La crisi turca

La crisi turca

Ieri il Ministro della Difesa Guido Crosetto ha incontrato ad Ankara il presidente turco Erdoğan. I temi del confronto sono stati gli scenari di guerra in Ucraina, Medio Oriente e un’eventuale possibile cooperazione tra le forze armate turche e quelle italiane. Il ricatto turco, costante negli ultimi anni, è sempre lo stesso: se l’Ue dovesse dimostrarsi troppo poco amichevole, Ankara smetterebbe di bloccare i migranti diretti verso i Paesi dell’Ue alle sue frontiere. Inoltre, per l’Italia, sussiste una questione di interessi nazionali. Da quando Gheddafi è stato deposto e in Libia è scoppiato il caos, la Turchia è riuscita ad imporre il proprio controllo su vaste zone della Cirenaica e a esautorare la storica influenza di Roma in quella regione. L’altra grande zona costiera della Libia, la Tripolitania, è rimasta sotto l’influenza italiana ma la minaccia del generale Haftar e delle ingerenze turche è sempre presente. Ad oggi, tuttavia, Crosetto ha presentato gli incontri con il presidente e con il ministro della difesa turco Yaşar Güler come un modo per affermare la «comune volontà di promuovere il dialogo e la stabilità dai Balcani al Medio Oriente».

Ma quanto è solida l’autorità di Erdoğan dopo che gli ultimi avvenimenti e le proteste in tutto il paese hanno cercato di minarla? E quanto impatto sta avendo la crisi economica, legata secondo alcune analisi proprio all’autoritarismo crescente?

In un modo o nell’altro, Recep Tayyip Erdoğan governa la Turchia da oltre vent’anni. È salito al potere come primo ministro nel 2003 ed è poi diventato presidente del Paese nel 2014. Nel 2017, è anche riuscito a far passare con successo un referendum che aveva fatto diventare la Turchia una repubblica presidenziale, trasformando la posizione di presidente da semplice carica simbolica all’autorità politica più importante del Paese.

Secondo i suoi detrattori, Erdoğan avrebbe però usato la sua posizione per indebolire la democrazia turca. Quanto successo ad Ekrem İmamoğlu viene considerato dall’opposizione turca l’ultimo segnale in ordine di tempo di questo crescente autoritarismo. Lo scorso 18 marzo, il sindaco di Istanbul è stato infatti arrestato con l’accusa di corruzione, estorsione e favoreggiamento nei confronti di associazioni criminali e dei terroristi del PKK (Partito Lavoratori del Kurdistan).

La tempistica e la modalità dell’arresto sono state immediatamente denunciate come sospette dallo stesso İmamoğlu e dai suoi alleati, in quanto questo è avvenuto il giorno prima che l’uomo potesse essere ufficialmente nominato dal Partito Popolare Repubblicano (CHP) come candidato per le elezioni presidenziali del 2028. I suoi sostenitori hanno sottolineato che non è la prima volta che il governo turco cerca di togliere di mezzo İmamoğlu utilizzando cavilli legali. Nel 2019 il risultato del primo turno delle elezioni comunali di Istambul, vinto da Imamoglu, fu annullato dal governo turco a causa di non ben specificate irregolarità nel voto (alla fine il leader del CHP vinse però anche il secondo turno) e poco prima dell’arresto l’università di Istanbul gli aveva revocato la laurea (la Costituzione turca permette solo ai laureati di candidarsi come presidente).

Il governo turco ha però rifiutato le accuse. Durante una riunione del suo partito, Erdoğan ha infatti rivelato che le prove che hanno portato all’arresto di İmamoğlu vengono da membri dello stesso Partito Popolare Repubblicano. Secondo questa versione, gli informatori avrebbero procurato alla magistratura turca prove ancora più schiaccianti che saranno presto rivelate al pubblico.  Queste precisazioni non sono però state in grado di fermare le proteste di piazza.

Anche se İmamoğlu si trova attualmente in carcere, il Partito Popolare Repubblicano lo ha comunque nominato suo candidato per la presidenza e ha invitato i suoi sostenitori a scendere in piazza per protestare. Attualmente, le dimostrazioni contro Erdoğan si sono estese a più di 55 delle 81 province turche, causando numerosi scontri con la polizia e migliaia di arresti.

Erdoğan non sembra però disposto a fare marcia indietro. Il 22 marzo i giudici del tribunale di Istanbul hanno confermato l’arresto di İmamoğlu, mentre la tv di stato e i membri del governo hanno denunciato i partecipanti alle proteste come simpatizzanti di terroristi. İmamoğlu e i suoi alleati politici non sono peraltro gli unici ad aver subito repressioni da parte del governo turco. Dopo il 19 marzo, la magistratura turca ha ordinato la dissoluzione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Istanbul, mentre l’autorità statale turca per la radio e la televisione (Rtuk) ha imposto un divieto sulle trasmissioni fino a 10 giorni a diversi canali televisivi con posizioni vicine all’opposizione.

Il governo di Erdoğan dovette affrontare simili proteste già nel 2013 e ne uscì completamente rafforzato. Come allora, l’Unione Europea e gli Stati Uniti appaiono riluttanti a criticare apertamente l’operato del presidente turco, vista l’importanza strategica ed economica del suo Paese. Nessun membro dell’UE sembra disposto a sanzionare Ankara per quanto sta succedendo, anche se una delegazione da Bruxelles ha visitato Imamoglu in carcere, mentre Elon Musk, uno dei principali finanziatori e alleati di Donald Trump, ha sospeso i profili su X (ex Twitter) dei capi dell’opposizione turca.

A differenza di dodici anni fa, c’è però una differenza fondamentale, la stessa che ha permesso a Imamoglu di vincere le elezioni comunali ad Istanbul nel 2019: l’economia turca è in profonda crisi. Sin dal 2018, la lira turca continua a perdere valore nei mercati internazionali, provocando così l’aumento dell’inflazione e della disoccupazione in Turchia. Alla fine del 2024, l’inflazione in Turchia ha raggiunto il 44,4% a livello annuo, mentre il livello di disoccupazione giovanile riguardava il 16,6% dei giovani tra i 18 e 25 anni.

Allo stesso tempo, i prezzi sono aumentati di oltre il 50% (anche se alcuni critici e analisti stranieri pensano che la vera cifra si aggiri attorno al 70%), al punto che già nel 2023 circa un terzo della popolazione turca viveva in condizioni di povertà. Nel 2024, quasi 15.000 aziende sono state poi costrette a chiudere i battenti, specialmente nei settori del tessile e dell’abbigliamento, nonostante Ankara sia tuttora il sesto maggiore esportatore mondiale di tessuti e di abbigliamento e il terzo più grande in Europa.

Secondo numerosi economisti, la crisi sarebbe stata causata dal crescente autoritarismo di Erdoğan e dall’incapacità del governo turco di adeguare il livello degli stipendi e delle pensioni al crescente costo della vita. Proprio le cattive condizioni dell’economia avevano fatto perdere al Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) di Erdoğan il posto di prima forza politica in Turchia durante le elezioni amministrative del 2024, mentre il CHP aveva superato la soglia del 30% dei voti ottenuti per la prima volta dal 1977.

Il caos causato dall’arresto di İmamoğlu ha peraltro danneggiato ulteriormente la già fragile economia turca. La lira turca si è deprezzata di circa il 12% rispetto al dollaro e all’euro, mentre l’indice BIST 100, che rappresenta le 100 azioni turche più capitalizzate, è sceso di quasi 9 punti percentuali, cancellando 10 miliardi di dollari di capitalizzazione dalle società quotate. La Banca centrale turca è stata poi costretta ad aumentare al 46% i tassi overnight (tassi di interesse a cui le banche prestano denaro ad altre banche per 24 ore). Nonostante le rassicurazioni del Ministero dell’economia turco e i tentativi della banca centrale turca di abbassare il valore del dollaro nel Paese attraverso la vendita delle sue riserve, si è poi registrato un aumento degli acquisti di titoli di stato denominati in valute straniere e obbligazioni in valute forti, in quanto gli investitori domestici temono un’ulteriore svalutazione della lira turca.

Gli oppositori politici di Erdoğan sembrano voler sfruttare la crisi economica per indebolire il presidente turco: Ozgur Ozel, presidente del CHP, ha infatti lanciato un appello per il boicottaggio di marchi, centri commerciali e canali televisivi ritenuti vicini al governo. Anche per questo motivo, il presidente ha accusato l’opposizione di stare volontariamente distruggendo l’economia turca e ha minacciato gravi conseguenze legali per chiunque partecipi a questa campagna.

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