Cpr albanesi: un nuovo “piano Rwanda” europeo?

Cpr albanesi: un nuovo “piano Rwanda” europeo?

Lavoratori dei centri albanesi licenziati, la magistratura che, per tre volte, ha detto di no al trattenimento dei migranti in Albania. Il fallimento dell’accordo Rama – Meloni sembra inevitabile. Eppure, il ministro dell’interno Piantedosi non si arrende all’evidenza: durante il question time del 13 febbraio ha dichiarato che i centri in Albania potranno essere utilizzati come centri per i rimpatri, ovvero come quei luoghi in cui Ousmane Sylla si è tolto la vita e dove, come documentato, gli atti di autolesionismo sono all’ordine del giorno. Qui i detenuti non hanno nessuna colpa se non quella di non avere i documenti in regola.

«In Albania un centro per i rimpatri c’è già», ha spiegato Piantedosi «Usarlo non determinerà nessun costo aggiuntivo». Precisazione dovuta, visto che il costo dell’operazione si aggira attualmente intorno al miliardo di euro. Replica dall’opposizione Rachele Scarpa (PD): «In Italia i Cpr sono già un colabrodo. Sono un luogo di maltrattamenti e suicidi. La chiameranno gestione dell’immigrazione, io la chiamo propaganda».

Ma la trasformazione dei centri in Albania in centri per i rimpatri è uno scenario realistico? È possibile replicare in salsa europea il “piano Rwanda” del Regno Unito, cancellato dal governo laburista nel 2024 dopo le numerose bocciature per violazione dei diritti umani?

«Non si può completamente escludere che il governo tenti questa trasformazione. Inoltre c’è una forte spinta da parte di alcuni Stati e della Commissione europea a valutare questa possibilità» spiega all’Atlante Eleonora Celoria, avvocata dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI).

La stessa Ursula von der Leyen aveva commentato positivamente l’iniziativa italiana di esternalizzazione dei centri di rimpatrio. Tuttavia, chiarisce Celoria: «Dal punto di vista giuridico il trasferimento di persone già presenti in Italia in un Paese terzo può avere due conseguenze. La prima: se i centri sono gestiti dal Paese terzo, ad esempio l’Albania, si tratterebbe di una vera e propria espulsione che può diventare illegittima se espone le persone a rischi di espulsioni a catena». Ciò accadrebbe se l’Albania rimpatriasse i migranti in un altro paese senza rispettare gli standard di difesa previsti dal diritto internazionale ed europeo oppure se nei centri si verificassero trattamenti inumani o degradanti.

«Invece se i centri restassero sotto la giurisdizione e la gestione dell’Italia, come sono adesso, il trasferimento delle persone in centri extraterritoriali può violare i principi di necessità e proporzionalità della detenzione». Spiega Celoria: «Come si può cioè giustificare che, a parità di situazione giuridica, un migrante sia detenuto in un CPR a Torino, e un altro in un CPR a Gjader? È una differenza di trattamento significativa, soprattutto se pensiamo alla possibilità per il migrante trattenuto di incontrare familiari, difensori, adeguato personale sanitario».

Inoltre l’attuabilità del progetto sarebbe tortuosa: «Per eseguire il rimpatrio, i migranti detenuti nei centri in Albania dovranno essere comunque riportati in Italia in nave o in aereo per essere poi rimpatriati. Non c’è nessuna indicazione che l’operazione possa essere più facile o efficace se fatta dall’Albania invece che dall’Italia».

Secondo il diritto attuale un migrante non può essere trasferito in un Paese dove non ha legami o dove non ha vissuto. Tuttavia la giurista spiega che l’Unione Europea sta ventilando l’ipotesi di cambiare la legislazione. «Si sta pensando di riformare questo concetto per rendere possibile il rimpatrio di persone verso Paesi con cui non hanno alcun legame. Il governo italiano potrebbe allora tentare di considerare l’Albania come “Paese terzo sicuro” e trasferire lì persone migranti». Questo scenario sarebbe possibile solo se l’Albania desse la sua disponibilità per i rimpatri. Intenzione che, finora, Rama non ha dimostrato.

Al contrario del governo ruandese. Migration and Economic Development Partnership era l’eloquente titolo dell’accordo stipulato nel 2022 tra Regno Unito e Rwanda, considerato dalla Gran Bretagna “Paese terzo sicuro”. In cambio del trattenimento dei migranti sul suo territorio, il governo ruandese aveva ricevuto 140 milioni di sterline per la gestione dell’immigrazione inglese e una cifra di poco inferiore (120 milioni) per lo sviluppo economico del paese africano.

«Ci ha provato la Grecia, cercando di rimandare in Turchia (considerato Paese sicuro) i migranti che ci erano passati» conclude Celoria. «L’Italia non lo ha fatto mai».

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