Nelle scorse ore si è conclusa la convention del Partito Repubblicano statunitense, il momento culminante della campagna per identificare il candidato alle elezioni presidenziali di novembre. Donald Trump è stato confermato non solo come candidato presidenziale, come era prevedibile, ma come vero e proprio leader incontrastato della compagine repubblicana: il partito repubblicano è sempre più il “partito di Trump”, e le voci fuori dal coro si sono volatilizzate nel bagno di folla che ha accolto il tycoon, il quale dopo il fallito attentato dei giorni scorsi è riuscito a presentarsi insieme come vittima e come combattente invincibile.
Milwaukee, la recalcitrante
La convention si è tenuta a Milwaukee, la città più popolosa del Winsconsin, uno degli Stati in bilico che alle prossime elezioni potrebbero dare la maggioranza a uno dei due grandi partiti statunitensi. La scelta della città è stata di per sé estremamente singolare, non solo perché si tratta di un feudo dei democratici, ma anche perché la città non ha mai ospitato eventi di questo tipo, anche se nel 2020 avrebbe dovuto ospitare la convention democratica, poi annullata a causa della pandemia di Covid 19. Di fatto, una convention nazionale genera un enorme giro di denaro, e Trump potrebbe aver deciso proprio per Milwaukee per provare a fare leva sulla classe media della città e a guadagnare così i voti necessari per conquistare lo Stato.
L’operazione non sembra aver funzionato. Lo stesso Donald Trump non è riuscito a trattenersi dal definire “orribile” la città giusto un mese prima dell’inizio della convention. Inoltre, commercianti e artigiani lamentano introiti ben miseri a fronte delle promesse dei repubblicani. Jake Schneider, abitante di Milwaukee di 29 anni, ha detto “vorrei essere fuori città, non sono per nulla felice che l’intero partito Repubblicano si stia dando appuntamento qui. Trump si è auto sabotato parlando male della nostra città, spero che ci sia la possibilità di dimostrare che si sbaglia è che questo è un posto meraviglioso”. Ryan Clancy, membro dei Democratic Socialist of America (DSA) e attualmente eletto nel consiglio della Contea di Milwaukee, ha affermato che “è una vergogna che si sia steso il tappeto rosso di fronte alla convention repubblicana”.
Cavalier Johnson, sindaco democratico di Milwaukee, ha sostenuto la candidatura della propria città come luogo per la convention repubblicana affermando che “Trump sarà designato comunque come candidato repubblicano, meglio che accada qui e che la città possa godere dei relativi benefici economici”. Tuttavia, anche lui si è detto preoccupato della tenuta della sicurezza e, dopo aver blindato il centro della città, ha puntato il dito contro la legge dello Stato del Winsconsin in materia di porto d’armi. Infatti, anche se era ovviamente vietato portare armi all’interno del centro congressi dove si è tenuta la convention, questo divieto non si applicava al perimetro esterno all’edificio, nel quale erano vietati tutta una serie di oggetti considerati contundenti ma non le armi da fuoco: potenzialmente, chiunque potrebbe entrare nel perimetro esterno dell’edificio con un fucile mitragliatore, ma rigorosamente senza palline da tennis.
Anche se la convention si è svolta senza particolari incidenti all’interno del perimetro pattugliato dagli agenti segreti, non sono mancati i casi di violenza urbana che hanno gettato un’ombra sullo svolgimento della manifestazione. A meno di un miglio dal perimetro della convention, infatti, nel nord della città, tredici poliziotti provenienti da Columbus, in Ohio, e dislocati in città per rafforzare la sicurezza dei cittadini e dei partecipanti all’evento, sono intervenuti dopo aver notato una lite fra due uomini, di cui uno armato di un coltello per mano. I poliziotti avrebbero intimato all’individuo di gettare le armi, e quando questi non ha obbedito, cinque agenti hanno aperto il fuoco, uccidendolo. Questi fatti, oltre a scatenare una polemica sull’effettivo livello di sicurezza assicurato dalle forze di polizia, ha gettato nella bufera l’amministrazione di Milwaukee e in particolare Jeffrey Norman, il capo della polizia, che aveva assicurato che i poliziotti provenienti da Stati differenti dal Winsconsin non avrebbero avuto contatti di rilievo con gli abitanti della città.
Sostenitori e nemici
Durante tutta la convention, e in particolare nella giornata di mercoledì, Trump ha potuto innanzitutto fare la conta dei propri sostenitori, che oramai coinvolgono non solo buona parte della base ma anche i quadri principali del Partito, perfino quelli che un tempo – ma a volte fino a qualche settimana fa – erano considerati acerrimi avversari del tycoon. Il primo e più importante è l’astro nascente repubblicano, nominato da Donald Trump candidato alla vicepresidenza: si tratta di J.D. Vance, già comparso al fianco del tycoon durante il processo Stormy Daniels, senatore dell’Ohio che nel 2016 si era schierato contro Trump, salvo poi sostenerlo durante il primo mandato presidenziale. J.D. Vance ha un profilo fortemente conservatore: favorevole a misure protezionistiche in politica interna, è percepito come il campione della classe lavoratrice bianca impoverita dalla crisi economica che, non trovando nella sinistra un punto di riferimento, si è affidata a Trump; in politica estera, invece, è favorevole al disimpegno degli USA nel teatro ucraino, è un grande sostenitore di Israele – tanto da proporre di togliere i finanziamenti alle Università nelle quali si svolgono manifestazioni contro il genocidio in Palestina – ed è un convinto assertore della necessità di recidere i legami economici fra Stati Uniti d’America e Repubblica Popolare Cinese.
Ma J.D. Vance è solo la punta dell’iceberg degli ex detrattori passati dalla parte del tycoon. In un intervento inizialmente fischiatissimo da tutta la platea, Nikki Haley ha affermato “Sono qui perché mi ha chiamata il presidente Trump per portare un messaggio di unità. E io sono qui per dare il mio endorsement al presidente Trump. Punto”. Più applauditi invece gli interventi dei membri estremisti del partito, come quello di Gregg Abbott, governatore del Texas, antiabortista, che la notte di Natale del 2022 ha inviato due camion carichi di migranti dal Texas a Washington, lasciandoli al freddo, con -26 gradi, fuori dalla casa di Kamala Harris, vicepresidente in carica. Molto apprezzato dalla platea, che in effetti sembrava disposta ad applaudire anche davanti a un discorso oggettivamente poco accattivante come quello di J.D. Vance, anche l’intervento di Kellyanne Conway, ex consigliera di Trump, ritiratasi di propria volontà dalla politica “per fare la mamma” dopo che la figlia adolescente aveva scritto una lettera pubblica alla deputata socialista Alexandria Ocasio-Cortez chiedendole di adottarla.
Fra i sostenitori di Trump, tuttavia, quello che ha ottenuto un vero e proprio bagno di folla nel terzo giorno di congresso è l’ex consigliere commerciale di Trump, Peter Navarro, uscito il giorno precedente di galera dove ha scontato 4 mesi di prigione per oltraggio al Congresso dopo aver ignorato un mandato di comparizione da parte della commissione della Camera che indagava sulla rivolta del Campidoglio del 6 gennaio 2021. Sul tema Navarro ha dichiarato “la commissione ha cercato di farmi tradire Trump per salvarmi la pelle, ma io ho rifiutato”. Perfino tutti gli altri ex nemici di Trump, come Ted Cruz, Nikki Haley, Ron DeSantis e Marco Rubio, si sono rimangiati qualunque critica al tycoon, che ha ascoltato compiaciuto i loro discorsi dalla sua posizione in tribuna.
Build the Wall
La convention è stata anche l’occasione per definire il programma politico del Partito Repubblicano, in tutto e per tutto ormai nelle mani della fazione più di destra che vede in Trump il campione delle politiche più reazionarie mai proposte dalle fila del partito. I punti del programma più importanti sono stati definiti per contrasto, indicando le categorie di persone che sarebbero l’ostacolo principale alla costruzione di una nuova, grande America: immigrati, membri del movimento LGBT, insegnanti. I punti più discussi durante il congresso sono stati infatti le politiche sull’immigrazione e la questione della sicurezza degli Stati Uniti, ma anche la questione dell’aborto, sulla quale Trump, che detta la linea su tutti i punti principali senza un grande contraddittorio, si è dimostrato più moderato della propria base. Se la maggioranza dei suoi fedelissimi avrebbe voluto nel programma del partito il bando totale dell’aborto a livello federale, Trump ha mantenuto la posizione già assunta durante il dibattito con Biden: lasciare ai singoli Stati la possibilità di decidere sul tema, un punto di vista caro ai conservatori e che è questione scottante sin dai tempi della guerra civile.
Ogni volta che veniva nominato il confine con il Messico dalla folla si alzava il coro build the wall, “costruisci il muro”, con riferimento alla posizione più volte espressa da Trump per arginare quella che a suo dire sarebbe una vera e propria “invasione di immigrati illegali”, definiti anche da Peter Navarro nel suo discorso “un vero e proprio esercito di stranieri illetterati e illegali”. Anche Tim Sheehe, candidato senatore per il Montana, ha sottolineato la necessità di creare “confini sicuri” con il Canada.
Anche la fetta di popolazione transgender americana pare essere un problema per i repubblicani nell’era Trump. Alfiere della battaglia contro quella che definisce la “cultura gender” è Ron De Santis, anche lui ex detrattore del tycoon oggi riciclatosi come sostenitore accanito. Il governatore della Florida, Stato laboratorio per molti versi di alcune fra le più reazionarie delle leggi, come quella in vigore sul tema dell’aborto, ha parlato contro quegli insegnanti che “invece di educare vogliono indottrinare”, presentando come modello la cosiddetta legge Don’t say gay, “non dire gay”, che in Florida vieta categoricamente ad insegnanti ed educatori nelle scuole pubbliche fino al terzo grado di affrontare temi di orientamento sessuale e identità di genere.
Il culto della personalità
L’aspetto più rilevante di tutta la convention repubblicana è stato, tuttavia, il vero e proprio culto della personalità costruito attorno alla figura del leader del partito. A conferire quest’aura di invincibilità al tycoon è stato innanzitutto Elon Musk, intervenuto al congresso per annunciare una donazione di 45 milioni di dollari al mese alla campagna elettorale di Trump, definito l’uomo che avrebbe spostato gli equilibri della Silicon Valley, storicamente democratica. Ma quest’aura sacrale è bisbigliata da tutti i partecipanti alla manifestazione: raramente il candidato è chiamato per nome, spesso è detto semplicemente one of us, “uno di noi”. Tantissimi delegati e simpatizzanti indossavano una benda all’orecchio, in solidarietà con il tycoon ferito durante il fallito attentato di una settimana fa. Ovunque spille, fazzoletti e bandiere con il volto di Trump o il motto “Make America Great Again” stanno a rappresentare la mutazione antropologica del Partito Repubblicano in “partito di Trump”. In questo senso, infatti, è significativa l’assenza di pezzi da novanta del partito come i Bush o Mike Pence, fattosi fotografare mentre pesca nel Minnesota.
Da alcuni settori del partito, peraltro tutt’altro che irrilevanti, Trump è percepito come una figura salvifica, circonfusa di un’aura sacrale. Protagonisti di questa narrazione sono i membri della Intercessors of America (Ifa), organizzazione cristiana protestante a cui è stata riservata una sala per tutta la durata del congresso. Dentro a questa stanza i membri dell’Ifa pregano a ciclo continuo, come in una catena di montaggio, per assicurare a Trump una protezione divina. Del resto, che da tempo gli evangelici siano una delle colonne portanti della destra statunitense è cosa nota, ma con Trump sembrano aver trovato il leader che li rappresenta nelle loro rivendicazioni più estreme. Non è un caso se un’altra organizzazione evangelica, la Concerned Women of America (CWA), ogni pomeriggio – durante i lavori della convention – organizza una preghiera per rafforzare la principale rivendicazione: il bando dell’aborto a livello federale. La preghiera, dunque, diventa protagonista – per la prima volta in maniera così tanto massiccia – di un evento politico di questa portata negli USA, e Donald Trump sembra diventare per i suoi sostenitori il tramite della volontà di Dio su suolo americano.
Questo culto della personalità è stato non solo accolto ma anche rilanciato da Trump durante il discorso conclusivo durato oltre novanta minuti e conclusosi con una pioggia di centomila palloncini sulle note della Turandot di Puccini. “Sono qui per salvare la democrazia e tutta l’America” ha detto il presidente, ed è chiaro con quali mezzi: “il primo giorno estenderò le trivellazioni petrolifere e innalzerò il muro al confine con il Messico”. Ha parlato di “deportazioni” dei migranti entrati illegalmente nel Paese e di “riportare in auge il sogno americano”. Un discorso da protagonista, e questo sembra davvero il dato più rilevante da cogliere alla fine della convention, un dato che ci racconta sin da oggi come si articolerà il dibattito elettorale nell’autunno. Di fronte a un partito democratico a pezzi, che ancora oggi – a meno di quattro mesi dalle elezioni – si interroga sull’opportunità di sostituire un candidato che, per quanto logoro, sembra l’unica carta che il partito possa giocarsi al momento, Donald Trump si presenterà come il salvatore degli Stati Uniti, l’uomo della provvidenza in grado di “fare di nuovo l’America grande”. Una narrazione, questa, che non lascerà di certo indifferenti ampie porzioni dell’elettorato statunitense.
Davide Longo