La salute mentale dei giornalisti è un problema di tutta la società

La salute mentale dei giornalisti è un problema di tutta la società

Claudio Capellini per Irpimedia
Claudio Capellini per Irpimedia

Alice Facchini, giornalista freelance, era incinta di sette mesi quando, ad Atene per un seminario, conosce un gruppo di reporter indipendenti che aveva svolto un’indagine sulla salute mentale dei giornalisti in Grecia. «Una ricerca di questo tipo sui freelance in Italia non l’aveva mai fatta nessuno. Mi sembrava necessaria». Secondo un’indagine del 2020 dell’AgCom, i giornalisti non contrattualizzati, in Italia, rappresentano il 39% del totale. «È stata un’occasione per riflettere anche su di me» continua Facchini «Ero in avanzato stato di gravidanza e stavo ancora lavorando. Forse anch’io avevo un problema a bilanciare vita personale e lavorativa. Da una riflessione privata è scaturita la voglia di fare questa indagine, anche perché vedevo che i miei problemi erano condivisi da altri colleghi. Con IrpiMedia abbiamo deciso allora di lanciare il questionario per raccogliere testimonianze e dati».
Dalla ricerca, durata nove mesi, è nata “Come ti senti?”, la prima indagine sulla salute mentale dei giornalisti freelance in Italia. Il quadro che ne emerge è allarmante: afflitti da stress, ansia, depressione, senso di solitudine, insonnia, burnout e attacchi di panico, le centinaia di professionisti che hanno raccontato gli effetti del mestiere sulla salute mentale sono in maggioranza donne (55%) tra i 18 e i 45 anni (77%) che hanno denunciato di fare carriera con più difficoltà, vedersi negato il diritto alla maternità e lavorare nel pericolo delle molestie. Giovanna (nome di fantasia, ndr) racconta a IrpiMedia di aver subito battute sessiste e comportamenti poco appropriati da parte di un collega maschio durante una trasferta. «Il giornalista in questione era più inserito nell’ambiente rispetto a me e avrei potuto portare avanti una collaborazione proficua da un punto di vista professionale, ma per questi motivi ho preferito non continuare a lavorare insieme».
Il malessere psicologico dei freelance è sintomo delle cattive condizioni di lavoro in cui sono costretti. Dall’inchiesta emerge che i liberi professionisti sono precari e pagati poco, soffrono la continua reperibilità e i ritmi frenetici, oltre a dover convivere con la minaccia di querele, attacchi online e pericoli sul campo. Giacomo (nome di fantasia, ndr) racconta ad Alice Facchini di aver lasciato un lavoro a tempo indeterminato per inseguire il suo sogno, diventare giornalista. Schiacciato tra il caporedattore in attesa dell’articolo da pubblicare, le persone che non volevano che l’articolo uscisse, e l’affitto e le bollette da pagare, raggiunge il punto di non ritorno quando intervista alcuni braccianti che lavoravano per tre euro l’ora, mentre lui ne guadagnava zero, ma – si rende conto — nessuno scriveva inchieste su situazioni come la sua. Con la pandemia non riesce a continuare e si licenzia: «Investigavo sui movimenti di estrema destra, la mafia nigeriana, i diritti dei lavoratori sfruttati» spiega «Più volte mi sono trovato in situazioni pericolose, sono stato minacciato. A un certo punto però ho dovuto smettere perché non avevo nessuno alle spalle: non avevo soldi e non potevo permettermi di essere querelato. Il direttore mi ha detto chiaramente: “Fai come vuoi, ma sappi che non abbiamo avvocati per aiutarti”».
Nell’inchiesta sono molti i freelance che denunciano il problema delle querele temerarie, ovvero le denunce sporte per intimidire i giornalisti e che hanno come scopo quello di silenziare i professionisti che non possono contare su sistemi di protezione economici e legali.
Oltre al timore delle denunce, l’altro grande tema che emerge dall’inchiesta di Facchini è la precarietà lavorativa e la povertà dei freelance che, secondo i dati di AgCom, nel 75% dei casi non dichiarano più di 5000 euro l’anno. Sonia (nome di fantasia, ndr) ha 32 anni e racconta a IrpiMedia di non riuscire a mantenersi con il solo lavoro di giornalista, per cui è costretta a fare due lavori: «Nell’ambiente, però, chi sta sulla notizia è considerato di più rispetto a chi lavora anche in un ufficio stampa o nel campo della comunicazione, che viene visto come un giornalista di serie B».
Anche l’ambiente di lavoro viene giudicato di impatto negativo, sia per via dell’ipercompetitività che per la pericolosità del lavoro sul campo, in particolare per fotogiornalisti e videomaker. Riferisce a Facchini un altro reporter: «Ero in Africa per un reportage e non mi è stato dato il budget per pagare un autista privato, così mi sono dovuto affidare a un mototaxi locale. Ho rischiato di essere rapito, per un pezzo da freelance pagato all’epoca 83 euro lordi. Con foto, ovviamente».
I rischi del mestiere sono recentemente tornati alla ribalta con la guerra in corso nella Striscia di Gaza. Secondo il Committee to Protect Journalists, in Palestina si contano 79 reporter uccisi, sedici feriti, tre dispersi, ventuno arrestati, oltre ad aggressioni e minacce. L’ultima vittima è il ventisettenne palestinese Hamza Dahdouh, figlio di Wael Dahdouh, capo dell’ufficio di Gaza di Al Jazeera. Il giornalista è diventato simbolo dell’offensiva israeliana contro i reporter per aver perso moglie, figli e altri parenti negli attacchi delle Forze di difesa israeliane.
«Può sembrare un tema di nicchia, ma le conseguenze della salute mentale dei giornalisti sono molto ampie e sono un problema di tutta la società» spiega Facchini «Il benessere mentale e le condizioni di lavoro dei giornalisti hanno una ricaduta sulla qualità dell’informazione cui ha accesso la cittadinanza e, quindi, sulla salute della democrazia».
L’inchiesta ha rilevato che in Italia mancano dei supporti istituzionalizzati per chi fa questo mestiere: né l’Ordine dei giornalisti né Casagit Salute (la cassa di assistenza sanitaria per i giornalisti) prevedono infatti uno sportello di supporto psicologico o percorsi di psicoterapia per i freelance.
Tuttavia, sembra che le cose stanno cambiando. Dal 2022, insieme al Consiglio nazione ordine psicologi (CNOP), Casagit sta conducendo un’indagine sulla salute mentale dello stress da lavoro correlato dei giornalisti contrattualizzati.
Tra gli stessi freelance sta emergendo l’esigenza di fare giornalismo in un altro modo, al di fuori delle logiche ipercompetitive delle redazioni tradizionali, come fanno ad esempio il Fada Collective, il Centro di Giornalismo Permanente  e Giornalistə Italianə. Nel 2022, su iniziativa di alcuni liberi professionisti, è nato Lo spioncino dei freelance, il primo database italiano dove vengono pubblicati i compensi offerti dalle redazioni. Da qualche mese, inoltre, è stato inaugurato Espulse, progetto che ha l’obiettivo di indagare il problema delle molestie sessuali e degli abusi di potere nel giornalismo italiano.
La soluzione ai problemi sollevati dall’inchiesta pubblicata su IrpiMedia passa attraverso più canali. Da diverso tempo la politica, l’Ordine dei giornalisti e i sindacati si stanno confrontando sull’equo compenso, ovvero i parametri per stabilire la giusta retribuzione dei freelance. «Ma non basta» spiega Facchini «Serve anche un sostegno psicologico istituzionalizzato e, come si fa già all’estero, workshop, gruppi di auto-aiuto e seminari che forniscano degli strumenti concreti ai giornalisti per prendersi cura della propria salute mentale».
Una questione non secondaria, insomma, perché come evidenziato da Reporters without borders nel suo ultimo rapporto, nel nostro Paese la garanzia della libertà di stampa passa, tra le altre cose, proprio attraverso il superamento della «crescente precarietà [che mina] pericolosamente il giornalismo, il suo dinamismo e la sua autonomia».

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