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The Brutalist- L’Arte tra il dolore del ricordo e il peso dell’ambizione

The Brutalist- L’Arte tra il dolore del ricordo e il peso dell’ambizione

Presentato in anteprima all’81ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove è anche risultato vincitore del leone d’argento alla miglior regia, The Brutalist è l’ultima fatica cinematografica del regista statunitense Brady Corbet; il film, da subito accolto con favore da pubblico e critica, ha anche ottenuto finora tre Golden Globes (miglior film drammatico, miglior regista e miglior attore in un film drammatico) e dieci candidature ai premi Oscar.

La trama narrata nella pellicola segue la vita dell’architetto ebreo Lázslo Tóth (immaginato e creato dallo stesso Tóth), emigrato negli Stati Uniti dopo essere riuscito a scampare alla tragedia dell’Olocausto. Nelle tre ore e mezza di durata, sullo schermo vengono mostrate le difficoltà di un’esistenza ricolma di crepe insanabili: dalla difficoltà dell’ambientamento in una terra che, pur accogliendo gli esuli, disprezza il diverso (non è un caso che il film sia ambientato in Pennsylvania, una delle roccaforti del sentimento bianco e protestante che ha caratterizzato, e caratterizza tutt’ora, la cultura degli Stati Uniti) al desiderio di ricongiungersi con la sua famiglia a causa delle complicazioni della guerra; dall’impossibilità di dimenticare gli orrori vissuti al desiderio di nascondere tutto all’ombra di un ambizione estremamente trainante; infine, dall’amore per l’arte alla sottomissione nei confronti del capitalismo e della classe dominante – rappresentata da magnati pronti a disporre degli altri come se fossero padroni delle vite altrui. Corbet, dunque, mette in scena una grande epopea in grado di inglobare al suo interno un numero altissimo di sottotrame e tematiche parallele che oltre a raccontare la storia del protagonista, descrivono l’essenza degli Stati Uniti del secondo dopoguerra. La durata dell’opera è figlia della necessità di un racconto che fa della sua lunghezza il mezzo principale attraverso cui raccontare le vite dei personaggi – e la vita in generale. Tale lunghezza, tuttavia, è anche il risultato di una seconda sezione della pellicola che in diversi momenti sacrifica sull’altare del formalismo narrazione e ritmo per compiacere gli spettatori e il regista stesso. Quest’ultimo, infatti, nei momenti citati sembra sopraffatto dalla grandezza di ciò che vuole raccontare e, soprattutto, mostrare. Tale sopraffazione è evidente nel modo in cui viene messa in scena la risoluzione finale: fin troppo sbrigativa e supreficiale. Inoltre, nell’epilogo, il regista, in un certo senso, rompe la magia del racconto per spiegare infine il significato del film stesso. La grande ambizione che rende The Brutalist un film molto interessante, purtroppo, ne affossa il finale.

La fotografia è uno dei punti più alti di questo film: Lol Cravey (già collaboratore di Corbet nei suoi due precedenti film) fa un lavoro sontuoso riuscendo a regalare allo spettatore una serie di inquadrature davvero di altissimo livello. Anche le musiche composte da Daniel Blumberg sono di altissimo livello. Il montaggio segue l’andamento del film: nella prima parte è senza sbavature; nella seconda perde il focus nei momenti precedentemente descritti.

Il vero fiore all’occhiello del film, tuttavia, è rappresentato dalla recitazione del cast: non è un caso, infatti, che tra le dieci candidature agli oscar ci siano quelle al miglior attore protagonista, Adrien Brody, miglior attrice non protagoinsta Felicity Jones, e miglior attore non protaonista, Guy Pearce. Tutti loro regalano al pubblico grandi interpretazioni. Non ci si può esimere, però, dal dire che Brody, nei panni di Tóth, è l’attore che svetta sugli altri e che probabilmente qui raggiunge uno dei picchi della sua intera filmografia.

 

 

 

 

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