Uscito nelle sale cinematografiche italiane il 14 dicembre, “Avatar – La via dell’acqua” è il nuovo film di James Cameron e segna il ritorno del regista canadese alla regia di un’opera cinematografica. Questo film è un sequel diretto del precedente lavoro di Cameron, “Avatar”, e ne riprende i personaggi per ampliare la storia, la narrazione e l’ambientazione.
Per compiere quest’operazione, il cineasta si affianca ad altri scrittori per realizzare soggetto e sceneggiatura del film (la sceneggiatura fu uno degli aspetti più criticati del precedente film): oltre a Josh Friedman e Shane Salerno, i quali figurano esclusivamente come soggettisti, sono presenti, nel doppio ruolo di soggetisti e sceneggiatori, Rick Jaffa e Amanda Silver, la coppia che ha dato vita alla trilogia reboot legata all’universo narrativo de “Il Pianeta delle Scimmie”.
La trama, ambientata più di dieci anni dopo le vicende narrate nel primo film, vede di nuovo al centro l’ex marines statunitense Jake Sully, che nel frattempo ha messo su famiglia insieme alla nativa Neytiri, alle prese da una parte con una nuova invasione del pianeta Pandora portata avanti dagli esseri umani; dall’altra con un vecchio nemico pronto a inseguirlo dovunque egli riesca a trovare rifugio.
Quest’ultimo dettaglio è infatti uno degli aspetti nuovi del film: se nel primo film l’ambientazione è legata alle foreste e a paesaggi montani (e gli alieni indigeni mostrati sono ispirati alle popolazioni dei nativi americani e forse in parte anche alle civiltà precolombiane), in questo sequel, a causa di una migrazione della famiglia Sully dovuta alle circostanze in cui si trovano, l’ambientazione cambia e con essa anche l’ispirazione per gli alieni che fanno da sfondo alle storia: il pianeta Pandora si scopre più ampio di quanto descritto nel primo film e i Na’vi (i nativi del pianeta), una razza aliena che si adatta ai diversi scenari naturali.
Come lascia intendere il titolo, l’ambientazione di quest’opera si sposta verso uno scenario oceanico, ispirato in gran parte dalle isole del pacifico e da quei popoli che vivevano la loro vita in simbiosi con il mare. Ovviamente, il tema naturalistico, uno dei centri narrativi del primo film, svolge un ruolo dominante anche in questo sequel, anzi in un certo senso diventa ancor più importante: la cupidigia dell’essere umano in questo seguito viene resa ancor più esplicitamente. (invero, in alcune sezioni quasi al limite del caricaturale).
La narrazione vede degli innesti interessanti alla vicenda per certi versi ordinaria del primo film. La famiglia, la migrazione, l’obbligo di accettazione del diverso e la mescolanza di razze e specie, ampliano senza dubbio lo spettro di emozioni e sensazioni che il film comunica allo spettatore. Tuttavia, in alcuni segmenti, si ha la sensazione di eccessività, di ridondanza e persino di pressapochismo: alcuni elementi restano solo accennati nello sfondo, altri invece vengono rilegati a pochi minuti e risolti con l’andamento del film in modi quantomeno discutibili. Nulla che inficia la godibilità dell’opera, sia chiaro, ma comunque un difetto facilmente riscontrabile in più punti dell’opera.
L’aspetto tecnico è incredibile ed è senza dubbio il fiore all’occhiello di questo film: dalla cgi al 3d, dagli effetti speciali alla resa visiva passando per il design del nuovo bioma rappresentato in scena, tutto ciò che riguarda l’estetica del film rasenta la perfezione. Una perfezione che può essere colta in un solo modo: in sala.
“Avatar” è stato un film epocale che ha segnato la storia del medium cinematografico, soprattutto per la sperimentazione e le vette raggiunte con la tecnologia 3D; questo sequel, per ovvi motivi, non può dirsi altrettanto innovativo ma procede sulla stessa direzione e migliora in tutto e per tutto le tecniche usate nel primo. La visione in sala permette di cogliere tutti gli aspetti descritti e di immergersi completamente nell’opera, proprio come desiderato da Cameron. Vedere “Avatar – La via dell’acqua” al cinema o vederlo su uno schermo casalingo (nel migliore dei casi un gran televisore o un proiettore, nel peggiore un telefono) è alla stregua di vedere due film differenti.
La regia del film è la croce e la delizia dell’opera. Se da un lato grazie all’abilità di Cameron lo spettatore si immerge, letteralmente, insieme ai personaggi nel mare di Pandora vedendo con i propri occhi le meraviglie naturalistiche del pianeta; dall’altro, in alcune sezioni dell’opera, il regista sembra piacersi un po’ troppo e scade nel puro manierismo contribuendo a dare vita a quelli che a mio parere sono i due difetti principali del film: la durata e il ritmo. La pellicola dura 192 minuti, il che di per sé non costituisce un difetto, ma in questo tempo sono inseriti un numero esagerato di excursus, soprattutto a tema esplorativo, non necessari e che rallentano il film in modo sproporzionato. Durante il film, nonostante la meraviglia che ogni inquadratura suscita, si ha la sensazione di star assistendo a qualcosa di troppo diluito.
Al netto di ciò però va riconosciuta l’estrema abilità di Cameron di mettere in scena un mondo straordinario come quello immaginato da lui stesso.
Il regista non esita a servirsi di sue esperienze pregresse e sue personali passioni, come ad esempio l’esplorazione sottomarina (il canadese infatti, oltre ad aver diretto diversi documentari a tema sottomarino, ha anche effettuato un’immersione in solitaria nella Fossa delle Marianne, raggiungendo il punto più basso mai esplorato) e non esita nemmeno a citarsi: l’ultima sezione che mostra su schermo un’enorme barca affondare è un diretto richiamo al suo “Titanic”. James Cameron è a tutti gli effetti un autore con gli onori e oneri che questa parola si porta dietro.
“Avatar – La via dell’acqua” è un film mastodontico, che nonostante i suoi vasti e numerosi difetti, riesce a meravigliare e incuriosire ad ogni inquadratura e tiene incollati gli occhi dello spettatore allo schermo… purché sia visto su uno schermo adeguato.
Sebastian Angieri