Venerdì scorso, il celebre fotografo Elliott Erwitt è morto all’età di 95 anni. E’ stato uno dei fotografi più influenti e una delle punte di diamante dell’agenzia di fotogiornalismo più famosa e prestigiosa del mondo: la Magnum.
Le sue foto più iconiche sono quelle che vedono come protagonisti i cani, animali che lui amava: spesso più umani degli esseri umani ai quali si accompagnano nelle immagini.
Lo ha sempre accompagnato uno spirito di leggerezza e di ironia che lo portavano a sorridere e a raccontare con positività il reale cogliendone, spesso, il lato positivo.
Elliott Erwitt, gli inizi
Il futuro fotografo Magnum è cosmopolita fin dalla nascita: figlio di ebrei russi, viene alla luce a Parigi il 26 luglio del 1928, passa l’infanzia a Milano ed emigra negli Stati Uniti con i genitori nel 1939, per via delle leggi fasciste antisemite.
Il suo nome all’anagrafe è Elio Romano Erwitz, che viene presto americanizzato in Elliott Erwitt. Ora è un ragazzo di Hollywood. Ed è lì che il giovane Elliott dedica 8 anni, dal ‘42 al ‘50, a studiare prima fotografia al Los Angeles City College poi cinema alla New School for Social Research.
Due ambiti che segue anche nel corso della sua carriera professionistica, dedicandosi prima alla fotografia, e poi al cinema, dagli anni Settanta in poi.
A cavallo tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, Erwitt si compra una Rolleiflex e inizia a servire come fotografo per l’esercito americano: un’esperienza fondamentale, che lo porterà a conoscere fotografi di guerra del calibro di Robert Capa ed Edward Steichen, che successivamente intraprenderà la strada della fotografia di moda.
Poi seguirà un progetto per la Standard Oils e diventerà freelance, collaborando con alcune delle riviste più note dell’epoca, LIFE inclusa. Sarà poi nel 1953 che Erwitt entrerà a far parte dell’Agenzia Magnum, consacrandosi alla storia del giornalismo documentario.
Se i suoi esordi erano stati all’insegna di maestri come Henri Cartier-Bresson, Erwitt sceglierà di abbandonare le immagini patinate del francese per sviluppare uno stile studiatissimo, sì, ma tutto suo.
Negli anni Settanta si dedicherà soprattutto al cinema, dirigendo alcuni film, tra lungometraggi e corti e spot: Arthur Penn: the Director (1970), Beauty Knows No Pain (1972), Red, White and Bluegrass (1973).
La fotografia come epifania
Per Elliott Erwitt la fotografia è un evento epifanico, una rivelazione. In passato descrisse così la “sua” fotografia: “Nei momenti più tristi e invernali della vita, quando una nube ti avvolge da settimane improvvisamente la visione di qualcosa di meraviglioso può cambiare l’aspetto delle cose, il tuo stato d’animo. Il tipo di fotografia che piace a me, quella in cui viene colto l’istante, è molto simile a questo squarcio nelle nuvole. In un lampo, una foto meravigliosa sembra uscire fuori dal nulla”.
I suoi tratti distintivi? Semplicità. E graffiante ironia
Elliott Erwitt ama rappresentare la quotidianità sia che scatti street photography sia che ritragga personaggi famosi: basti pensare ai suoi ritratti di Marilyn Monroe, Richard Nixon ed Ernesto “Che” Guevara, che trasudano spontaneità. Erwitt rinunciava del tutto alla solennità puntando sul lato umano dei (notevoli) soggetti.
Era anche, a suo modo, un voyeur: una condizione essenziale per ogni grande fotografo interessato a rappresentare l’umanità. Di lui, lo scrittore irlandese Darran Anderson ha detto: “Nei lavori di Erwitt, riscontriamo il brivido rivelatore del guardone benevolo; una posizione occupata non solo dal fotografo ma anche dallo spettatore e, molto spesso, dal soggetto“.
Questa citazione è tanto più chiara quando si pensa alla foto scattata a Fidel Castro a La Havana nel 1964: Castro si trova nella sua auto, assiepato dai fan. Qui sia il fotografo che i soggetti stessi – tranne lo stesso Líder Máximo, che distoglie lo sguardo – sono voyeur. Oltre, ovviamente, a tutti coloro che osservano la foto dall’esterno.
Testimonianza di uno sguardo più esplicitamente voyeuristico è una bella fotografia che Erwitt scattò in California nel 1955: quella di un uomo e di una donna che si baciano, con il focus sul viso sorridente di lei. Qui il filtro delle lenti fotografiche filtrano ulteriormente l’immagine attraverso un’altra superficie riflettente: quella dello specchietto retrovisore di un’automobile.
I soggetti prediletti? A quattro zampe
Se qualcuno avesse dubbi su quali fossero i soggetti prediletti da Elliott Erwitt, basti pensare che il fotografo ha dedicato loro ben 4 volumi: Son of Bitch (1974), Dog Dogs (1998), Woof (2005) e Elliott Erwitt’s Dogs (2008).
A Erwitt piace giocare sul parallelismo tra esseri umani e cani, mostrando come spesso siano più umani questi ultimi: il rapporto visivo e di significato che si crea è spesso ironico o grottesco, e costituisce una delle cifre distintive dell’autore.
Gioca su questo fattore anche quando si cimenta con la fotografia pubblicitaria. Si pensi alla celebre foto del 1974 realizzata per una marca di stivali: il punto di vista, rivoluzionario, è quello di un cane.
Se il prodotto da pubblicizzare sono gli stivali indossati al centro della foto, a colpire è la loro associazione con le lunghe zampe di un danese sulla destra e con il piccolissimo chihuahua sulla destra. Quest’ultimo è l’unico soggetto di cui percepiamo il volto e, in un certo senso, l’umanità.
Il focus comico sull’umanità canina viene poi portato all’eccesso in un’altra foto scattata a New York nel 2000 e intitolata Bulldogs: qui l’umano viene rimpiazzato dal canino. Che, pure, si manifesta come un orecchio e un paio di gambe in bermuda.
Politica, guerra e grandi potenze negli scatti di Elliott Erwitt
Abbiamo menzionato Che Guevara, Castro e Nixon: da fotogiornalista Elliott Erwitt ha spesso avuto l’opportunità di ritrarre fatti legati alla politica internazionale e personaggi di potere.
E di fotografare, e raccontare, anche la loro assenza: come nella foto del funerale di J.F. Kennedy, in cui intercetta il volto dolente della first lady Jacqueline seminascosto da una veletta nera. Un’immagine di grande intimità, a dispetto della dimensione solenne dell’evento al quale è stata scattata.
A proposito di solennità: Erwitt è stato il primo, nel 1957, a mostrare gli armamenti russi nella sfilata della Piazza Rossa di Mosca in onore del quarantesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre. Sono gli anni della Guerra Fredda: la foto è uno schiaffo in faccia agli Stati Uniti.
Ma la guerra e la violenza possono essere anche sdrammatizzate. Erwitt lo fa con alcune foto come quella che ritrae un soldato di colore intento a fargli la linguaccia (del 1951), o quella del bambino sorridente che gioca con la pistola, datata 1950.
Family, l’intimità familiare
Dall’altra parte, c’è la sua capacità di rappresentare l’intimità: una capacità che dimostra ampiamente con alcune delle foto di famiglia più belle mai scattate: le foto della serie Family (1953).
E di una in particolare. Una foto che ha una storia: in un caldo pomeriggio estivo, la moglie di Erwitt Lucienne Matthews se ne sta stesa sul letto insieme alla figlia neonata Ellen e al loro gatto Brutus. La scena, anche grazie all’illuminazione, restituisce una dimensione così intima da rendere lo spettatore voyeur suo malgrado.
Maestro nel cogliere l’intimità nella propria famiglia riusciva a fare lo stesso nelle occasioni più disparate, inclusa una mostra nell’affollatissima Tate Gallery di Londra, giusto 40 anni più tardi.
Ed è nel modo più intimo possibile, nel sonno, che ci ha lasciato a 95 anni.