L’ultimo film di Hayao Miyazaki, Il ragazzo e l’airone, è un racconto che scaturisce da due traumi: il trauma della guerra (la Guerra del Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale) e, soprattutto, il trauma causato dalla perdita di una madre. Il ragazzo e l’airone inizia nel segno del fuoco: un incendio divampato in un ospedale priva il dodicenne Mahito della madre Hisako.
Come in molte fiabe il protagonista, rimasto orfano di madre, assiste impotente all’unione del padre con un’altra donna, che diventerà la sua matrigna. In questa storia è la sorella più giovane della madre morta, ed è decisamente una matrigna sui generis: si dedica al figliastro con grande premura e gli è molto legata. Padre e figlio si trasferiranno a vivere in un’altra città e in un’altra casa con la donna.
Dalla scoperta di un’antica torre in giardino e dall’incontro con un airone cinerino avrà inizio l’avventura del giovane protagonista alla riscoperta delle proprie radici. Un viaggio eroico che porterà anche alla rielaborazione del trauma per la scomparsa della madre.
Il ragazzo e l’airone: il testamento artistico di Miyazaki
Il film, il primo del regista e disegnatore giapponese dal 2013, è da considerarsi un vero e proprio testamento artistico e personale e, nelle intenzioni di Miyazaki, è il suo ultimo film.
Qui, l’autore rappresenta sé stesso in una forma duplice: quella del giovane Mahito e quella del Prozio, un vecchio saggio che ricorda un po’ Mago Merlino. Il Prozio è un Creatore di universi, alla stregua dello stesso Miyazaki.
Che ha saputo dare vita a mondi affascinanti come quelli apparsi ne La città incantata (2001) o ne Il castello Errante di Howl (2004), qui rievocato dal personaggio di Himi, pressoché identica alla Sophie del film del 2004.
In Il ragazzo e l’airone c’è la guerra di Una tomba per le lucciole (1988), di Nausicaä della Valle del vento (1984) e della Principessa Mononoke (1997). Anche se qui la guerra è incredibilmente reale: è la guerra che Miyazaki ha vissuto da bambino.
Ci sono gli aerei – quelli fabbricati dal padre di Mahito – che animano anche Porco Rosso (1992), storia di un aviatore della Prima Guerra Mondiale trasformato per magia in maiale, e Si alza il vento (2013), il suo penultimo film.
Ci sono le vecchine buffe parenti strette della Strega Yubaba e i wara wara, kawaii (“adorabili” in giapponese, ndr) come le palline di fuliggine de La città incantata o i pesciolini di Ponyo sulla scogliera (2008).
C’è tanta aria: nel volo dell’airone, dei pellicani e dei parrocchetti già entrati nell’immaginario del pubblico, nella roccia fluttuante che rimanda irresistibilmente a Laputa – Il castello nel cielo (1986). Ma anche tanto fuoco, come piace all’autore giapponese: il fuoco di Himi, che ricorda il fuoco di Calcifer, il demone-fiammella che alimenta il Castello errante e che costituisce l’anima stessa dello stesso Howl.
Insomma: sembra proprio che ogni elemento della natura cooperi per dare forza e magia al cinema di Miyazaki.
Il viaggio di Mahito
Ma torniamo alle vicende del nostro protagonista. Dopo essersi ferito da solo la testa per evitare di andare a scuola, cercando di aggirare un problema, Mahito inizierà il suo viaggio, che lo condurrà in un “upside down world”, alla Alice di Lewis Carroll. Un viaggio che lo trasformerà nel profondo, rendendolo uomo e obbligandolo ad affrontare i propri demoni.
Il viaggio eroico inizierà con il pretesto di andare alla ricerca della matrigna, scomparsa e incinta di un altro figlio, oltre che molto simile fisicamente a sua madre.
L’universo alternativo attraversato da Mahito ha volutamente una struttura da Oltretomba dantesco. Il riferimento è esplicitato da una scritta che appare all’ingresso: “fecemi la divina potestate”, vale a dire “sono opera della potestà divina”. Questo Inferno sarà l’espressione dell’interiorità del protagonista e del suo caos interiore.
Ad aiutarlo nel viaggio sarà la succitata Himi, che lo guiderà a mo’ di Beatrice attraverso l’universo sconosciuto, aiutandolo ad affrontare le prove più gravose.
Questo film celebra anche l’unione dinamica tra passato e presente, in un continuo scambio tra giovinezza e vecchiaia. Numerosi gli spunti autobiografici: lo sfondo della guerra mondiale, il padre operaio in fabbrica. Addirittura le letture: nel film, il personaggio di Mahito legge un romanzo di Genzaburo Yoshino pubblicato nel 1937 di stampo pacifista, E voi come vivrete?, un libro che il giovane Miyazaki ha letto molte volte e che ha ispirato il primo titolo attribuito a questo film dal suo autore.
C’è anche tanto Giappone nel concetto zen dell’universo da mantenere in equilibrio, simboleggiato dalla torre di pietra e dal cumulo di pietre messe l’una sull’altra dal Creatore facendo attenzione a non causarne il crollo.
Un finale troppo sbrigativo
Il finale del film è forse troppo sbrigativo, e lascia lo spettatore in sospeso, interdetto, mentre scorrono i titoli di coda. Il ragazzo e l’airone lascia nello spettatore una sensazione che il The Hollywood Reporter ha definito, in modo particolarmente efficace, una “combinazione di lieve smarrimento e profondo apprezzamento”.
Sensazione che dipende dalla trama, considerata da molti quasi impalpabile, e dagli scenari onirici. Ciò che resta dopo la visione è quasi una trance: un intontimento al quale non può non seguire una riflessione su ciò che si è appena visto, una ricerca di senso.
Di primo acchito questo non è il film migliore dell’autore giapponese, ma contiene tutte le tematiche a lui più care e la poetica che sente il bisogno di tramandare ai suoi eredi, incluso il figlio Goro.
A partire dal titolo voluto in origine da Miyazaki (E voi come vivrete?), viene da chiedersi: come vivremo senza di lui? Riusciremo a tenere in piedi un tale universo immaginifico?
La risposta, probabilmente, è no.