Parafrasando un famoso film dei fratelli Coen diremmo che non è un Festival per vecchi. Lo dice l’età media (27,6 anni) dei finalisti dell’edizione 2024. Lo dice la fascia di pubblico 14-25 anni che rappresentava l’85% dell’audience nella fase finale di Sanremo, il più giovane di sempre (fonte Rai). Non più un Festival per artisti Big, segnati dalla gavetta e alcuni album al seguito, ma un’oasi per artisti “Early Big”, talent(i) prodotti dalla tv commerciale e pay tv – su tutti Amici di Maria e X Factor – che hanno ormai stabilito un’egemonia per presenza e vincendo la metà delle ultime 15 edizioni.
Anche il modo di seguire il Festival è cambiato. La prima edizione, nel 1951, era uno spettacolo per il Casinò Municipale di Sanremo dove «il pubblico era scarso, tanto che fu necessario trovare delle persone da sistemare ai tavolini rimasti vuoti nella grande sala», racconta Leonardo Campus (fonte Focus). Se dal 1953, con l’avvento delle prime trasmissioni, il Festival si seguiva nei bar, intorno a una sola TV, con il boom economico degli anni ‘60 la fruizione diventa domestica con la televisione che riunisce la famiglia.
Si tratta della prima rivoluzione tecnologica a cui si affianca quella culturale e musicale con programmi come “Il Musichiere” o “Canzonissima”, l’arrivo del Rock e dello Swing in Italia con la generazione dei famosi “Urlatori” al Festival. La seconda rivoluzione tecnologica l’abbiamo vissuta negli ultimi 15-20 anni con la diffusione di internet a banda larga e i servizi on demand, video e audio streaming. Il Festival ora si (ri)guarda quando vuoi, dove vuoi, con chi vuoi e nel palmo della tua mano: “Rai Play lo scorso anno ha registrato oltre 25 milioni di visualizzazioni nella sola giornata della finale, con un picco di 816 mila device connessi” (fonte Rai).
Lo streaming è il risultato di una rivoluzione dal basso avvenuta a fine millennio. Chi fa parte ancora della Generazione Y (millennials) saprà cos’è Napster. Per quelli della Generazione Z – il nuovo pubblico “core” di Sanremo per intenderci – va spiegato che Napster e la tecnologia peer-to-peer sono stati i traghettatori della musica dal supporto analogico al digitale (vinili, cassette e cd ed mp3) a quello streaming con piattaforme come Spotify.
Fu un processo di democratizzazione della musica, dove dal 1999 la condivisione attraverso il peer-to-peer permetteva di scaricare singole canzoni, album o intere discografie da scambiare online. Basta comprare album, masterizzarli da un amico o attendere il passaggio in radio! Rivoluzione, sì. Pirateria, anche. Pagavi per utilizzare il programma mentre agli artisti non venivano concesse royalties con grande disappunto delle case discografiche. “Dal 2001 una corte ordinò a Napster, con 80 milioni di utilizzatori stimati, di impedire lo scambio di materiali protetti da copyright” (fonte Il Post). Napster non fu più lo stesso ma neanche l’industria discografica.
La pirateria era il presente, lo streaming il futuro. Mentre aziende come Blockbuster (home video) credevano che internet sarebbe stata una moda, fallendo così irrimediabilmente, altre aziende come Netflix hanno investito nel video streaming diventando un colosso. Lo stesso accadde con Spotify per la musica streaming con una differenza sostanziale rispetto a Napster. «Le etichette discografiche, nel disperato tentativo di evitare di commettere gli stessi errori, investirono presto in Spotify per assicurarsi di controllare il futuro dello streaming», scrive il giornalista August Brown (fonte Il Post).
Spotify è la piattaforma dove si ascolta il Festival, dopo averlo visto in TV, ma anche il canale privilegiato che oggi più di tutti diffonde la musica del Festival a livello internazionale laddove in passato furono la radio e la televisione a ricoprire tale ruolo. “Per dare un’idea, lo scorso anno, durante la settimana di Sanremo, la playlist dedicata al Festival è stata la seconda playlist editoriale più ascoltata al mondo. Un risultato enorme” (fonte Ninja).
Se consideriamo che nella serata finale della scorsa edizione è stato registrato un picco di share del 25,5% e un picco di ascolti da 18 milioni di telespettatori, si intuisce il potenziale commerciale per gli artisti della kermesse sanremese. Ognuno di noi ha uno smartphone connesso a internet e, fra i più digitali, l’app di Spotify installata. Ciò si traduce in un super boost: “solo sulla piattaforma di Spotify sono cresciuti anche gli ascoltatori degli artisti in gara dopo la partecipazione al Festival. Complessivamente, il Lunedì dopo l’evento, rispetto alla settimana precedente gli ascoltatori sono saliti del 62%” (fonte Agenda digitale).
Sorge dunque una domanda “marzulliana” restando in casa RAI: Spotify fa bene al Festival o è il festival che va bene a Spotify? La risposta è entrambi. Ci guadagna Sanremo, ci guadagnano gli artisti in gara, ci guadagna Spotify. «Se da un lato, infatti, Spotify può aiutare il Festival a raggiungere le nuove generazioni che fanno dell’ascolto sulla piattaforma il loro modo primario di ascoltare musica, il Festival a sua volta, col suo pubblico trasversale, aiuta Spotify a raggiungere target meno attivi» (Ester Gazzano, Spotify).
La terza rivoluzione riguarda la relazione fra il Festival, gli artisti e il suo pubblico. Un rapporto completamente nuovo grazie al radicamento dei social media nelle nostre vite. In passato la fruizione del Festival era passiva, dalla tv allo spettatore, per poi essere commentata, nel proprio piccolo, il giorno dopo al lavoro o al bar. Oggi l’esperienza è attiva, condivisa, partecipata e live. “L’evoluzione del Festival di Sanremo è testimone di un profondo cambiamento nelle dinamiche sociali durante l’evento. Non è più sufficiente essere semplici spettatori, ma piuttosto partecipanti attivi in un dialogo online che si svolge in tempo reale” (fonte Mentora)
Il Festival di Sanremo è uno dei pochi eventi nazional popolari, secondo solo al discorso del Presidente della Repubblica, e seguito forse dalle partite della Nazionale di calcio italiana. Per gli artisti in gara diventa fondamentale l’interazione con il proprio pubblico, non più solo quello in sala – termometro di gradimento immediato tra applausi e standing ovation – ma anche quello da casa attraverso i social media. Sanremo va oltre l’esperienza al Teatro Ariston, l’interprete sfonda virtualmente la quarta parete, non è più solo sul palco ma anche in costante conversazione (online) con il proprio pubblico. Questa nuova interazione gioca un ruolo importante in termini di visibilità e può influire anche sul successo della canzone stessa dentro e fuori dal Festival.
Emiliano Prisco