Elezioni in Kosovo, tra sabotaggi e tensioni

Elezioni in Kosovo, tra sabotaggi e tensioni

Domenica 9 febbraio in Kosovo si terranno nuove elezioni parlamentari, sono state indette dalla presidente Vjosa Osmani ad agosto scorso e vedranno la partecipazione di 27 partiti che si contenderanno 120 seggi in Parlamento. A tenere banco sono ovviamente le tensioni tra la popolazione kosovara di nazionalità albanese e la minoranza serba che abita quasi esclusivamente nel nord del paese al confine con la Serbia. Secondo l’ultimo censimento, svolto nel 2024, i serbi in Kosovo sono circa il 2,3% della popolazione totale ed hanno diritto a 10 seggi nel parlamento di Pristina. L’ultimo censimento eseguito soffre però l’alto tasso di astensionismo tra i serbi che protestano chiedendo una maggiore rappresentanza.

Anche le ultime due tornate elettorali sono state boicottate dalla minoranza serba e resta da capire quale sarà l’atteggiamento per questo voto. Le politiche dell’attuale primo ministro Albin Kurti sono definite “del terrore” e lo stesso presidente serbo Aleksandar Vučić ha più volte accusato Kurti di voler scatenare una guerra. “Sogna di diventare il nuovo Zelensky”.

Gli avvenimenti degli ultimi anni, ultimo tra questi la chiusura delle istituzioni serbe in Kosovo a metà gennaio, non hanno facilitato i rapporti, ma un altro boicottaggio da parte della popolazione serba rischierebbe di facilitare l’elezione di candidati albanesi anche nei comuni del nord. Un evento già accaduto dopo le scorse elezioni amministrative e che ha prodotto proteste e violenti scontri con la Polizia e con i militari della missione KFOR.

Tra i partiti che rappresentano la minoranza serba è presente anche la “Lista Serba” su cui non sono mancate le polemiche. A dicembre scorso infatti la Commissione elettorale centrale del Kosovo (CEC) non aveva confermato la partecipazione del partito alle elezioni. Decisione poi ritrattata dalla stessa Commissione a metà gennaio.

Tra i voti contrari alla partecipazione alle elezioni della “Lista serba” c’era anche quello di Sami Kurteši membro della Commissione vicino a ‘Vetevendosje’ (VV, Autodeterminazione), partito dell’attuale primo ministro Albin Kurti. Secondo il politico di nazionalità albanese la “Lista Serba” non si riferisce al Kosovo, ma bensì al Kosovo e Metohija (nome della regione utilizzato quando il Kosovo era provincia all’interno della Serbia). Inoltre la “Srpska lista”, sostenuta anche da Belgrado e dal presidente Vucic, non ha mai condannato l’attacco di Banjska del 2023 e non ha mai preso le distanze dagli atti terroristici avvenuti in Kosovo.

L’ultimo evento terroristico nel paese è del 29 novembre scorso quando vicino Zubin Potok, sempre nel nord del paese un’esplosione ha gravemente danneggiato l’acquedotto, che arriva fino a Mitrovica, e che rifornisce d’acqua anche due importanti centrali idroelettriche. Il governo di Pristina ha subito accusato la Serbia e ha definito l’operazione come “un attacco criminale e terroristico che proviene da bande dirette da Belgrado”.

Il partito del premier Albin Kurti, considerato di sinistra nazionalista, è il principale favorito per la vittoria anche in questa tornata elettorale tuttavia questo voto potrebbero essere rilevante anche sotto altri aspetti, non ultimo i rapporti con l’Unione Europea che da anni sta lavorando, con risultati alterni, per la normalizzazione dei rapporti tra Kosovo e Serbia. Kaja Kallas, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, nei recenti colloqui separati con i leader dei due paesi ha ribadito come la normalizzazione dei rapporti sia “l’unica strada per l’adesione all’Ue di Pristina e Belgrado”.

Per il 9 febbraio da Bruxelles arriveranno a Pristina cento osservatori allo scopo di monitorare il regolare svolgimento delle elezioni. Sul destino del paese e sull’esito di queste elezioni pesano anche i rapporti con la nuova amministrazione statunitense guidata da Donald Trump, che si è occupato di Kosovo già nel suo primo mandato presidenziale, e che sembra avere maggiori rapporti con la Serbia di Vučić rispetto che con il governo Kurti.

Se Trump vorrà mantenere le promesse elettorali riguardo una immediata pace in Ucraina dovrà probabilmente fare delle concessioni a Putin e da queste la Serbia di Vučić potrebbe trarne vantaggio. Da sottolineare inoltre che la stessa famiglia Trump sta portando avanti importanti investimenti in Serbia, in particolare nel centro di Belgrado, e anche in Albania dove il genero Jared Kushner intende investire nella costruzione di due resort di lusso. Progetti di edilizia che entrambi i governi locali hanno per altro già approvato.

Figura centrale nei rapporti con Washington è quella di Richard Grenell, ex inviato statunitense nei Balcani, e noto per essere un critico delle politiche del primo ministro kosovaro. Lo stesso ex ambasciatore a Berlino in questi giorni ha duramente criticato il premier kosovaro affermando che: “Le aziende americane si stanno espandendo in Albania e Serbia, ma non si stanno espandendo in Kosovo a causa di Kurti. abbiamo bisogno di partner affidabili. Il governo Kurti non è stato credibile durante il primo mandato di Trump, né durante il mandato di Biden.”

Una situazione che resta quindi in continua evoluzione con i principali leader politici della regione che sembrano però avere maggiore guadagno elettorale nel mantenere una situazione di costante tensione rispetto al ricercare soluzioni condivise. Una regola che vale da Belgrado a Sarajevo e probabilmente anche in questa tornata elettorale di Pristina.

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