Uno sciopero a difesa della Costituzione. È il grido comune dell’Associazione Nazionale Magistrati e della maggior parte dei magistrati italiani che il 27 febbraio hanno manifestato in tutta Italia sventolando la Carta come una bandiera contro la riforma della giustizia promossa dal Governo che vorrebbe separare le carriere dei pubblici ministeri da quelle dei giudici istruttori. È dello stesso avviso Roberto Lamacchia, Presidente di Giuristi Democratici: “Vorrei che il sistema giustizia continuasse a essere in linea con la tripartizione dei poteri stabilita nella Costituzione, che tutela e protegge l’indipendenza del potere giudiziario dall’esecutivo, così come nella volontà originaria dei padri costituenti”.
Della separazione delle carriere si parla da 30 anni, perché tutta questa fretta e perché proprio ora?
“Il motivo di tanta fretta – ci risponde – è da ricercarsi nelle strategie interne al governo. Si vuole sfruttare il momento politico favorevole perché le tre forze di maggioranza devono sostenersi a vicenda sugli obiettivi di ciascuna: premierato, autonomia differenziata e separazione delle carriere. Non potendo rifiutare appoggio reciproco, a pena di caduta dell’Esecutivo, questo rende il momento storico particolarmente propizio. Gli ostacoli che ad esempio al tempo di Berlusconi bloccavano questa riforma si sono indeboliti”.
30 anni fa, d’altra parte, era il tempo di Tangentopoli. Chissà se con la separazione delle carriere allora i processi sarebbero andati diversamente…
“Chi può dirlo… Certamente i pubblici ministeri avrebbero avuto ancor più interesse a vincere a tutti i costi, come può darsi che i giudici sarebbero stati più attenti a sanzionare alcuni comportamenti dei pm che certamente violarono qualche diritto di difesa”.
A proposito del controllo da parte della magistratura giudicante sull’operato del pubblico ministero “in alcuni casi è mancato in questi anni” secondo Lamacchia. “Può darsi che il giudicante sia stato in alcune situazioni e tempi lasco nel controllo sull’operato del PM, ma sono casi singoli, errori che coinvolgono singole personalità, non bisogna intenderlo come sistematico. I fatti ci dimostrano il contrario e cioè che il numero di pronunce negative nei confronti delle tesi dei PM è ormai quasi tra il 40 e il 50%”.
Una delle motivazioni della riforma, secondo i promotori, sarebbe ottimizzare e ridurre i tempi della giustizia: “Non se ne capisce la ratio – risponde su questo l’Avv. Lamacchia – anzi accadrà che il Pubblico Ministero non sia più incentivato a ricercare elementi a favore dell’indagato. Per assurdo la mole di lavoro potrebbe aumentare, perché al carico di fascicoli si aggiungerebbe tutta la parte di processi che viene archiviata per via delle memorie difensive e delle indagini del pm in senso favorevole per l’indagato”.
Alcune questioni che riguardano la riforma rimangono però nebulose: ad esempio la formazione, che dovrebbe a questo punto ramificarsi, perché non è pensabile un percorso unitario per funzioni separate.
Una riforma, in definitiva, pretestuosa, poco più di un esercizio di potere o una questione di principio, tanto più che la separazione delle carriere, o meglio delle funzioni, esiste già: dalla riforma Cartabia è possibile infatti solo un passaggio di funzione e solo nei primi 9 anni di svolgimento della professione. “Se 30 anni fa i passaggi di funzione erano più frequenti e ci si poteva trovare di fronte a una commistione di funzioni e a casi in cui un pm che fino al giorno prima aveva indagato, adesso ricopriva il ruolo di giudice, oggi sono praticamente insignificanti. La separazione delle funzioni esiste già ed è in atto. Tutto ciò non fa che dimostrare che l’obiettivo della riforma sia in sostanza la limitazione dell’autonomia del PM che si vuole portare sotto l’orbita del potere esecutivo”.
L’Italia è un’eccezione, tra i paesi di Civil Law, a non avere ancora nell’ordinamento giurisdizionale la separazione delle carriere e questa costituisce un’altra argomentazione principe dei sostenitori della riforma. Peccato che nei paesi in cui le funzioni dei giudici sono separate (ad esempio Francia, Spagna, Portogallo), l’esecutivo detiene un certo livello di controllo sull’operato della magistratura.
La riforma assume così contorni punitivi nei confronti dei pubblici ministeri e dei loro presunti “privilegi”. È a luglio 2023, in seguito all’imputazione del Viceministro della Giustizia Andrea Del Mastro per violazione del segreto d’ufficio, che Giorgia Meloni lancia un guanto di sfida alla magistratura considerandola una forza di opposizione: “È lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione”. Meno di un anno dopo il Ministro della Giustizia Carlo Nordio propone il disegno di legge Costituzionale per la separazione delle carriere.
Le conseguenze, alla luce di questo, Avv. Lamacchia?
“La riforma cambierà completamente la cultura della giurisdizione, ad oggi un terreno comune con regole comuni dove il pubblico ministero ha anche la funzione della ricerca della verità processuale. Se viene separato dal giudice il suo unico obiettivo sarà quello di vincere, in un processo di parti. A questo punto non è nel suo interesse ricercare prove a favore dell’indagato, ma dimostrarne la colpevolezza. Seguirà le prove e gli indizi della polizia giudiziaria e cercherà di far approvare dal giudice questa linea di condotta”. Il ruolo del pubblico ministero verrà ridotto a quello di ‘avvocato della polizia’”.
Rispetto alla mancata parità tra accusa e difesa, un’altra delle motivazioni della riforma, Roberto Lamacchia trova che “l’effettiva parità delle parti nel procedimento penale sia un’illusione, tranne che non si tratti di processi che coinvolgono persone ricche o che possono permettersi strumenti investigativi e una difesa impeccabile. In condizioni normali questo è impossibile, l’asimmetria di strumenti difensivi e risorse è eccessiva”.
Domani la premier Giorgia Meloni incontrerà il neoeletto presidente dell’Anm Cesare Parodi. Si discuterà probabilmente del sorteggio dei membri del Csm, unica apertura possibile da parte del governo, e solo con i decreti attuativi. Proprio il sorteggio dei membri togati e laici viene considerato dalla maggioranza come il grande antidoto al potere delle correnti interne alla magistratura. L’avvocato Lamacchia sottolinea però un altro aspetto, poco considerato: “la circostanza che i componenti togati dell’Alta Corte saranno sostanzialmente individuati tra i magistrati di Cassazione, il che vuol dire che si attribuisce agli alti gradi della magistratura un ruolo di vertice nell’organizzazione giudiziaria”.
Perché, infine, depotenziare il Csm togliendogli la funzione disciplinare? “È uno degli aspetti della riforma tutta da chiarire. Si vuole sostanzialmente affermare quanto sia sbagliata la “giurisdizione domestica” e cioè che i magistrati decidano su loro stessi. Ma la differenza sostanziale consisterà nel sorteggio, anziché nelle elezioni, perché per il resto la funzione disciplinare rimane comunque affidata alla magistratura, affiancata ad altri membri”.
Quello che ad oggi è certo, della riforma della giustizia, è quanto costerà ai cittadini. Le ha fatto i conti in tasca Liana Milella su Il Fatto quotidiano. Se da un Csm se ne avranno due e la funzione disciplinare sarà affidata a un’altra istituzione triplicheranno i consiglieri e i loro stipendi, così come gli uffici, beni, servizi, personale, ai quali si aggiungerà probabilmente un’altra Scuola Superiore per un totale a spanne di circa 130 milioni di euro, scrive.
Non più una questione “interna” alla Giustizia, come spesso accade per gli affari della magistratura, soprattutto in vista di un referendum. Ma una battaglia che – almeno nelle intenzioni della campagna promossa in questi giorni dall’ANM – deve poter coinvolgere in modo e parole chiari, tutti i cittadini.