Con Eureka, presente alla Festa del cinema di Roma nella sezione Best of 2023, il regista argentino Lisandro Alonso torna nelle sale a quasi dieci anni dal suo ultimo Jauja. Il film, già presente in vari altri festival mondiali, tra cui quello di Cannes, ha riscosso critiche positive da parte della maggioranza della critica specializzata.
La pellicola narra tre storie: la prima, girata in bianco e nero e in 4/3, è un western classico che vede un eroe solitario in cerca di sua figlia in un’ostile cittadina della frontiera; il secondo, ambientato ai giorni nostri, narra di una poliziotta in una riserva di nativi americani in South Dakota; la terza, che prende vita negli anni Settanta, vede al centro un indigeno brasiliano ingaggiato come cercatore d’oro a basso costo.
Le tre storie, apparentemente slegate tra loro, sono accomunate dalla violenza e dai risvolti tragici dello sfruttamento e del colonialismo ai danni dei nativi dell’intero continente americano. I personaggi di Eureka sono costretti in una situazione subalterna a causa di scelte esterne alla loro volontà.
Il cineasta nativo di Buenos Aires mette al centro della sua opera lo spazio della narrazione tralasciando, o meglio dilatando all’estremo per renderla quasi eterna e ciclica, la dimensione temporale. Una dichiarazione di intenti che Alonso esplicita nel film per bocca di un suo stesso personaggio.
Le attese, le esitazioni ma anche le paure e le indecisioni vengono mostrate nella loro interezza: tutto viene mostrato senza alcun’ellissi temporale. Anche il passaggio da un blocco narrativo all’altro sembra quasi voler comunicare un eterno processo di andirivieni.
In questo tempo esteso tuttavia, a mio avviso, si perde parecchio di quello che vorrebbe comunicare il film. Lo spettatore viene fagocitato da un’esperienza estetica totalizzante che lascia poco spazio ai significati. In questo modo, seppur il film sia colmo di immagini bellissime e suggestive, queste non diventano altro, restano immagini. Belle da ammirare ma poco più. Il significato recondito, il discorso sulla colonizzazione e sulla conseguente violenza (e degrado), si perde in una dilatazione estrema, quasi eccessiva.
Per certi versi, Lisandro Alonso sembra perdere le redini di una narrazione che alla fine risulta inconcludente.
Eureka è senza dubbio un film colmo di immagini bellissime, alcune di esse toccano picchi altissimi, ma oltre a questo, a mio avviso, c’è davvero poco.