Panama: il governo non si oppone al controllo USA

Panama: il governo non si oppone al controllo USA

Ad aiutare i propositi di Trump di acquisire il Canale di Panama, ci hanno pensato le aziende che hanno progressivamente ceduto i loro asset a colossi statunitensi con l’approvazione tacita del governo.

Sui vetri del Decapolis, hotel di lusso di Panama, una dei 97 uomini, bambini e donne deportati dagli USA dall’amministrazione Trump traccia la parola HELP con un rossetto. Un’altra mostra un cartello: “Nel nostro Paese non siamo al sicuro”. Arrivavano il 18 febbraio, in totale erano 300, e ancora non sapevano che dalle stanze di un albergo sarebbero presto passati alla giungla del Darién, terra di nessuno che divide la Colombia da Panama, pericolosa e spesso fatale tappa nella rotta che i migranti percorrono per giungere negli USA. Nessuno dei 97 detenuti (oggi se ne conta una in meno: secondo alcune fonti, una cittadina cinese è riuscita a fuggire dall’hotel-prigione) vuole tornare al suo paese: “Piuttosto che tornare in Cina, mi lancerei dall’aereo”, ha dichiarato uno dei deportati al New York Times.

Perché Panama

“Riprendersi il Canale di Panama” è una delle intenzioni che il Presidente ha espresso durante il suo discorso di insediamento. Secondo alcune fonti, sarebbe questa la ragione per cui l’amministrazione Trump ha voluto utilizzare il Decapolis come hotspot per l’espulsione dei 97, provenienti da almeno 10 Stati tra cui Iran, India, Nepal, Sri Lanka, Pakistan, Afghanistan e Cina. “Persone che non hanno commesso reati, hanno famiglia e che sono state catturate alla frontiera”, aveva spiegato Carlos Ruiz-Hernandez, vicecancelliere panamense. Assicurando che l’Organizzazione internazionale per le migrazioni e l’Unhcr li stavano assistendo.

Interrogato in merito alla legittimità del trasferimento, il presidente della Repubblica panamense José Raul Mulino aveva risposto che non c’era nessun affare losco in corso: il rimpatrio in questione si basava su un accordo firmato nel 2024 tra USA e altri Paesi tra cui Costa Rica, Guatemala e El Salvador.

I giorni sono passati, i 97 sono stati condotti nella giungla del Darien, e l’atteggiamento del governo di Panama nei confronti dell’amministrazione Trump e, in particolare del Segretario di Stato Marco Rubio, cui Trump ha delegato l’intera faccenda, rimane pacato.

Non si è opposto, infatti, il presidente José Raul Mulino alla transazione commerciale del 4 marzo della gestione del Canale, con cui sono stati venduti i porti sull’Atlantico e sul Pacifico gestiti della CK Hutchinson di Hong Kong alla BlackRock e all’italiana Mediterranean Shipping Company (MSC) di Gianluigi Aponte. Evento storico, visto che proprio attorno alla gestione dell’enorme infrastruttura si è giocata l’indipendenza di Panama.

Al Presidente Donald Trump non era d’altronde gradita la presenza dei “cinesi a Panama”: “La Cina sta operando nel Canale”, aveva affermato sempre nel discorso di inaugurazione, nonostante non ci fossero prove di un controllo esercitato dal governo cinese nell’area.

La Terra del Dragone rappresenta però la seconda presenza economica nel Canale (dopo gli USA), oltre a gestirne, appunto, alcuni porti, in un punto strategico di un continente che un tempo era considerato il “cortile” degli USA. Una definizione che sembrava sorpassata, ma che ha ancora ragione di essere utilizzata considerando l’irritazione di Trump verso i legami che numerosi Stati dell’America latina avevano intrecciato negli ultimi anni con la Cina: è del 2017 la decisione di Panama di stringere i legami con quel paese e interrompere i rapporti diplomatici con Taiwan. L’Honduras, El Salvador, il Nicaragua e la Repubblica Dominicana hanno aderito, sempre con Panama, alla Nuova via della seta, iniziativa cinese con cui nel 2013 il governo cinese ha stanziato ingenti somme di denaro da investire in infrastrutture.

La storia

Lungo 82 chilometri e attraversato da circa 14.000 navi all’anno, il Canale di Panama è il principale collegamento tra l’Oceano Atlantico e Pacifico. Costruito agli inizi del ‘900, lo Stato panamense dichiarò l’autonomia dalla Colombia nel 1903 quando il governo di Bogotà non era d’accordo nel cedere la gestione dell’infrastruttura agli Stati Uniti: furono proprio gli USA il primo Paese a riconoscere il primo governo autonomo di Panama, che dovette aspettare il 1999 per diventare realmente indipendente, portando così sotto la sua amministrazione anche la strategica infrastruttura. Ciò fu possibile grazie all’accordo che, nel 1977, l’allora presidente Jimmy Carter aveva firmato con il leader della giunta militare Omar Torrijos. Gli accordi del ‘77 misero fine, tra l’altro, alla cosiddetta “Zona del Canale di Panama”, territorio su cui gli USA esercitavano, oltre a una forte influenza economica, un pesante controllo militare. Dal 1979, l’area è gestita solamente dallo Stato panamense. Con l’amministrazione Trump, però, la storia sembra non essere finita qui.

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