Li chiamano naufragi fantasma. Quasi si potesse essere inghiottiti dal mare come da un buco nero. Senza passato, senza futuro, senza nome. Mentre tutta Europa era in fibrillazione per le elezioni europee, venerdì 7 giugno 12 cadaveri venivano avvistati in mare aperto a largo delle coste della Libia dall’aereo Seabird della ONG Seawatch. La nave Geo Barents di Medici senza Frontiere, che si trovava in zona dopo aver soccorso due imbarcazioni, è stata autorizzata al recupero. I corpi galleggiavano in mare da diversi giorni: l“avanzato stato di decomposizione” è un’immagine che non dovrebbe rimanere senza responsabili.
Alla fine lo sbarco delle salme è avvenuto a Lampedusa, dove il sindaco ha predisposto le misure di accoglienza dei feretri e raccolto la solidarietà dei sindaci della provincia per la sepoltura nei cimiteri della zona. Il trasferimento dei corpi, inizialmente 11, è stato al centro di discussioni tra procure, sindaci e Ministero dell’Interno. Se Lampedusa ha accettato di accogliere le salme lamentando comunque l’assenza di strutture sufficienti sull’isola per far fronte agli sbarchi, la giurisdizione sul recupero dei corpi in mare rimane di Genova, “porto sicuro” assegnato alla Geo Barents, secondo il “Codice di Condotta delle ONG” del gennaio 2023, uno dei primi provvedimenti emanati dall’attuale governo. Porto sicuro forse per il Viminale, ma non per la nave che ha avuto davanti a sé diversi giorni di navigazione con a bordo 165 migranti soccorsi prima del reperimento dei corpi.
Arrivati a Genova per lo sbarco dei vivi, i soccorritori hanno srotolato uno striscione sull’imbarcazione con scritto “Europe, how many more?” (“Europa, quanti ancora?”)
«Purtroppo, non è la prima volta che ci viene assegnato un porto lontano» racconta all’Atlante Juan Matias Gil, capomissione di Medici Senza Frontiere per le attività di ricerca e soccorso in mare. «A partire dal primo decreto-legge del 2023 (poi convertito nella legge 15/2023), il governo italiano ha messo in atto misure sempre più rigide per ridurre la capacità delle ONG, attive nel Mediterraneo, di essere presenti in mare e di effettuare soccorsi. Mentre alle ONG viene imposto di ignorare richieste d’aiuto, di effettuare salvataggi multipli e di dirigersi verso porti di sbarco sempre più lontani, le persone continuano a morire».
Il naufragio è avvenuto nella zona SAR libica, un’ingerenza illegittima in acque internazionali, costruita per scoraggiare il soccorso in mare. La cosiddetta “area di soccorso e salvataggio”, infatti, sembra dissuadere sia dalla ricerca che dal soccorso non solo la Libia – stato considerato non sicuro secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione, per la quale con l’attuale sistema i rimpatri sarebbero da considerare illegittimi secondo le leggi italiane – ma anche i paesi europei che negano il coordinamento delle operazioni di ricerca e salvataggio fuori dalla propria zona per evitare di dover assegnare un porto sicuro alle navi delle Ong. Nell’indifferenza degli stati europei e di quelli di partenza, «il pattugliamento e la difesa dei diritti umani nel Mediterraneo sono stati abbandonati nelle mani delle organizzazioni non governative, che coprono i vuoti lasciati dai governi» denuncia Gil.
Ancora una volta, testimoniano gli operatori a bordo della Geo Barents, la guardia costiera libica non ha risposto a una richiesta di soccorso, il che non fa che confermare l’inaffidabilità del Paese al quale l’Italia da anni “delega” la gestione dei flussi migratori: «Il comportamento della guardia costiera libica non è né responsabile né prevedibile. Ci sono stati episodi spiacevoli in cui sono stati aggressivi nei confronti delle navi di ricerca e soccorso, tra cui anche con il team a bordo della Geo Barents. A volte hanno bloccato le operazioni di soccorso, altre volte hanno minacciato i team. Ad esempio, a marzo una motovedetta della guardia costiera libica ha cercato di impedire alla Geo Barents di soccorrere un barcone in difficoltà con oltre 100 persone a bordo, in acque internazionali. Dopo 2 ore di negoziazioni siamo riusciti a portare in salvo le persone, ma alcune famiglie sono rimaste separate per ore. Con scene di panico tra chi era rimasto nell’imbarcazione in difficoltà e chi era già in salvo a bordo della Geo Barents. L’atteggiamento della guardia costiera libica non è professionale e non sono in grado di svolgere il loro lavoro, oltre al fatto che riportare le persone migranti in Libia viola il diritto internazionale dal momento che la Libia non è un luogo sicuro» sostiene il capomissione.
Non sono mancati casi in cui ha impedito i soccorsi aprendo il fuoco su naufraghi e soccorritori, come accaduto per la nave Mare Jonio più di un anno fa.
Dalle testimonianze di Radio Radicale emerge come i corpi, infine 14, siano stati ritrovati a molta distanza l’uno dall’altro, e questo lascia pensare che possano esserci stati più eventi di naufragio. Alcuni hanno visto nella scelta forzata di Lampedusa per lo sbarco delle salme e nel rimpallo di giurisdizione un tentativo di insabbiamento del naufragio in occasione delle elezioni europee. Medici senza Frontiere ci ricorda che uno dei motivi per cui viene ostacolato il lavoro delle ONG è proprio che gli operatori sulle navi che si occupano di ricerca e soccorso sono, in fondo, gli unici testimoni di ciò che accade in mare.
Il recente Patto sulla migrazione e l’asilo, colpevole di detenzioni arbitrarie e valutazioni sommarie sulle richieste di asilo, e la questione aperta dei flussi migratori non tocca però le urne: il gruppo che ha ottenuto più seggi alle recenti elezioni, il Partito Popolare Europeo, ha nel programma elettorale una stretta sulle migrazioni, l’esternalizzazione delle frontiere, il rimpatrio verso paesi terzi e accordi economici con i paesi di partenza, nel perfetto stile del governo italiano. Se da una parte il Viminale fa il bello e il cattivo tempo con gli sbarchi (e i corpi) dei migranti, manca del tutto un coordinamento internazionale. «Le attività di ricerca e soccorso del governo italiano sono limitate solo all’area di competenza italiana e le autorità maltesi non fanno nessun tipo di pattugliamento attivo e non partecipano nel soccorso delle imbarcazioni in difficoltà nella loro area di responsabilità. Questo comportamento costituisce una violazione persistente del diritto internazionale e dei diritti dei rifugiati» aggiunge Juan Matias Gil.
Su Malta, inoltre, come spiega ADIF (Associazione Diritti e Frontiere), pendono diversi procedimenti penali per negligenze nella gestione della propria zona SAR.
Il nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo (che ad aprile ha avuto il via libera dal Parlamento europeo e che prevede rimpatri accelerati, rilevazione dei dati biometrici, controlli frontalieri), ha provocato una levata di scudi da 250 accademici e studiosi di tutta Europa che non lo ritengono un provvedimento valido soprattutto per quel che riguarda l’alleggerimento della pressione sui paesi di arrivo. Fanno riferimento agli hotspot sulle isole greche e agli accordi UE tra Grecia e Turchia con molta preoccupazione per i diritti dei richiedenti asilo.
Stando ai dati dell’OIM (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni) sono 510 i morti solo nel Mediterraneo centrale dall’inizio dell’anno, mentre dal 2014 a oggi sono morte quasi 30.000 persone in quella che rimane la rotta migratoria più letale al mondo, ricorda Medici senza Frontiere.
E a fronte dei numeri delle migrazioni ci sono gli ostacoli al lavoro delle ONG sempre sui tavoli del governo: «Nell’ultimo anno le autorità italiane hanno emesso 21 fermi amministrativi contro navi umanitarie, impedendo la loro azione salvavita per 460 giorni complessivi e alle navi civili vengono ormai assegnati porti lontani per sbarcare i sopravvissuti, per tenerle lontane dalla zona dei soccorsi. Ma in generale, in questi anni, tutti i governi che si sono avvicendati hanno investito enormi risorse sul boicottaggio dell’azione umanitaria e su politiche di morte, ma non hanno fatto nulla per fermare i naufragi e fornire vie legali e sicure a chi fugge attraverso il Mediterraneo». Anche la Geo Barents appena sbarcata chiede all’Italia e all’UE «soluzioni significative piuttosto che guardare alle persone migranti e rifugiate attraverso una lente puramente securitaria e lavorare per disumanizzare le persone. Ciò richiede un cambiamento immediato e fondamentale per affrontare le cause alla base degli spostamenti delle persone che per troppo tempo hanno provocato morti insensate, ferite e traumi tra le persone in cerca di sicurezza e protezione ai confini dell’UE».
Ma prima di tutto sarebbe necessario mettere in chiaro l’unico scopo comune possibile, il mandato di salvare vite, per costruire una collaborazione tra ONG e istituzioni e perché possa finire l’ostracismo nei confronti delle (a quanto pare) uniche organizzazioni in grado di proteggere l’umanità in mare.
«Salvare vite non è un reato, è un obbligo morale e legale, un atto fondamentale di umanità che semplicemente va compiuto».
Angela Galloro