Dove andrà l’America di Donald Trump? Il programma

Dove andrà l’America di Donald Trump? Il programma

Mancano ufficialmente meno di quindici giorni alle elezioni negli Stati Uniti d’America, e il Partito Repubblicano sta intensificando la campagna elettorale in vista di questa scadenza. Non solo Donald Trump e J.D. Vance, candidati rispettivamente come presidente e vicepresidente, ma anche numerose personalità della politica e della società statunitense si stanno spendendo per supportare il duo repubblicano. In una Pennsylvania sempre più in bilico tra i due partiti maggiori, ad esempio, il multimiliardario Elon Musk qualche giorno fa ha inaugurato il suo primo spettacolo-comizio in sostegno a Donald Trump. La campagna elettorale dei repubblicani, specialmente nelle ultime settimane, si è concentrata soprattutto sulla questione dell’immigrazione, per gestire la quale si propone una linea durissima, che non esclude la creazione di campi di concentramento, come dichiarato da Trump alla rivista Time lo scorso aprile. Insomma, la sensazione per chi vive negli Stati Uniti è molto diversa da come poteva essere anche soltanto dieci o quindici anni fa: oggi la scelta tra Donald Trump e Kamala Harris alle elezioni del 5 novembre sembra significare la scelta, più profonda, tra due modelli completamente diversi di Stati Uniti d’America. Ma, al netto delle boutade televisive, quali sono le posizioni sostenute da Donald Trump? Cosa significa, a livello di programma elettorale, un voto per il ticket repubblicano? Vediamolo insieme.

 

Diritti civili e Lavoro

Le posizioni di Donald Trump – per non parlare del suo vice, J.D. Vance – sono quanto di più lontano esista dalla visione politica di Harris e dei democratici. Per quanto riguarda il diritto all’aborto, la posizione che Trump ha esplicitato più spesso è quella della libertà decisionale per i singoli Stati. Questa posizione, apparentemente equidistante, in realtà nasconde una visione della cosa estremamente reazionaria. Infatti, Trump sa perfettamente che non mettere in campo una legge a livello federale per tutelare il diritto all’aborto rende impossibile a milioni di donne l’accesso all’aborto. In più, assumendo questa posizione, Trump strizza l’occhio alla destra repubblicana degli Stati del sud (Carolina del Sud e del Nord, Florida, Georgia, Virginia, Alabama e altri), che sostiene l’argomento dell’autonomia decisionale sudista.

Anche per quanto riguarda altri diritti civili Trump si schiera nettamente su posizioni conservatrici e reazionarie. Ad esempio, il candidato repubblicano ha promesso di introdurre una legge per il riconoscimento dell’esistenza di soli due generi, maschio e femmina, assegnati rigorosamente alla nascita. Inoltre, ha promesso di firmare leggi che vietino alle persone trans di entrare nell’esercito o di partecipare a competizioni sportive, e di proporre una legge che imiti fortemente l’uso della chirurgia sui minori per la riassegnazione di genere (una pratica che, negli Stati Uniti, è estremamente poco comune). Le politiche in questo senso verrebbero applicate anche all’istruzione, campo in cui Donald Trump vorrebbe vietare non solo l’insegnamento della cosiddetta “teoria gender” (che nemmeno il diretto interessato ha mai definito in modo preciso), ma anche i programmi di educazione all’affettività e alla sessualità. Sull’uso delle armi si è espresso più volte in difesa del secondo emendamento e della liberalizzazione della vendita delle armi da fuoco; contestualmente, il tycoon ha proposto a più riprese un inasprimento della pena di morte per colpevoli di omicidio e violenza sessuale.

Per quanto riguarda i diritti dei lavoratori Donald Trump non ha un vero e proprio piano d’azione, anche se a più riprese si è espresso a favore del licenziamento degli scioperanti, come accaduto ad esempio con i membri del sindacato UAW (United Automobile Workers, con base a Detroit) nella loro vertenza contro tutta una serie di case automobilistiche, Stellantis e Tesla in testa. Queste posizioni lontane dai lavoratori potrebbero alienare a Trump una parte del consenso in stati operai come il Michigan o il Minnesota, i cui abitanti potrebbero sentirsi rappresentati da una figura come Tim Walz, il vice progressista di Harris, molto noto e apprezzato fra i ranghi della classe operaia bianca statunitense. Un problema, questo, che potrebbe far perdere al tycoon la corsa alla presidenza in stati cruciali per una sua eventuale rielezione.

 

Economia, Sanità e Politiche Migratorie

Le misure in materia economica e sanitaria del ticket  Trump-Vance non sembrano il frutto di un piano organizzato, quanto piuttosto una serie di risposte date a precise domande degli intervistatori. Durante il dibattito con Kamala Harris, Trump ha ammesso di non avere ancora un piano pronto in materia di sanità. Nonostante questo, ha presentato alla stampa alcune proposte isolate, fra cui la limitazione delle risorse destinate a Medicare, la costituzione di una commissione per indagare sulla correlazione fra determinate malattie, come autismo e diabete, e la somministrazione di vaccini (una posizione sostenuta con vigore da Robert F. Kennedy il quale, dopo aver sospeso la propria campagna per le presidenziali, ha deciso di supportare Trump) e un piano per eliminare la povertà fra i veterani dell’esercito (oltre 34.000 veterani statunitensi sono attualmente dei senzatetto).

In materia economica il tycoon si conferma innanzitutto il difensore dei super ricchi. Infatti, ha proposto un taglio di tasse trasversale per tutti i gruppi di reddito, cosa che avvantaggerebbe in realtà i più ricchi, come accadde già con il taglio delle tasse da lui stesso promosso nel 2017. Il taglio delle tasse dovrebbe essere esteso alle pensioni, alle mance (una posizione sostenuta anche dai democratici), agli statunitensi residenti all’estero (molti di loro sono milionari) e alle imprese che producono negli Stati Uniti: per queste ultime oggi la tassazione è al 21%, mentre Trump vorrebbe ridurla al 15% e Harris aumentarla al 28%. In generale non sono chiare le coperture economiche che Trump introdurrebbe come garanzia di queste politiche: solo per alzare il limite di tasse detraibili, oggi fermo a 10.000 dollari, la Casa Bianca dovrebbe spendere una cifra spropositata, 1200 miliardi in dieci anni. Inoltre, il tycoon vorrebbe imporre tariffe tra il 10% e il 20% sui prodotti non statunitensi, una manovra protezionista che costerebbe alla famiglia media americana fra i 2000 e i 4000 dollari annui. Insomma, le misure economiche proposte da Trump sono moltissime, e tutte vanno in direzione della riduzione delle tasse e di un forte protezionismo verso le merci statunitensi: manca tuttavia un piano complessivo di coperture economiche per questo tipo di misure.

Tuttavia, l’immigrazione è stata il vero campo sul quale i repubblicani hanno giocato – e stanno ancora giocando – quasi tutta la propria partita. Donald Trump ha innanzitutto affermato a più riprese di voler organizzare la completa deportazione di tutti i residenti illegali nel Paese, proponendo perfino di impiegare l’esercito in tale operazione e di costruire dei campi di concentramento per organizzare le deportazioni di massa. Anche se una politica del genere sembra davvero difficile da attuare, non solo per i costi che comporterebbe ma anche per la stessa incostituzionalità dell’intera operazione, il solo fatto che se ne parli come di una possibilità concreta da un lato ci mostra come le politiche di Trump su questo tema siano del tutto contrarie al rispetto dei diritti civili dei migranti, e dall’altro a quale livello sia arrivato oramai il dibattito. In materia di immigrazione, inoltre, Trump si è presentato sin da subito come estremamente classista, oltre che xenofobo: da un lato il candidato repubblicano vuole deportare in massa gli immigrati, dall’altro – con una manovra decisamente populista – propone per tutti gli studenti internazionali la concessione della green card, che permetterebbe a tutti di rimanere a tempo indeterminato su suolo statunitense. Una politica, questa, che lancia un messaggio chiaro: a Trump i migranti piacciono se arrivano in aereo con un passaporto forte, e se hanno una formazione specialistica di alto livello; in alternativa, se sono poveri, vanno privati del welfare e dei diritti ed espulsi. Le politiche di Trump su questo tema potrebbero sembrare a tratti anche comiche, se non avessero dei contenuti tanto liberticidi: il tycoon ha infatti promesso che, se sarà presidente, toglierà lo status di rifugiati agli haitiani residenti a Springfield, Ohio, per poi espellerli. Questi rifugiati sono gli stessi che a più riprese Trump ha accusato di avere mangiato gatti e cani di proprietà dei cittadini statunitensi.

 

Ambiente

Donald Trump e J.D. Vance hanno espresso a più riprese una visione molto scettica riguardo alle politiche ambientali, privilegiando l’industria pesante tradizionale – basata sui combustibili fossili – e lo sviluppo economico rispetto alle regolamentazioni ambientali. Trump ha frequentemente criticato l’Accordo di Parigi, affermando di volerne uscire poiché sarebbe un piano poco funzionale agli interessi statunitensi. In generale, è chiara la preferenza del ticket Trump/Vance per la crescita economica a breve termine. Sotto la prima amministrazione Trump, infatti, ci sono state numerose revoche di regolamenti ambientali, con l’argomento che tali misure sarebbero spesso troppo onerose per le imprese. J.D. Vance, senatore dell’Ohio, ha supportato questa narrazione, enfatizzando l’importanza delle energie fossili e del fracking. Ha dichiarato che l’energia e i combustibili fossili sarebbero il cuore dell’economia americana, sostenendo che le politiche ambientali dovrebbero concentrarsi sullo sviluppo economico piuttosto che sulla sostenibilità a lungo termine. Entrambi sembrano ritenere che le politiche ambientali più aggressive possano compromettere la competitività economica degli Stati Uniti sullo scenario internazionale.

 

Politica estera

Per quanto riguarda la politica estera di Trump, questa molto spesso viene presentata a suon di boutade e sparate più o meno iperboliche a favore della stampa, più che con dei piani strutturati o ideologicamente motivati. Ad esempio, Trump ha promesso che, se dovesse diventare presidente, la guerra in Ucraina finirebbe in 24 ore, ma non è affatto chiaro come il tycoon spererebbe di raggiungere tale risultato. Inoltre, il sostegno a Israele da parte dei repubblicani sembra netto e inequivocabile:  non solo nelle scorse settimane Trump si è incontrato con Netanyahu in visita negli Stati Uniti, esprimendo il proprio sostegno alla politica militare israeliana, ma già nel 2020 Trump proponeva l’occupazione da parte di Israele di una porzione della Cisgiordania (avallando de facto l’attuale occupazione israeliana) e la demilitarizzazione totale dei territori palestinesi, che sarebbero dovuti passare sotto il controllo israeliano per quanto riguarda la politica estera e le questioni di sicurezza interna.

Sembra inequivocabile, ad ogni modo, che la politica estera di Trump si sostanzia innanzitutto in una radicale guerra commerciale contro la Cina. Fra le proposte in materia economica del tycoon, infatti, troviamo la volontà di tassare al 60% i prodotti provenienti dalla Repubblica Popolare, così da scoraggiarne importazione e vendita negli USA. Si tratta, certo, di una politica in linea con il protezionismo di matrice repubblicana, ma questa specifica politica è rivolta contro uno Stato in particolare, e dunque si tradurrebbe in un inasprimento dei rapporti – già spesso tesi – fra Washington e Pechino. La Cina viene percepita dai repubblicani come una vera e propria minaccia alla sicurezza nazionale: per questo Trump ha promesso di organizzare una task force per difendere università e istituzioni statunitensi da attacchi informatici – veri o presunti – provenienti da parte statunitense. In generale, in contrasto con alcuni commentatori europei che descrivono Trump come un personaggio poco interessato ai conflitti al di fuori degli USA, quando non addirittura come un isolazionista, la politica dei repubblicani sembra fortemente militarista: di recente, infatti, il tycoon ha proposto misure record per il rifinanziamento dell’esercito statunitense, e perfino la produzione di un nuovo scudo missilistico, per tornare ad avere una difesa sul modello della “guerra fredda”, in funzione antirussa e anticinese.

Make America Conservative (Again?)

Insomma, anche se per un osservatore esterno è molto difficile distinguere tra le posizioni politiche reali difese da Trump e dal suo establishment e le sparate a favore di pubblico e di stampa, sembra chiaro che in generale la visione dell’America proposta dal tycoon è parecchio conservatrice, quando non apertamente reazionaria. Sui temi dei diritti civili, ad esempio, Trump e Vance sembrano sempre di più assumere le posizioni dell’ala più conservatrice del movimento evangelico, che ha un ruolo niente affatto marginale nello sviluppo della destra statunitense almeno sin dagli anni di Reagan.

In altre parole, Donald Trump rappresenta una visione dell’America fortemente conservatrice e reazionaria, con politiche migratorie aggressive e un’economia a favore dei più ricchi. La sua campagna elettorale si distingue per una retorica polarizzante e per proposte che rispondono a una base elettorale conservatrice. Tuttavia, l’assenza di un piano strutturato su temi cruciali come sanità e economia potrebbe mettere in discussione la sostenibilità delle sue promesse, anche se per il momento questo non sembra toccare particolarmente i sostenitori dell’ex presidente. Resta il fatto che, con le elezioni imminenti, Trump continua a delineare un modello di leadership che, se attuato, potrebbe avere un impatto profondo e duraturo sulla società americana.

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