I rapporti tra Ungheria e Cina nell’era Trump

I rapporti tra Ungheria e Cina nell’era Trump

Il 2024 ha visto due eventi fondamentali nella politica e nell’economia dell’Ungheria, ossia la visita del presidente cinese Xi Jinping nel mese di maggio e la vittoria di Donald Trump alle elezioni statunitensi di novembre. Se il ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe rafforzare la posizione di Budapest in Europa, soprattutto nel contesto del perenne scontro con Bruxelles, proprio i rapporti con la Cina potrebbero rappresentare un elemento di frizione con Washington.

La visita di Xi Jinping, iniziata l’8 maggio e terminata il 10, ha costituito un salto di qualità nei rapporti tra il gigante asiatico e il piccolo Paese danubiano, portando alla firma di una partnership strategica, moderna e omnicomprensiva, considerato uno dei livelli di amicizia strategica più importanti della leadership cinese. Basti pensare che, al termine di questa tre-giorni che ha rappresentato il primo viaggio ufficiale di un presidente cinese in Ungheria da vent’anni, sono stati firmati diciotto memorandum d’intesa su numerosi temi quali commercio, turismo, cooperazione scientifica, cooperazione nucleare, energie rinnovabili, industria cinematografica, rapporti culturali.

Come ha evidenziato Viktor Orbán, l’incontro di alto livello con Xi Jinping è avvenuto in un contesto assai diverso rispetto a quello avvenuto nel 2004 tra Hu Jintao e l’allora primo ministro ungherese Ferenc Gyurcsány. Se, vent’anni fa, il mondo era infatti unipolare, il mondo di oggi si muove rapidamente verso il multipolarismo, un contesto nel quale la Cina riveste un ruolo sempre più fondamentale. Nell’accogliere l’attuale presidente cinese, Orbán ha ricordato come i rapporti tra i due Paesi siano sempre stati cordiali, con l’adesione di Budapest al principio “Una sola Cina” e con l’aiuto di Pechino durante la pandemia COVID, che portò alla contestata decisione ungherese di importare numerosi lotti di vaccini cinesi.

Il discorso del primo ministro ungherese ha segnalato i due punti fondamentali che hanno portato all’approfondimento delle relazioni tra Budapest e Pechino, ossia gli investimenti economici e i cambiamenti geopolitici in atto a livello mondiale. Entrambi gli aspetti meritano un approfondimento. Come ricorda Levente Horváth, ex console generale ungherese a Shanghai e attuale direttore del Centro Eurasia, i rapporti tra i due Paesi si sono approfonditi a partire dal 2010, con la cosiddetta “apertura a Oriente” di Budapest che ha coinciso con una politica di apertura a Occidente di Pechino. Da quel momento, le relazioni tra Ungheria e Cina si sono strette sempre più, con l’ingresso di Budapest nella Cooperazione tra Cina ed Europa Centro-Orientale e, primo Paese europeo, nella Belt and Road Initiative. Per rendere meglio l’idea degli sviluppi economici portati da questa stretta cooperazione, basti pensare che nel 2023 il volume del commercio bilaterale tra Ungheria e Cina è stato pari a 14,52 miliardi di dollari, aumentando del 73% rispetto al 2013. Gli investimenti diretti cinesi in Ungheria sono stati pari a 8,12 miliardi di dollari, ossia il 58% degli investimenti diretti stranieri: questo ha portato Pechino a essere il primo partner commerciale extraeuropeo dell’Ungheria, mentre il Paese danubiano rappresenta il terzo partner commerciale nell’Europa centro-orientale per il gigante asiatico.

Questa partnership sempre più stretta e la posizione geograficamente strategica dell’Ungheria, posta nel cuore dell’Europa, ha portato alla nascita di progetti ambiziosi quali la tratta alta velocità che collegherà Budapest a Belgrado e che verrà terminata entro il 2025 o all’apertura di sempre più stabilimenti cinesi in Ungheria, come la fabbrica della società produttrice di batterie al litio CATL. Quest’ultimo è l’investimento più grande nella storia dell’Ungheria, vedendo un impegno cinese di 3.000 miliardi di fiorini, ossia all’incirca 7,5 miliardi di euro.

La decisione di attrarre capitali cinesi in particolare e asiatici in generale, potrebbe rendere palese la volontà di Budapest di diversificare gli investimenti, diminuendo la dipendenza dal partner tradizionale, la Germania, soprattutto in un momento in cui la locomotiva d’Europa sembra rallentare, mentre al contrario i conflitti globali sembrano rinfocolarsi, compreso lo scontro costante con Bruxelles. A fare da contraltare politico agli investimenti economici, vi è infatti l’elaborazione di quella che viene definita dai conservatori magiari come “Strategia della connettività”, ossia la base della politica estera dei governi Orbán, più volte menzionata dallo stesso primo ministro e sistematizzata tramite il volume “Hussar Cut: The Hungarian Strategy for Connectivity”, scritto da Balázs Orbán, direttore politico dell’ufficio del primo ministro.

La base di questa strategia è stata ricordata da Viktor Orbán durante il suo tradizionale discorso tenuto, come ogni anno, a Tusványos. Secondo il primo ministro magiaro, stiamo vivendo un cambiamento del sistema mondiale, cambiamento nel quale la sfida al mondo occidentale non è all’interno dell’Occidente stesso, come in passato, ma viene dall’Asia. Il grande vantaggio economico-demografico, la quasi raggiunta parità militare con l’Occidente e la politica europea che ha spinto la Russia sempre più verso la Cina, hanno reso, secondo Orbán, sempre più irreversibile il processo di ascesa del gigante asiatico iniziato con l’inclusione di Pechino nell’Organizzazione mondiale del commercio. In questo contesto, ossia nella progressiva fine del mondo unipolare e nell’emersione del multipolarismo che porta con sé la crisi dei principi liberali che hanno retto l’Occidente dalla caduta dell’Unione sovietica a oggi, con la conseguente e cieca politica di imporre tali valori al resto del mondo, l’Europa ha, secondo la leadership ungherese, solo due strade davanti a sé: venire assorbita dagli Stati Uniti o elaborare una propria strategia che inserisca il Vecchio Continente nella competizione globale multipolare.

Per Orbán, complice lo spostamento del centro economico globale in Asia, questo cambiamento non rappresenta una minaccia, ma una concreta possibilità di sviluppo. Secondo il primo ministro magiaro, infatti, la posizione geografica di Budapest e l’origine asiatica del popolo ungherese poi occidentalizzatosi, possono offrire la possibilità di rappresentare un ponte tra Europa e Asia, aprendo le porte del Vecchio Continente alla Cina e possono fornire le competenze necessarie all’Europa per uscire dalla bolla nella quale vive e prendere atto del cambiamento globale in atto, abbracciandolo. Da qui la necessità di evitare la nascita di nuovi blocchi geopolitici e la volontà di Budapest di collaborare con i partner asiatici, soprattutto Mosca e Pechino, nel contesto di una politica di mutuo beneficio che porta alla fioritura di forti rapporti economici.

Come accennato, la vittoria di Trump e la sua probabile crociata anticinese, potrebbero però portare a un cambiamento nella politica ungherese. Nonostante, infatti, permanga la tendenza a mantenere intatti i rapporti con Pechino nell’ottica della strategia appena delineata, è facilmente immaginabile come l’Amministrazione statunitense possa fare pressioni sul governo ungherese per rivedere certe posizioni, soprattutto alla luce della necessità di Budapest (e in particolare di un Orbán che vede montare sempre più il dissenso interno) di ricevere l’aiuto politico-diplomatico di Washington nel conflitto con l’Europa. Non a caso, in un’intervista rilasciata il 7 febbraio, Orbán ha affermato che i forti investimenti cinesi sono stati resi necessari dal disimpegno statunitense durante l’Amministrazione Biden, esprimendo la speranza che Trump possa invertire questa politica e i capitali statunitensi possano tornare a essere determinanti in Ungheria. Difficile, con i dazi imposti da Trump, e di cui Orban dà la colpa proprio all’Europa. L’inizio di un’inversione di tendenza che potrebbe portare alla ridefinizione della strategia di politica estera del Fidesz e del fronte conservatore ungherese?

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