Volodymyr Zelensky sta preparando una contromossa per scardinare le pressioni di Stati Uniti e Russia sul suo governo. Elezioni subito dopo la firma della tregua definitiva, magari già in estate. Secondo la rivista britannica The Economist la settimana scorsa si è tenuta una riunione a porte chiuse alla Vrkhovna rada, il parlamento ucraino, nella quale il presidente ha ha annunciato ai suoi fedelissimi l’intenzione di chiamare il Paese alle urne in tempi brevi, forse addirittura a luglio.
La decisione del capo di stato arriverebbe in un momento in cui sia gli Usa sia la Russia continuano a porre il problema della sua permanenza in carica. Per Mosca Zelensky è il leader di un governo illegittimo e neonazista che va rovesciato. Per Donald Trump e la sua cerchia il presidente ucraino gode ormai solo del 4% di consensi nel suo Paese e il tycoon si è spinto fino a definirlo un «comico e dittatore mediocre». Entrambi concordano con il fatto che una delle condizioni per una pace permanente sia l’indizione di nuove elezioni. Zelensky avrebbe dunque deciso di sparigliare le carte e di accelerare sui tempi della chiamata alle urne per evitare che l’opposizione interna riesca a riorganizzarsi e che eventuali ingerenze internazionali riescano a esautorarlo.
Tuttavia, il percorso che potrebbe portare alla firma di un cessate il fuoco permanente tra Russia e Ucraina è ancora lungo e di certo non è immune a colpi di scena e mutamenti improvvisi. All’inizio di questa settimana, ad esempio, Donald Trump si è detto «molto arrabbiato» con Vladimir Putin per le recenti dichiarazioni del Cremlino sull’illegittimità di Zelensky. L’obiettivo di Putin e dei suoi fedelissimi era evidente: screditare a tal punto l’immagine di Zelensky da renderlo un interlocutore non credibile per gli Usa e un politico senza appoggio in parlamento. Inoltre, questa strategia mediatica permette al Cremlino di continuare a prendere tempo mentre le sue truppe tentano di avanzare il più possibile sul campo.
Nelle regioni di frontiera nord-orientali di Kharkiv e Sumy, e lungo i fronti già aperti del Donetsk e di Zaporizhzhia, le truppe russe si starebbero preparando a lanciare una nuova offensiva in forze. Putin ha dato mandato ai suoi generali di occupare più terreno possibile in vista dei negoziati ufficiali e, inoltre, continuare con i bombardamenti e l’avanzata via terra contribuisce significativamente ad aumentare le difficoltà della popolazione e l’insofferenza dell’opinione pubblica. La Russia spera così di contribuire ad allargare un fronte interno che chieda il cessate il fuoco anche senza condizioni e le dimissioni di Zelensky. Ma il motivo profondo di questa la mossa non è sfuggita a Donald Trump che ha subito minacciato Mosca di introdurre dazi secondari, ovvero imposte doganali non solo sui prodotti importati direttamente dalla Russia, ma anche sui prodotti di Paesi terzi che utilizzano parti o materie prime russe. Si tratterebbe di una sorta di embargo commerciale globale all’export russo e l’avvertimento non può aver lasciato Mosca indifferente, seppure dal Cremlino non si sono espressi sull’argomento.
La tensione potrebbe anche risolversi in una bolla di sapone, ma resta il fatto che martedì il senatore repubblicano Lindsey Graham e il democratico Richard Blumenthal hanno proposto al Congresso Usa un disegno di legge che prevede l’imposizione di dazi del 500% sui beni importati dai Paesi che acquistano petrolio, gas, uranio e altri prodotti russi. Il ddl probabilmente non passerà, ma dice molto sul clima di sfiducia di una parte dell’establishment statunitense contro la Russia. Secondo Trump il Cremlino è al corrente della sua insofferenza e i due presidenti in settimana dovrebbero sentirsi nuovamente al telefono. Nell’attesa della chiamata, mercoledì sera è arrivato a Washington Kirill Dimitriev, capo del fondo sovrano russo Rdif e inviato speciale di Putin per gli investimenti esteri. Si tratta della prima visita di un alto funzionario russo negli Usa dall’inizio della guerra in Europa dell’est. Dimitriev è volato oltreoceano per incontrare Steve Witkoff, l’inviato di Trump per il Medioriente che ha assunto un ruolo chiave nella trattativa con Mosca sia per l’allontanamento di Keith Kellogg (sgradito al Cremlino) sia per l’impostazione che i due presidenti hanno voluto dare ai colloqui. «Non solo Ucraina ma accordi economici, scambi commerciali, terre rare, idrocarburi e metalli preziosi, un terreno vastissimo nel quale Dimitriev e Witkoff sono i due squali che i rispettivi leader hanno investito della massima autorità».
Dunque Zelensky sta provando a prevedere le mosse delle due potenze e la prova di questa volontà si avrà il 5 maggio, giorno in cui la Verkhovna rada, il parlamento ucraino, sarà chiamata a votare sul prolungamento della legge marziale, che scade l’8 dello stesso mese. Se Zelensky non chiederà il rinnovo della legge marziale, le elezioni si potrebbero tenere già dopo 60 giorni, termine minimo stabilito dalle leggi di Kiev per permettere la campagna elettorale. Secondo Oleksiy Koshel, direttore dell’Ong Comitato degli elettori ucraini, intervistato a Radio Europa: «Negli ultimi mesi ci sono stati preparativi reali per le elezioni. Ci sono molti segnali di attività nei quartier generali dell’organizzazione delle elezioni, circolano pubblicità senza clamori, sono distribuiti milioni di bollettini speciali sui leader di partito ». La campagna elettorale «di fatto è già iniziata», ha precisato Koshel, «ma senza una tregua le elezioni non ci potranno fare. E molti di noi non credono che Vladimir Putin manterrà la sua parola».
Sabato Angieri