Dopo una pausa durata ben otto anni, David Cronenberg è tornato finalmente al cinema con il suo “Crimes of the future”. La pellicola, presentata ufficialmente al festival di Cannes e uscita nelle sale italiane il 24 agosto, segna anche il ritorno del regista canadese al genere che lo ha reso celebre e che lui stesso ha contribuito a creare: il body horror.
La trama del film è piuttosto complessa, anche per gli standard a cui il cineasta ha abituato il suo pubblico. Ambientato in un futuro distopico in cui la soglia del dolore degli esseri umani si è innalzata al punto che quasi nessuno è più in grado di percepirlo, il film vede al centro il rapporto tra la corporalità, l’evoluzione e i nuovi modi attraverso cui provare piacere sessuale. In questo mondo la pratica della chirurgia si sostituisce al sesso e all’arte e acquisisce centralità nella vita di tutti i giorni. Il personaggio principale, interpretato ottimamente da Viggo Mortensen (ormai vero e proprio attore feticcio di Cronenberg), è un artista performativo e uno dei pochi uomini a provare ancora dolore. Questi, insieme alla sua compagna, interpretata da Lea Seydoux, si esibisce in performances d’avanguardia in cui si fa asportare gli organi superflui, in realtà vere e proprie formazioni tumorali, che ciclicamente crescono in lui. Con l’avanzar della storia e con la presentazione di nuovi personaggi, la trama acquisisce più complessità e profondità: il protagonista, infatti, si imbatte in tante figure diverse e con scopi e interessi profondamente in contrasto tra loro. A far da collante a tutto ciò, Cronenberg inserisce elementi noir che al tempo stesso incrementano la profondità dell’opera e la rendono più avvincente agli occhi dello spettatore.
Il cast è perfetto; come detto, l’interpretazione di Mortensen è ottima: in un mondo così fuori le righe riesce a rendere tutto credibile e “normale”. Anche Lea Seydoux, nel ruolo di co-protagonista, è notevole e addirittura regala al pubblico una delle sue migliori interpretazioni. Allo stesso modo anche i comprimari non sfigurano affatto; su tutte è degna di nota la grande prova attoriale di Kristen Stewart (che dopo il grande successo ottenuto con “Spencer” non perde la voglia di mettersi in gioco in opere più sperimentali).
Dal punto di vista tecnico il film è notevole: la fotografia catturata da Douglas Koch restituisce al meglio le ambientazioni cupe e distopiche presentate dal regista canadese. A contribuire a ciò si inseriscono da una parte le scenografie perfette che contribuiscono in modo egregio alla riuscita del look visivo del film, dall’altra l’evocativa colonna sonora composta da un miscuglio di suoni e rumori industriali che commentano in modo davvero convincente le immagini del film.
Come in tutti i film di Cronenberg, il punto focale di “Crimes of the future” è il discorso politico alla base che in questo caso è ampio e ramificato. Al centro c’è il nuovo rapporto con il corpo e la sessualità (tema ricorrente nella filmografia del regista in questione), che porta con sé anche una riflessione sull’arte e infine sull’evoluzione e sul progresso. A mio avviso però è proprio questa “dispersione tematica” il punto debole del film, ammesso che di vero e proprio punto debole si possa parlare. Il film tratta di diversi argomenti, invero collegati tra loro, ma in modo a volte troppo superficiale; ciò è sottolineato anche dalla caratterizzazione piatta dei personaggi (soprattutto i non protagonisti) e dai dialoghi che spesso risultano slegati rispetto al resto.
È evidente sin dall’inizio che in questo film Cronenberg abbia voluto condensare tutta la sua poetica e il suo immaginario ed è altrettanto facile considerare tale pellicola la summa della sua arte (sono frequenti i richiami, sia tematici sia visivi alle sue opere precedenti). Tuttavia, a volte si ha la sensazione di star ascoltando qualcosa di già ascoltato e altre volte invece si avverte una sorta di mancanza di profondità.
Sebastian Angieri