Gli ultimi sondaggi relativi alle intenzioni di voto, stando a YouTrend per SkyTG24, consegnerebbero un divario ancor maggior tra Partito democratico e Fratelli d’Italia. Perlomeno fino al 10 febbraio: data d’avvio del Festival di Sanremo, delle polemiche tra Italia e paesi dell’ex Jugoslavia per il Giorno del ricordo e del seguito degli scontri tra governo e magistratura. L’Associazione nazionale magistrati ha disposto uno sciopero per il 27 febbraio a cui esponenti della maggioranza (l’on. Gasparri) hanno proposto di scioperare con la coccarda rossa sulla giacca. Tanto per “raffreddare gli animi” tra le parti, verrebbe da pensare.
FdI avanti (nonostante l’astensione aumenti)
Il divario che la segretaria del Pd Elly Schlein vorrebbe riuscire a colmare è, al momento, un obiettivo piuttosto lontano: 6,4 punti percentuali separano il 29,2% di FdI dal 22,8% del Partito democratico. La cifra che manca al Pd è la medesima che raggiungerebbero Verdi e Sinistra Italiana (Alleanza Verdi-Sinistra) la cui unione si attesterebbe al 6,4%. I referendum della Cgil prossimi al voto potrebbero essere più un intralcio che una sponda per la segretaria democratica: il, pur frastagliato e sempre più granulare, mondo a sinistra dei democratici potrebbe cercare non già una rappresentanza quanto una valvola di sfogo recandosi alle urne per i referendum del maggiore sindacato italiano.
“Noli me tangere”
Nonostante da fine gennaio il Presidente del consiglio dei ministri risulti «iscritta nel registro degli indagati» per il caso Almasri, la polemica che è seguita nei confronti della magistratura sembra non aver intaccato la popolarità del governo. Insieme a Meloni sono indagati anche Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano mentre Carlo Nordio lo è per favoreggiamento e omissione d’atti d’ufficio. Il caso arriva alla Camera e le opposizioni paiono unite per la prima volta. Tutte tranne Azione, in evidente caduta libera in termini di consenso elettorale (Calenda contestava ‘i partitini che condizionavano i grandi schieramenti’ ed è diventato egli stesso rappresentante di uno dei sei partiti di centro che affollano i due rami del Parlamento e che non supererebbe il quorum neanche lontanamente). L’affondo di Magistratura democratica nei confronti del ministro Nordio non ha fatto altro che incrinare i rapporti tra magistratura ed esecutivo: «Il Ministro della giustizia – ha dichiarato Md subito dopo le dichiarazioni rese alle Camere dal guardasigilli – non ha spiegato, come avrebbe dovuto, perché un uomo accusato di avere “picchiato, torturato, sparato, aggredito sessualmente e ucciso personalmente detenuti, nonché ordinato alle guardie di picchiarli e torturarli” (come si legge negli atti della Corte penale internazionale) sia stato scarcerato per una deliberata omissione del governo italiano».
Il caso
Alfredo Mantovano, in ogni caso, detiene la delega ai servizi e ha dichiarato di aver «incorniciato quell’avviso» di garanzia. Il punto è che sui servizi aleggia anche un altro spettro: quello dello spyware Graphite prodotto dall’azienda israeliana Paragon. Secondo Giovanni Caravelli, direttore dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna «è tutto in regola», così come ha confermato durante l’audizione al Copasir e riportato dal Corriere della sera.
Ma il punto è evidentemente un altro: se anche fosse in regola, le informazioni collazionate da Graphite sarebbero ubicate in server israeliani, ça va sans dire. Dunque attraverso l’utilizzo dello spyware prodotto da Paragon, una mole di dati sarebbe transitata dall’Italia ad altri paesi. Dati personali trattati, con tutta evidenza, non secondo le leggi italiane od europee ma secondo gli standard dei paesi di ubicazione dei server. Un vortice di concause che farebbero apparire la vicenda ancor più torbida di quanto non si stia già dimostrando d’essere. Alla faccia delle crittografie millantate dalle più popolari applicazioni di messaggistica istantanea. Allo stesso modo quel che ha rivelato Domani il 12 febbraio, farebbe da corollario a quanto già detto: la liberazione di Almasri sarebbe stata una mossa in una partita a scacchi le cui mosse sono ancora oscure ai più.
Ma a Meloni non importa: se la stabilità del governo sembra vacillare, basta che ritorni in aula a contare i numeri che sono a suo favore. Sì perché data la legge dell’ormai fu Movimento a guida Grillo sul taglio dei parlamentari, ora i governi hanno le mani più libere, come si direbbe proverbialmente. Certo, ci sono meno eletti ma la maggioranza, nonostante le sfaccettature, è col governo e poi l’importante è non far lavorare il Parlamento e procedere a colpi di decreti.
Almasri o no, Meloni vuol continuare a traghettare la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza verso il presidenzialismo all’italiana. O premierato. L’importante è che decida uno solo.
Marco Piccinelli Serena Ganzarolli