul mezzo usato per la strage sarebbe stata ritrovata anche una bandiera nera dello Stato Islamico, oltre a una serie di ordigni di produzione artigianale. L’FBI sta al momento ancora indagando su eventuali connessioni fra l’attentatore e l’Isis come movimento organizzato, anche se sembra più probabile che Jabbar sia stato ispirato dalle teorie dell’estremismo wahhabita ma che abbia agito come cane sciolto. Avrebbe così progettato da solo l’attentato a New Orleans, la città principale dello Stato da quale proviene la sua famiglia; il 30 dicembre avrebbe poi noleggiato il pick-up a Houston, Texas, tramite Turo – agenzia che permette il noleggio di veicoli fra privati, simile al servizio offerto da AirBnb per le case – e avrebbe guidato nella serata del 31 dicembre dal Texas alla Louisiana, portando a termine l’attacco nella notte di Capodanno, nella città invasa dai turisti.
Nei giorni successivi all’attacco si è sviluppato un dibattito a New Orleans proprio sulla questione delle misure di sicurezza introdotte durante i festeggiamenti. Considerato che Bourbon Street è da sempre uno degli epicentri della vita notturna nel centralissimo quartiere francese della città, molti hanno criticato l’amministrazione cittadina per non aver protetto in maniera efficace quell’area. Ad esempio, New Orleans è dotata da anni delle Archer, barriere temporanee di metallo atte a fermare i veicoli in corsa nelle aree pedonali frequentate dai turisti. Tuttavia, in vista dei festeggiamenti di Capodanno tali barriere erano state dislocate in altre aree della città, ma non in Bourbon Street. A proposito di questo deficit nelle misure di sicurezza è intervenuto il vice-governatore della Louisiana Billy Nungesser, noto finora più che altro per aver indossato in pubblico dei calzini con tanto di volto e capelli in rilievo di Donald Trump, che ha definito la questione «un completo fallimento nella responsabilità di mantenere la città al sicuro». A queste parole ha risposto il dipartimento di polizia di New Orleans, che non ha voluto condividere in conferenza stampa i piani di sicurezza messi a punto per l’occasione ma che ha affermato, tramite un portavoce, che «si valutano e aggiustano continuamente questi piani per tenere la comunità al sicuro». In questo dibattito è entrato a gamba tesa Steve Scalise, membro della Camera dei Rappresentanti per la Louisiana e leader della maggioranza repubblicana alla camera. Scalise, intervistato da una radio locale, a proposito dell’agenzia per la Homeland Security ha affermato che «alcune di queste agenzie si sono fatte coinvolgere dal movimento DEI (Diversity, Equity and Inclusion, NdA) – chiamatelo wokeness, chiamatelo come volete – dove l’attenzione principale è rivolta alla diversità e all’inclusione, invece che alla sicurezza. E sono due cose molto diverse. Dobbiamo tornare alla missione principale. E questo è accaduto anche nel Dipartimento della Difesa, lo abbiamo fatto notare alla Sicurezza Nazionale, lo abbiamo fatto notare all’FBI. Se non altro, torniamo a concentrarci su queste agenzie per mantenere l’America sicura, punto». Una cosa, dunque, sembra chiara: la polemica attorno alla sicurezza è uscita dal tema dell’amministrazione di New Orleans ed è entrata a pieno titolo nel dibattito politico statunitense, che sembra ormai sempre più violento nonostante le elezioni siano passate da due mesi.
Davide Longo