Le elezioni europee del 6-9 giugno, anticipate come una potenziale ondata di vittorie per l’estrema destra, alla fine hanno visto una crescita significativa ma non decisiva dei partiti radicali. Mentre alcuni Paesi hanno visto un avanzamento delle destre, il Nord Europa ha resistito a questa tendenza. Questi risultati riflettono un leggero spostamento dell’asse politico europeo e rivelano profonde divisioni socioeconomiche e culturali. L’estrema destra ha capitalizzato su tali divisioni, fornendo un linguaggio politico ai propri elettori, mentre la mancanza di alternative convincenti da parte della sinistra ha alimentato questa dinamica.
L’«onda nera sta arrivando» è stato il leitmotiv che ha dominato questo processo elettorale. Negli ultimi mesi, si è infatti discusso molto del futuro dei partiti di estrema destra in Europa, con i sondaggi che ne indicavano una forte crescita. Ci si chiedeva se i risultati delle elezioni avrebbero portato, per la prima volta nella storia, a una maggioranza di destra nel Parlamento Europeo. Sin dalle prime proiezioni, è risultata evidente una significativa avanzata dell’estrema destra, sebbene non sufficiente a formare una maggioranza autonoma con il Partito Popolare Europeo (PPE). Tuttavia, sebbene l’«onda nera» non abbia travolto il Parlamento europeo, ha comunque spostato leggermente l’asse politico verso destra. Questo segue il trend delle ultime elezioni: la destra radicale rappresentava circa il 9% nel 2004, il 12% nel 2009, il 16% nel 2014 e il 19% nel 2019.
Le elezioni hanno delineato chiaramente vincitori e vinti. Tra i primi ci sono sicuramente i partiti di estrema destra che occupano circa un quarto del nuovo Parlamento europeo. Questi hanno ottenuto buoni risultati: secondo i risultati provvisori, Identità e Democrazia (ID), che raccoglie partiti molto euroscettici e di estrema destra, è passato da 49 a 58 europarlamentari, mentre il Gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR), composto da partiti di estrema destra meno euroscettici e più istituzionali, da 69 a 76. Poi gli altri grandi vincitori sono stati i partiti popolari, cioè i conservatori tradizionali che hanno aumentato la loro rappresentanza a Strasburgo, con il PPE che è passato da 176 a 189 parlamentari. Anche i partiti della famiglia socialdemocratica raggruppati nei Socialisti e dei Democratici (S&D) hanno mantenuto la loro posizione, perdendo solo quattro parlamentari, ma ottenendo dei buoni risultati in Francia, in Spagna e in Italia.
Tra gli sconfitti invece ci sono sicuramente i Verdi, passati da 71 a 53 seggi, e i liberali di Renew, da 102 a 79, in gran parte a causa del pessimo risultato del partito del presidente francese Emmanuel Macron.
L’andamento dell’estrema destra e “l’eccezione nordica”
L’ascesa dell’estrema destra non è stata uniforme in tutta Europa. Innanzitutto, emerge come forza trainante in sei Paesi: Francia, Italia, Ungheria, Austria, Belgio e Slovenia. Tra i risultati di cui si sta parlando di più in questi giorni spicca la vittoria del Rassemblement National con il 31.4%, superando di gran lunga Renaissance di Emmanuel Macron che subito dopo l’uscita degli exit poll ha annunciato la dissoluzione dell’Assemblea Nazionale e la convocazione anticipata delle legislative. In Austria il più votato è stato il Partito della Libertà Austriaco (FPÖ), filorusso e no-vax, noto per la sua lunga collaborazione con i conservatori. In Ungheria c’è stato un risultato molto interessante con il partito del primo ministro Viktor Orbán che è arrivato primo con il 44.9% dei voti, ma con il suo principale oppositore, Péter Magyar, che è riuscito a ottenere il 29.5%. In Italia la situazione è rimasta stabile, mascherata da riconfigurazioni nello spazio di estrema destra rispetto al 2019: Fratelli d’Italia è primo partito con il 28.8% mentre la Lega si è fermata al 9%.
In diversi altri Paesi i partiti di estrema destra hanno rappresentato la seconda o terza forza più votata. In Germania, ad esempio, Alternative für Deutschland, ha ottenuto il 15.9%, guadagnando sei seggi e superando i socialdemocratici nonostante vari scandali degli ultimi mesi. In questo caso si è trattato di una combinazione di punizione per la coalizione a semaforo al potere e di un progressivo declino elettorale del Partito Socialdemocratico di Germania (SPD).
La prevista ascesa dei sovranisti c’è stata anche in Spagna con Vox che ha ottenuto il 9.6%, migliorando rispetto alle elezioni europee precedenti e guadagnando due seggi, insieme all’emergere del gruppo di estrema destra Se Acabó la Fiesta. Anche in Polonia, in Romania e nei Paesi Bassi l’estrema destra è arrivata al secondo posto. In Polonia, la Coalizione Civica del primo ministro Donald Tusk ha vinto nonostante i sondaggi la dessero leggermente indietro rispetto al principale partito di estrema destra, Diritto e Giustizia (PiS). Inoltre, un partito ancor più a destra di PiS, Konfederacja, ha ottenuto il 12% e si è classificato terzo.
Nei Paesi del nord Europa, invece, i partiti nazionalisti ed estremisti sono generalmente stati superati dalle forze tradizionali, con un declino dell’estrema destra mentre la sinistra ha visto aumentare il suo consenso. Questo fenomeno è stato definito dai media come “l’eccezione nordica”. In Finlandia, l’Alleanza di Sinistra è arrivata seconda con il 17.3%, superando il Partito Socialdemocratico di Finlandia (SDP) che si è posizionato terzo con il 14.9%. Al contrario, i Veri Finlandesi, principale partito di estrema destra e seconda forza nelle elezioni generali dell’aprile 2023 con il 20.1%, sono crollati al 7.6%.
In Svezia la sinistra e il centrosinistra hanno ottenuto risultati positivi, con i Socialdemocratici come partito più votato, seguito dai Verdi e dal Partito della Sinistra. Dall’altro lato, è andato molto male il partito di estrema destra e diretto discendente dei neonazisti svedesi Democratici Svedesi, passando dal previsto 23% al 13.2%.
In Danimarca i risultati probabilmente sorpreso di più. I Socialdemocratici, che al momento guidano un governo di coalizione e che alle scorse elezioni legislative nel 2022 aveva preso il 27%, ha preso solo il 15.6% arrivando secondo dietro al Partito Popolare Socialista (SF), principale partito di sinistra, che ha preso il 17.4%.
Da questi risultati elettorali, che tipo di Parlamento uscirà?
L’estrema destra non potrà formare una “minoranza di blocco” nel Parlamento europeo, poiché non avrà la capacità di opporsi efficacemente alla “grande coalizione” composta del Partito Popolare Europeo, del gruppo Socialisti e Democratici e da Renew, che mantengono la maggioranza assoluta dei seggi – considerando anche che gli ambientalisti tendono spesso a unirsi a questo blocco maggioritario. È molto probabile che si formi nuovamente una maggioranza trasversale che unirà partiti di centrodestra, di centro e di centrosinistra, come accaduto nel 2019 e quindi potrebbe non essere necessario, ma non è impossibile, un dialogo con Giorgia Meloni, che sembra si sia “rifocalizzata” (solo) a livello europeo, avvicinandosi a Ursula von der Leyen, o con la destra di ECR. Un’altra opzione di cui si parla, infatti, è l’eventualità che Ursula von der Leyen cambi l’equilibrio europeo, suggerendo la possibilità di un’alleanza con Fratelli d’Italia e altri partiti di destra radicale compatibili con conservatori e democristiani. Se ciò accadesse, il PPE diventerebbe di gran lunga il principale partito in Parlamento e avrebbe un peso ancora maggiore.
Sarà invece certamente molto difficile che una coalizione di destra emerga in modo duraturo e strutturale, poiché non c’è nulla in comune tra i partiti più moderati del PPE e i partiti più radicali del gruppo ID o dei Non iscritti.
Ciò che dovrebbe preoccupare è il chiaro spostamento dell’asse dell’estrema destra verso l’Europa occidentale. Fino a qualche anno fa si diceva che il cuore dell’Europa ultraconservatrice e nazionalista battesse dall’Ungheria alla Polonia, ma oggi si è decisamente spostato verso i tre Paesi chiave dell’Unione: Francia, Italia e Germania. Questi Paesi sono centrali per peso politico, economico e demografico nel continente, e c’è il rischio che se la destra dovesse vincere anche a livello nazionale in Francia e in Germania, acquisirebbe maggiore peso nel Consiglio Europeo, l’organo decisionale principale dell’Unione Europea.
Cosa ci hanno detto queste elezioni?
Le cause di questo aumento dell’estrema destra sono molteplici e variano da Paese a Paese, ma esistono modelli comuni. Negli ultimi decenni, i partiti di centro, centrosinistra e centrodestra hanno adottato posizioni molto simili sulle questioni economiche e, in questo contesto, sono emersi gli estremisti che hanno ottenuto successo elettorale per diverse ragioni, ma soprattutto perché rappresentano gli arrabbiati, i risentiti, i perdenti e gli esclusi, che stanno diventando sempre più numerosi. Nonostante le differenze tra i vari Paesi, ci sono alcune caratteristiche comuni tra gli elettori di estrema destra: la maggior parte sono uomini (quasi il 60%), bianchi, di età compresa tra 30 e 64 anni e appartenenti alla classe operaia. Questi individui hanno un atteggiamento sempre più critico nei confronti dell’UE, delle istituzioni europee e soprattutto dell’inclusione e del multilateralismo. Sono contrari alla migrazione, specialmente quella africana e musulmana, e si oppongono al sostegno economico dell’Europa all’Ucraina.
L’estrema destra europea offre a queste persone – sia materialmente che esistenzialmente – un linguaggio politico che permette loro di esprimere il proprio disagio. Al contrario, i partiti socialdemocratici europei hanno smesso di ideare e proporre alternative al sistema esistente, concentrandosi invece sulle giuste politiche di espansione dei diritti civili e delle minoranze, che, sebbene necessarie, non sono sufficienti per costruire un’identità capace di contrastare le destre. Quando la sinistra è diventata liberale, questa ha rinunciato alla sua ragion d’essere e ha smesso di mettere in discussione il sistema socioeconomico. Paradossalmente, questo ruolo di critica è ora assunto dall’estrema destra.
L’Europa sta vivendo una situazione che i critici decoloniali avevano previsto circa 20 anni fa: il neoliberismo precario, che ha portato ad ampie disuguaglianze nei Paesi del cosiddetto terzo mondo, ha ora colpito i Paesi del primo mondo. Ciò che vediamo oggi in Europa, con classi medie sempre più precarie e con figli che vivranno peggio dei loro genitori, è il risultato di un sistema economico senza radici sociali che smantella i sistemi di welfare. Parallelamente, le ex potenze colonizzatrici hanno visto, negli ultimi decenni, l’arrivo di un gran numero di persone dalle loro ex colonie, creando un “altro” interno che non sanno ancora come gestire.
Questa crisi è quindi sia materiale (bassi salari, disoccupazione, indebitamento) sia esistenziale (il bianco europeo confrontato con l’emergere del non bianco). L’estrema destra ha saputo cogliere tutto questo (specialmente la dimensione esistenziale) e ha offerto un linguaggio politico affinché l’europeo bianco, spaventato e impoverito, potesse esprimere il proprio disagio senza vincoli morali. La narrativa dell’estrema destra ha creato una costruzione tanto falsa quanto efficace: l’idea di una “dittatura progressista” che provoca l’arrivo “massiccio” di migranti che “minacciano la nostra identità”. Oggi sempre più persone sono arrabbiate, provano risentimento verso il sistema, sono consapevoli di aver perso e hanno bisogno di esprimere la loro rabbia e la sinistra, che storicamente ha canalizzato questi sentimenti, trasformata in sinistra liberale è ora vista come l’artefice di questa crisi.
Federico Morra