Come ne “Il racconto dell’ancella” pensiamo che sia il fondamentalismo religioso e la retorica di “Dio, patria e famiglia” a farci perdere i diritti. Invece è il capitalismo
Con la vittoria dell’estrema destra capitanata da Giorgia Meloni si prospetta in Italia un periodo ancora più buio di quello che già affrontavamo. Ma sarebbe un errore profondo dimenticarci che non veniamo da un idillio e, a dirla tutta, le misure centriste e neoliberali sono proprio quelle che ci hanno portato qui. Giorgia Meloni, lontano dal rompere con gli standard attuali, rappresenta, con il suo approccio liberista verso l’economia, un rafforzamento di essi, una mano dura della quale il capitalismo ha bisogno in momenti di particolare crisi. Sì, è un grave errore pensare che non ci sia alcuna differenza tra un Governo con Meloni in testa e uno guidato da Draghi o il Partito Democratico. Ma è anche un gravissimo errore credere che un Governo dell’estrema destra c’entri poco con uno liberista, come sembrano volerci suggerire alcuni prodotti culturali come la serie Il racconto dell’ancella, che ha una nuova stagione in uscita su HBO.
Tutto indica che Meloni eroderà i nostri diritti democratici, che porterà, a poco a poco, l’Italia ad assomigliare a paesi autoritari dell’est europeo come la Polonia o l’Ungheria. Non dobbiamo però pensare che il fondamentalismo religioso ed il conservativismo sociale siano i nostri unici problemi: infatti, Giorgia Meloni è una leader neoliberale che si comporterà come tale, e che non farà altro che peggiorare le condizioni materiali della classe lavoratrice, che, e questo è importante, erano già pietose sotto il Governo Draghi.
Vale un discorso simile sul Governo statunitense di Donald Trump, conclusosi nel 2020. Per molti liberali, però, così come per una parte preoccupantemente ampia della sinistra, il problema dei nostri giorni sembrerebbe limitato ai diritti civili, come quello all’aborto. È da questa prospettiva che si guarda la serie cult Il racconto dell’ancella come una storia sul presente, una realtà portata avanti da governi come quello di Trump o di Meloni, che sono, secondo questi spettatori, il nostro più grande problema. Una realtà con l’oppressione delle donne al centro e con l’ossessione di rafforzare in termini fondamentalisti i valori religiosi, i figli, la famiglia tradizionale. Se stiamo ai numeri, però, intorno al 2017, l’anno nel quale fu lanciata la prima stagione di questa serie, come riporta Angela Eagle su Jacobin gli studi dimostravano che mentre le nascite sono in declino, il desiderio di essere madri delle donne non lo è: le donne, dunque, hanno in media meno bambini di quanti ne vorrebbero avere. Portare gravidanze non volute a termine è una privazione di libertà, ma lo è anche non poter permetterci di avere bambini desiderati, e di averli nel modo che preferiamo.
I dati parlano chiaro. Nel sud Europa, osserviamo infatti come ci saranno ogni volta meno coppie con figli e di più senza: ‘entro il 2041 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non ne avrà’, ci dice un comunicato stampa dell’Istat pubblicato a settembre del 2022. E, secondo l’Istituto Nazionale di Statistica spagnolo, ‘le donne preferirebbero avere una media di due figli, di fronte ai 1,2 che ne hanno in realtà’. È chiaro che un Governo Meloni deve farci preoccupare rispetto al nostro diritto di abortire. Infatti leggiamo che, per la leader, la regione Marche è un modello. Con la presidenza del suo compagno di partito Francesco Acquaroli, come scrive la collega Vanessa Ricciardi, ‘la regione si è rifiutata di adottare le linee guida del ministero della Salute per l’uso della pillola abortiva RU486. È lo stesso territorio dove il 70 per cento dei ginecologi risulta obiettore’. Questo, però, non significa che possiamo deridere l’idea che portare a termine le gravidanze che desideriamo non sia un diritto. Se la sinistra non è pronta a lottare per condizioni materiali che ci diano la libertà di decidere se avere figli o no, libertà che attualmente le donne lavoratrici italiane non hanno in nessuno dei due sensi, allora permettiamo a personaggi come Meloni di raccontarci la menzogna che è lei che ci può aiutare ad avere i bambini che desideriamo, e questo è grave.
È in questo contesto che le femministe liberiste pensano che sia una buona idea travestirsi da ancelle e portare avanti il messaggio che il fondamentalismo religioso sia il nostro maggior problema. Intanto, però, questo genere di femministe appoggia una narrativa nella quale la protagonista della serie, June, sfoglia riviste dell’alba del ventunesimo secolo come se si trattasse di un’utopia. Nel Racconto dell’ancella, i fondamentalisti religiosi hanno preso il potere assoluto negli Stati Uniti e stabilito una dittatura che ha al centro l’oppressione delle donne, che vengono sistematicamente violentate e usate come madri surrogate. Questo scenario viene rappresentato come un incubo interminabile, che vede le donne condannate a vivere solo per portare a termine gravidanze non volute.
Prima di divenire ancella, June, la protagonista, viene rappresentata nei flashback come una donna indipendente, con un lavoro stabile, una vita sessuale che ama, e una figlia piccola. Il sesso viene usato per indicare quanto June odi essere sottomessa: per la serie, prevedibilmente, le cose importanti sono gli stereotipi che rappresentiamo nella nostra vita privata, invece delle condizioni materiali nelle quali siamo o meno liberi di ‘riprodurre’ gli stereotipo che ci pare. Nell’utopia liberista, June è felice, anche se la serie non perde opportunità di farci vedere che il suo lavoro dovrebbe essere ancora più importante per lei di quanto già non lo sia. Questo ce lo mostra il personaggio di sua madre, che la spinge ripetutamente a essere più ambiziosa, e non mostra particolare entusiasmo, ma tutt’altro, verso il matrimonio o la maternità di sua figlia. Uno dei segni che la serie segnala come più pericolosi e tristi, infatti, è la perdita del lavoro, fenomeno che fa soffrire le donne con la crescita del movimento fondamentalista religioso nel loro paese.
C’è da chiedersi come mai la perdita di lavori corporativi e basati sullo sfruttamento sia rappresentata come la maggior tragedia possibile nella vita di una donna. Quelle rappresentate sono, infatti, donne di successo, felici nelle loro condizioni materiali, ambiziose dentro la ruota corporativa capitalista. L’unica cosa a distoglierle dal loro successo sembra essere la crescita di questi fondamentalisti religiosi. Queste donne non perdono le case, non vengono sfrattate? Queste donne non hanno incidenti lavorativi? Queste donne non si vedono obbligate ad urinare in delle bottiglie per non interrompere le mansioni lavorative? Queste donne non hanno freddo quando non possono permettersi di riscaldare le loro case a causa dell’aumento dei costi? Allora forse queste donne sono benestanti, ma sono loro che la serie decide di rappresentare come maggioranza in una società governata dal liberismo da fine della storia. In realtà, invece, donne come quelle che vede June nella rivista che sfoglia con nostalgia dall’oscurità di un regime fascista, sono una minoranza, specialmente se usciamo dal nord globale. Ma la serie sceglie di raccontarci il liberismo come un luogo felice in cui si è libere davvero.
E una volta arrivata la dittatura tradizionalista, cosa viene premiato, dalla serie, nelle donne? Non sorprendentemente, la vendetta contro gli uomini. Appena scappata dalla dittatura e rifugiatasi in Canada, June riesce infatti ad arrivare ad un accordo che dà a lei in mano l’opportunità di uccidere, insieme ad altre rifugiate, Fred Waterford, l’uomo a capo della famiglia alla quale era stata assegnata come ancella/madre surrogata. La serie considera importante rappresentare come June tira fuori la sua rabbia sul suo violentatore mostrandoci la violenza estrema esercitata sul corpo di lui. Ma la serie aveva già glorificato questa violenza con altre uccisioni perpetrate da ancelle, e le aveva celebrate come un segno di forza, determinazione e, anche femminismo. Questi uomini non vengono rappresentati come agenti o soggetti del maschilismo, vengono rappresentati come il maschilismo, che va letteralmente torturato e ucciso. Nella violenza di queste uccisioni non c’è una rappresentazione del sistema che divide il lavoro contando sullo sfruttamento sproporzionato del genere femminile, c’è soltanto la rappresentazione di individui particolari di genere maschile che sono crudeli con le donne. E la vendetta violenta e indiscriminata contro l’altro è rappresentata come una vittoria.
Il tema della vendetta messa sul piedistallo dalla serie ha molto a che vedere con la rappresentazione delle vittime. Senza dar peso a quanto June e le altre ancelle sbaglino nelle loro scelte, quanto individualiste siano le loro soluzioni, o quanta importanza diano alla violenza che amano eseguire, la serie le vede come arbitri assoluti della realtà. Dandoci la loro prospettiva e non offrendo nessuna critica a essa, il messaggio che ci viene comunicato è che la vittima ha sempre ragione, ma anche che la vittima sarà sempre e soltanto vittima. Sempre che, però, la vittima combaci con l’idea di vittima che ci suggeriscono i valori liberisti. Curiosamente, non ci sono vittime di sinistra che pretendano soluzioni sistemiche o comuni, solo individualismo.]
Le donne che sono riuscite a scappare da Gilead –l’America fascista–, sono arrivate in Canada solo per rimanere intrappolate dentro ad una sofferenza costante e apparentemente incurabile. Vediamo persino come qualcuna torni indietro, come si uniscano solo nella vendetta e nel dolore. E il problema più grande di questo non sono i loro sentimenti, umani e spesso inevitabili, è che questo si presenti come soluzione invece che come un’individualizzazione del problema, che si dia priorità ad una ricerca di sollievo per i sentimenti privati invece che a una determinazione di finire con sistemi ingiusti. Ma questa è anche una dichiarazione: una donna ‘perbene’ non può superare mai il trauma della violenza, e tutta la sua vita diventa un guardarsi indietro verso quel momento. È questo che ci comunicano le ex-ancelle rifugiate e perennemente sofferenti, oltre che violentemente e individualisticamente vendicative.
Tutto questo individualismo ci viene confermato quando June ripete più e più volte per chi fa tutto quello che fa, come mai si muove per distruggere Gilead. Sua figlia, Hannah, avuta insieme al marito Luke, col quale viveva felicemente da prima dell’esistenza della Repubblica fascista, è stata data ad una potente famiglia dello Stato totalitario. Recuperarla, nelle stesse parole di June, è l’unica cosa veramente importante per la protagonista: ‘it’s all for her’ (‘è tutto per lei’). Recuperarla sembra essere il suo unico, vero obbiettivo: June, e la serie in generale, non vuole un mondo giusto ed ugualitario, non vuole migliorare le condizioni materiali e, in conseguenza, le libertà di tutti, lei vuole riprendersi sua figlia. Il resto, in realtà, non le importa.
La serie ci dice che il totalitarismo religioso è crudele ma è anche il risultato di desideri personali dei suoi perpetratori. Il male, indica la serie, viene da persone malvagie, non da interessi materiali delle classi capitaliste. Sono invece queste che, oggigiorno, sia attraverso il liberismo di paesi come l‘Inghilterra che attraverso il post-fascismo di leader come Meloni, hanno come priorità ritagliare i diritti di tutta la classe lavoratrice. Basta guardare le promesse di Meloni riguardo l’abbassamento delle tasse ai più ricchi per capire che, oltre a tagliare i diritti civili, la leader continuerà a portare avanti la stessa dottrina economica liberista della quale lei stessa è prodotto.
La lotta di June è personale, la vendetta di June è personale, la serie ci racconta una storia personale che, anche essendo a modo suo politica, vede la politica come un’ostacolo che impedisce a donne di successo in termini capitalisti di mantenere quel successo. La serie ci propone la vendetta e la violenza contro gli uomini come soluzione, glorifica la condizione di vittima, centra ogni lotta intorno a desideri privati e ci racconta che l’unica minaccia è il fascismo perché non vuole puntare il dito verso il liberismo.
Secondo la serie, le soluzioni non sono quelle che proponiamo le femministe socialiste, quelle che ci darebbero veramente la libertà di scegliere se, quando e come avere bambini. Non sono, dunque, buone condizioni materiali, come una casa, la sanità o l’educazione di qualità garantite. Il problema, dice Il racconto dell’ancella, non sono i sistemi che servono il capitalismo come il maschilismo, che fa soffrire non solo le donne ma persone di ogni genere, l’importante non è la lotta collettiva che è l’unica che può realmente migliorare la nostra vita personale… perché la serie, come la retorica sui diritti attuale, è essenzialmente liberista e per donne benestanti. Donne che non vedono negli uomini di classe lavoratrice compagni di lotta, perché gli interessi di classe che hanno o che scelgono di appoggiare sono, in realtà, conservatori. Donne infastidite, e anche giustamente, dall’ascesa al potere di personaggi come Meloni o Trump, ma ferme davanti alla dichiarazione di una fine della storia che vede vittime le donne che puliscono le loro case, cuciono i loro vestiti, curano le loro strade, preparano il loro cibo… spesso subendo la precarietà. Sono anche queste tante delle donne che non hanno la libertà di scegliere né di avere bambini né di non averli. E sono una maggioranza quelle che non hanno il “lusso” di vedere il fascismo, di cui sarebbero le prime vittime, come la loro unica preoccupazione: il regime tirannico capitalista le tiene, infatti, già prigioniere.