Di fronte alla telecamera, Simone Zimmerman, nata a Los Angeles nel 1990, mostra i disegni della sua infanzia. Sorride amaramente: il disegno della bandiera degli Stati Uniti in una mano, quello di Israele nell’altra. Il disegno di una bambina e del “suo Israele”, ovunque l’azzurro e il bianco.
Il giovane Eitan (ebreo di Chicago) racconta invece l’entusiasmo con cui, al termine delle scuole superiori, parte per arruolarsi nell’Israeli Defence Force per difendere quello che considera il suo Paese (molto più degli Stati Uniti): Israele, di nuovo.
Quando Simone (voce narrante del documentario) inizia a frequentare il college si rende conto però che la realtà non è quella che le hanno raccontato nelle scuole sioniste che ha frequentato per tutta la vita, dove i bambini, incitati dagli insegnanti, scandivano a voce alta il nome dello stato prediletto. Nessuno le aveva mai spiegato ciò che era successo e stava succedendo in Palestina.
Scopre rapidamente la verità anche Eitan, soldato nell’IDF (oggi veterano), che tuttavia non riesce a essere complice delle violenze commesse dall’esercito israeliano nei confronti dei civili palestinesi.
I registi Sam Eilertsen e Erin Axelman (entrambi ebrei) con Israelism (uscito dopo anni di ricerche nel 2023, prima del 7 ottobre) denunciano la fitta rete di propaganda in cui vengono cresciuti molti bambini e giovani ebrei americani dalle agenzie di educazione sioniste. Ma, soprattutto, mostrano la crisi vissuta dalle ebree e dagli ebrei che si allontanano quando prendono coscienza di ciò che succede realmente a Gaza e in Cisgiordania tra continue violazioni dei diritti umani e trasferimenti forzati della popolazione palestinese.
Isrealism è lontano dalle atmosfere di Unorthodox, la miniserie targata Netflix uscita nel 2020 che racconta la fuga e la scoperta del mondo della giovane Esty, cresciuta isolata dal mondo in una comunità di ebrei ortodossi. Eppure viene spontaneo il paragone tra Esty e Simone Zimmerman: entrambe vivono una rottura inevitabile, che lacera le famiglie e obbliga a tagliare i ponti con gli amici di una vita. Sperimentano entrambe la solitudine e, soprattutto, la ricerca di un altro modo di essere ebree oggi.
Oggi Zimmerman è in prima linea con la sua associazione ebraica antisionista If not now, manifesta contro gli attacchi ai palestinesi e gli esponenti delle associazioni sioniste. Simone sa che dall’altra parte della barricata, in difesa di Israele, un parente o un vecchio amico manifestano tra chi crede che “l’ebraismo è il sionismo”, per dirla con le parole di Abe Foxman, presidente dell’associazione Anti Defamation League intervistato dai due registi.
Non ancora disponibile in lingua italiana, il documentario (che, negli USA, ha vinto diversi premi) affronta un tema che, in scala ridotta ma in misura egualmente drammatica, riguarda anche l’Europa e l’Italia: ne sono una prova le critiche interne alla comunità ebraica dopo che il 26 febbraio Repubblica e il Manifesto hanno pubblicato le firme di 200 persone ebree contro la pulizia etnica in Palestina.
Serena Ganzarolli