Biden si è ritirato, e ora?

Biden si è ritirato, e ora?

Joe Biden Kamala Harris
Kamala Harris, The White House

Biden ha ufficializzato domenica la decisione che era nell’aria da settimane: il presidente in carica non correrà per le prossime presidenziali degli Stati Uniti. Biden ha anche appoggiato pubblicamente la candidatura della sua vice, Kamala Harris,  come si legge in un post pubblicato poche ore dopo il ritiro dalla campagna elettorale su  X.

 

La stampa filo-democratica statunitense, Washington post New York Times in testa, nelle ultime ore si è lanciata in elogi a cuore aperto del “leader che ha battuto Trump” e “ha raddrizzato la politica americana”. Ma, tra le righe, si legge la soddisfazione dei grandi gruppi editoriali di oltreoceano per il ritiro di una personalità ingombrante e, a loro dire, “incapace di battere Trump un’altra volta”. Le polemiche sullo stato di salute del presidente sono lasciate sullo sfondo, con qualche frase che ricorda le sue recenti défaillance, ma indulge in un racconto degli ultimi 4 anni che è già quasi leggenda. Dunque: onore delle armi al capo che ha deciso di accantonare il proprio orgoglio e via alla sfida finale nel nome dell’anti-trumpismo.

In ogni caso, anche se ha ricevuto l’endorsement (ovvero l’appoggio) dell’attuale inquilino della Casa Bianca, la scelta di Kamala Harris come contendente di Trump non è scontata, anche se al momento sembra abbastanza sicura. Al momento ci sono due possibilità: il voto virtuale e la “convention aperta”. Nel primo caso i delegati dovrebbero esprimere le proprie preferenze per Harris on-line e, qualora si ottenesse la maggioranza, la candidatura dell’attuale vice-presidente potrebbe già diventare ufficiale a inizio agosto.

La “convention aperta”, invece, si tiene quando nessun candidato arriva con una chiara maggioranza di delegati, quindi la riunione che si terrà il 19 agosto verrà trasformata in una mini-primaria in cui i contendenti devono convincere i delegati presenti a votare per loro. È uno scenario che il Partito Democratico non sperimenta dal 1968. Ovvio che in questo secondo scenario il rischio di confusione è molto alto, soprattutto visto che il tempo per convincere gli elettori che il nuovo candidato è quello giusto sarebbe davvero poco. Inoltre, dal dibattito televisivo stravinto all’attentato in Pennsylvania, Donald Trump ha avuto il tempo di mettere una seria ipoteca sulle prossime elezioni e, secondo molti analisti, il divario con i democratici è già incolmabile. Tuttavia, come dimostra la storia recente degli Usa, sui sondaggi non si può mai fare troppo affidamento. Hillary Clinton fu data come vincente fino alla notte delle votazioni e alcuni giornali titolarono anche che aveva battuto Trump, salvo scoprire, il giorno dopo, che nonostante avesse ottenuto meno voti il tycoon era il nuovo presidente degli Usa. Ma tornando al presente i problemi derivanti da un mancato accordo preliminare sono anche amministrativi: in alcuni Stati ci sono scadenze ad agosto per essere ammessi al voto per le elezioni generali e in alcuni luoghi il voto anticipato inizia a settembre. Quindi i leader del partito probabilmente cercheranno di risolvere la questione della candidatura prima che la Convention nazionale democratica inizi.

Chi sono i delegati?

Sono alcuni migliaia di rappresentanti degli elettori democratici e decidono ufficialmente il candidato del partito, a prescindere dal fatto che la convention sia aperta o meno. Nella quasi totalità dei casi ratificano semplicemente il vincitore delle primarie, investendolo con il beneplacito del partito. Quest’anno Biden ha raggiunto il numero necessario di preferenze tra gli elettori democratici a marzo, ma le consultazioni nei vari stati si sono protratte fino a fine aprile. Esistono due tipi di delegati: i delegati giurati, che  si impegnano a sostenere il candidato scelto dagli elettori, anche se le regole del partito prevedono una clausola di “buona coscienza” che lascia loro un po’ di spazio. Il partito assegna i delegati giurati a ogni Stato o territorio e i funzionari del partito statale li distribuiscono ai candidati. Le giurisdizioni hanno criteri diversi, ma in generale quasi tutti gli elettori registrati che si ritengono fedeli al partito e al candidato possono essere delegati giurati: scrutatori, funzionari eletti a livello locale, raccoglitori di fondi, persino i figli dei candidati. I delegati automatici, spesso chiamati superdelegati, sono i leader di più alto profilo del partito. Il gruppo comprende ex presidenti e vicepresidenti, governatori democratici, membri del Congresso e funzionari del partito. Questi non sono vincolati ad alcun candidato e non possono votare al primo scrutinio della convention.

Dunque, se il partito procederà con una votazione virtuale, programmata da tempo, potrebbe ufficializzare il candidato prima dell’inizio della convention e il discorso sarebbe chiuso. Diversamente assisteremo a una convention aperta.

L’endorsement di Biden potrebbe convincere i delegati a restare uniti. I suoi quasi 3.900 delegati non sarebbero obbligati ad appoggiare Harris, ma sono stati scelti per la loro lealtà nei suoi confronti e potrebbero essere inclini a fare ciò che lui chiede, soprattutto perché lei era già nella compagine scelta dagli elettori delle primarie. Anche i coniugi Clinton, l’ex presidente Bill e l’ex Segretaria di stato (nonché candidata nel 2016) Hillary, hanno approvato la candidatura e, nel pomeriggio di ieri, è arrivato anche il sostegno dell’ex speaker della Camera Nancy Pelosi. In vista di un’eventuale sfida tra Harris e altri candidati, bisogna considerare che i potenziali sfidanti potrebbero decidere di tenersi nell’ombra per evitare di bruciarsi ora che la situazione è già in parte compromessa.

Si consideri anche che il voto virtuale a cui assisteremo non è un passaggio comune della sfida elettorale negli Usa. Quello di quest’anno è stato organizzato per confermare Biden come candidato prima della scadenza del voto in Ohio, che quest’anno cade prima della convention democratica. Come spiega il Washington Post “I legislatori dell’Ohio hanno risolto il problema, ma i Democratici avevano previsto di procedere comunque con il voto anticipato per evitare eventuali ricorsi legali che avrebbero cercato di tenere Biden fuori dalla scheda elettorale dell’Ohio”.

Tuttavia, dieci giorni sono un tempo troppo breve per permettere ai delegati di accordarsi per un eventuale candidato alternativo a Harris. “Anche se il voto virtuale venisse annullato, il partito potrebbe accordarsi su Harris (o, molto meno probabilmente, su un altro candidato) prima della convention. In questo caso, la convention potrebbe essere tecnicamente considerata aperta, ma i lavori potrebbero essere privi di intoppi come al solito“.

Ma esiste comunque l’eventualità in cui i candidati non riusciranno ad accordarsi prima dell’arrivo a Chicago, il 19 agosto. In questo caso ci sarebbe la prima convention aperta dal 1968. E la data e il luogo non sono solo ricorrenze. Nel 1968 la convention si tenne sempre a Chicago, nel pieno del fermento politico che attraversò gli Usa da una costa all’altra, e il dibattito fu così acceso che il partito modificò il modo in cui sceglie i candidati.

Alcune immagini della convention democratica del 1968

Quali sono le regole di una convention aperta?

Ogni candidato avrebbe bisogno di almeno 300 delegati (dei quali non più di 50 provenienti dallo stesso stato) solo per avere il proprio nome nella votazione per appello nominale. Per questo motivo, se ci saranno degli sfidanti, scrive ancora il Wp, “le manovre e gli accordi dietro le quinte aumenteranno a velocità vertiginosa, mentre i capi dei partiti statali cercheranno di raggruppare i loro delegati in un blocco di voti”.

La rivista Politico racconta che esiste una sorta di leggenda raccontata da Tom Korologos, ex ambasciatore degli Usa in Belgio, sulla convention aperta dei Repubblicani del 1976. Una delegata di Gerald Ford cadde e si ferì gravemente a una gamba. Secondo Korologos, invece di portarla d’urgenza in ospedale, gli altri delegati le steccarono la gamba con i programmi della convention e la tennero a distanza di voto perché temevano che il suo sostituto avrebbe votato per Ronald Reagan. (Ford vinse la nomination ma perse la presidenza a favore del democratico Jimmy Carter, che nel 1980 perse contro Reagan).

In ogni caso, se un candidato dovesse ottenere la maggioranza dei voti dei delegati al primo scrutinio, diventerebbe il candidato ufficiale. Diversamente, se nessuno ottiene la maggioranza, si procederà a una seconda votazione. A quel punto, la convention verrebbe considerata “mediata”, un termine coniato nelle convention di molto tempo fa, quando i mediatori del potere del partito si impegnavano con tutte le loro capacità di negoziazione e di braccio di ferro per manipolare i voti. Se questo scenario dovesse verificarsi il 19 agosto, molto probabilmente i superdelegati entreranno nella rosa dei votanti a partire dal secondo scrutinio. Le votazioni continuerebbero, turno dopo turno, fino a quando un candidato otterrebbe i voti della maggioranza di tutti i delegati e verrebbe nominato candidato del partito.

Ricorda il Wp che nel 1924, i Democratici ebbero bisogno di 103 turni di votazione per scegliere il candidato di compromesso John Davis, dopo che i due candidati più votati si erano ritirati. Non andò bene. Il presidente in carica Calvin Coolidge batté Davis con una vittoria schiacciante.

Condividi

Sullo stesso argomento

elezioni trump