Ripercorrendo la storia del partito Alternative fur Deutschland l’impressione è quella di trovarsi in una distopia da incubo. O da operetta.
A tratti si potrebbe pensare di vivere in una realtà alternativa: braccio destro alzato, svastiche sul bicipite, slogan di 80 anni fa che speravamo fossero morti e sepolti. Invece è tutto vero, e appare sempre più verosimile a fronte dell’ascesa dell’estrema destra, uno dei principali fenomeni politici sovranazionali degli ultimi anni.
Che cosa è successo e ha reso possibile l’ascesa di un partito politico nostalgico del nazismo come Alternative fur Deutschland? Cerchiamo di ricostruire la storia del partito, i suoi personaggi e le sue istanze politiche.
Alternative fur Deutschland, la genesi
È il 2013 e in Germania è tempo di elezioni: spira il vento dell’euroscetticismo, legato soprattutto alla crisi del debito dei Paesi dell’Eurozona. È questo il clima politico che favorisce la nascita e l’esordio di Alternative fur Deutschland (AFD), un partito di estrema destra che si fonda su alcuni principi: l’avversione alla moneta unica, un forte nazionalismo e un’altrettanto forte islamofobia.
Tra i semi dai quali germoglia AFD c’è anche il libro pubblicato nel 2010 dall’economista Thilo Sarrazin, legato al Partito social-democratico: il saggio Deutschland schafft sich ab (La Germania si autoelimina), tra i primi a paventare la minaccia rappresentata dagli emigrati di fede islamica. A favorire la nascita del giovane partito della destra nazionalista, allora più moderato di come appare oggi, è anche la crescente insoddisfazione nei confronti dell’allora premier della Christian Democratic Union (CDU) Angela Merkel. Non è un caso se il neonato partito ha tra i suoi fondatori diversi membri appartenenti alla cerchia dell’ex cancelliera.
Nel 2013 Merkel è tra i principali candidati delle elezioni federali, che vedono in corsa anche Peer Steinbrück, leader del Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD, il Partito Socialdemocratico), in rappresentanza della sinistra, e Rainer Brüderle del Freie Demokratische Partei – FDP, Partito Liberal Democratico) come principali antagonisti.
Non possono mancare alcuni outsider, tra cui proprio AFD, partito capitanato da Bernd Lucke, che in quella tornata elettorale riuscirà a conquistare poco più di 2 milioni di preferenze, pari al 4,70%: numeri, questi, che non le permetteranno di conquistare seggi in Bundestag, il Parlamento Federale tedesco, al quale per accedere bisogna superare la soglia minima del 5%. Vincerà con netto vantaggio Merkel, con oltre 18 milioni di voti e il 41,5% dei voti, inaugurando il suo terzo e ultimo governo alla guida della nazione tedesca.
Un partito, e un’ideologia, in costante crescita
In questi ultimi 12 anni, Alternative fur Deutschland ne ha fatta di strada. Anche grazie alle politiche xenofobe e anti-immigrazione, alle elezioni federali indette in Germania nel 2017 il consenso del partito è molto cresciuto: dal 4,70% delle preferenze si passa al 12,64%. AFD è il terzo partito del Paese, e per la prima volta entra in Parlamento forte di 94 deputati. Alle successive elezioni federali del 2021 si mantiene al di sopra del 10% delle preferenze e incassa quasi 4,7 milioni di voti.
Nel frattempo ottiene anche successi a livello regionale ed europeo, vira sempre più verso posizioni estreme e cambia più volte leader, uomini e donne. A Lucke succederà Frauke Petry (2015), dopodiché Lucke abbandonderà AFD per fondare Liberal-Konservative Reformer (LKR) oggi conosciuto come Wir Bürger (Noi cittadini). Gli altri leader di AFD saranno un’altra donna, Alice Weidel (2017), che ha guidato l’opposizione di governo fino al 2021. Oggi è ancora lei, assieme a Tino Chrupalla, a capitanare il partito.
L’ideologia di Alternative Fur Deutschland
Come abbiamo spiegato in precedenza, il partito è nato sulla spinta del crescente euroscetticismo, fin da subito contraddistinto da uno spiccato nazionalismo. Nazionalismo che si esprimeva sotto forma di lancio di referendum popolari per difendere la sovranità nazionale della Germania. Negli anni il partito ha preso una netta deriva verso posizioni radicali, negazioniste (anche del cambiamento climatico), razziste, persino neo-naziste.
Una netta svolta c’è stata con l’adesione al Pegida (Patriotische Europäer gegen die Islamisierung des Abendlandes), organizzazione populista nata nel 2014 e caratterizzata da xenofobia e anti-islamismo, volta a contrastare la presunta islamizzazione dell’Occidente. Il fondatore di questo movimento, Lutz Bachmann, è stato ripetutamente condannato per incitazione all’odio razziale, dopo avere in molteplici occasioni apostrofato i rifugiati come “bestie” e “feccia”.
Nel 2015, Bachmann si dimise dopo essere apparso il 21 gennaio 2015 sulla prima pagina del quotidiano tedesco Bild raffigurato come un emulo di Adolf Hitler.
Uomini (e donne) scomodi
Periodicamente l’Afd si trova a gestire situazioni e personaggi scomodi cui è legato, dai quali dà mostra di dissociarsi pubblicamente. È questo il caso del candidato AFD alle ultime elezioni europee, Maximilian Krah, famoso per aver detto tra le SS naziste “non erano tutti criminali”: come conseguenza è stato bandito da qualsiasi apparizione pubblica di carattere elettorale. Da lui ha preso le distanze anche il principale alleato di AFD in Europa, il Rassemblement National di Marine Le Pen.
Che dire, poi, di Björn Höcke? Leader del partito in Turingia (Germania centro-orientale, uno dei feudi dell’AFD), ha concluso la campagna elettorale pre-elezioni con queste parole: “Qualsiasi partito del cartello voi votiate avrete più Ue, più euro, più multiculturalismo, più insicurezza, più retorica della guerra, meno identità tedesca, e avrete meno Germania. E noi questi li manderemo a casa”. In passato è stato condannato due volte per aver usato slogan nazisti e ha dichiarato che i tedeschi sono “le uniche persone al mondo che hanno piantato un memoriale della vergogna nel cuore della loro capitale”, alludendo al Memoriale dell’Olocausto di Berlino.
L’attuale leader in capo all’Afd, Alice Weidel, si è espressa più volte favorevole a vietare niqab e burqa, nonché il velo che sarebbe il “simbolo assolutamente sessista di un’apartheid tra uomini e donne”. In una recente intervista a Elon Musk ha rivelato qual è la sua idea di Germania: una Germania fuori dall’Unione Europea, con una “Dexit” ispirata alla Brexit del Regno Unito.
Una delle posizioni più controverse è quella riguardante l’immigrazione. Weidel ha recuperato il termine remigrazione, reso celebre da Martin Sellner, attivista di estrema destra interdetto sia dalla Germania che dalla Svizzera, che si riferisce all’espulsione forzata di cittadini di origine straniera, anche in possesso di cittadinanza tedesca, in caso di mancata integrazione. Così la leader di AFD: “Se remigrazione si deve chiamare allora si chiamerà remigrazione”.
Ma Weidel non si è fatta mancare nulla. Nemmeno la frase “Hitler era un comunista” che tanto ha fatto discutere, e la definizione dei suoi contestatori, membri dell’estrema sinistra come “nazisti dipinti di rosso”.
Alla realtà alternativa di Alternative fur Deutschland, a quanto pare, non c’è limite.
Giulia Bucelli