Mercoledì 7 dicembre scadrà il termine per la presentazione degli emendamenti alla manovra finanziaria, approvata dal Consiglio dei ministri il 21 novembre. Non solo: domenica 11 verranno esaminate le proposte segnalate e accolte dal governo e lunedì 12 il Ministero dell’Economia e delle Finanze inizierà a valutare gli emendamenti. Il termine immobile delle scadenze rimane quello del 31 dicembre: entro quella data, la manovra, che avrà già avuto il via libera da Bruxells, dovrà essere realtà.
Scripta manent.
L’Ue sia d’accordo
Il fattore più importante per il Governo è che l’Ue sia d’accordo, ma non è un semplice augurio, quanto piuttosto un aspettarsi che lo sia. Dalle parole del Ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare Francesco Lollobrigida, sembra trasparire questa intenzione. Due settimane fa, infatti, a margine del Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione di Coldiretti, ha avuto modo di dichiarare: «Penso che [la manovra] sarà accolta, come è giusto che venga accolto un provvedimento sano che tiene conto della necessità di non indebitare ulteriormente questa nazione».
In un discorso tra due interlocutori, la frase del ministro sarebbe da tradursi e da intendersi nell’espressione tipo: “vorrei che tu sia d’accordo con me”. Non male come inizio di dialogo con l’Ue che, proprio in questi giorni sta valutando la manovra da 35 miliardi del Governo Meloni. [1]
Il capitalismo italiano boccia la manovra
«La critica di Banca d’Italia nei confronti della legge di bilancio è legittima: penso [però] sarebbe stato opportuno utilizzare più moderazione. L’opinione è legittima ma non condivisibile: il governo prenderà appunti qualora vi siano delle osservazioni e prenderà provvedimenti conseguenti quando le condividerà. Se non le condivide: tamquam non essent [2]», tuona l’onorevole Mario Foti (FdI) ai microfoni di «Radio Radicale».
Le parole di Foti arrivano a seguito dell’audizione congiunta delle commissioni bilancio di Camera e Senato [5 dicembre 2022], in cui è intervenuto Fabrizio Balassone capo del Servizio Struttura economica della Banca d’Italia. Nella testimonianza depositata si legge: «Nel difficile contesto attuale, la politica di bilancio si trova a conciliare due esigenze: sostenere le famiglie e le imprese a fronte dello shock energetico e consolidare la fiducia di risparmiatori e investitori, creando così le premesse per la crescita dell’economia. Proseguire nel sentiero di riduzione del peso del debito pubblico è necessario per riportare le condizioni finanziarie del Paese in linea con quelle dei principali paesi dell’area euro. Anche per il livello già molto elevato del debito pubblico in rapporto al prodotto, gli spazi per una politica espansiva sono molto limitati. D’altro canto un impulso significativo alla crescita economica verrà dalla realizzazione degli interventi previsti dal PNRR, in parte senza costi immediati per il bilancio (per i trasferimenti), in parte con costi inferiori a quelli di mercato (per i prestiti)». E ancora: «le disposizioni in materia di pagamenti in contante e l’introduzione di alcuni istituti che riducono l’onere tributario per i contribuenti non in regola rischiano di entrare in contrasto con la spinta alla modernizzazione del Paese che anima il Piano nazionale di ripresa e resilienza e con l’esigenza di continuare a ridurre l’evasione fiscale».
Eppure la settimana scorsa, il Presidente della Repubblica (in visita a Berna) aveva avvertito: «Sull’evasione il Paese ha fatto molto, nel Pnrr impegno determinato: non ci sono segnali che si cambi».
Balassone, però, è stato tranchant.
Più privato e più mercato
Il medesimo messaggio è arrivato nel fine settimana da Confindustria, a seguito dell’accordo con le associazioni di industriali francesi e tedesche (Medef e Bdi): «Nello spirito iniziale il Pnrr doveva imprimere una spinta aggiuntiva a nuovi investimenti. Noi invece l’abbiamo soprattutto vòlto a finanziare opere già previste, perché ci difetta capacità di progettare e realizzarne di nuovi in pochi anni. Il Pnrr doveva nascere e attuarsi sulla base di un partenariato fra pubblico e privato, ma se n’è visto poco: è quasi tutto nella sfera del pubblico. Infine, il Pnrr doveva risolvere i colli di bottiglia amministrativi e ordinamentali che il Paese soffre da decenni. Ma le riforme non si stanno facendo, questa è la realtà». [3]
Insomma per Bonomi c’è bisogno di più privato e più mercato. Anche se, forse, il capo di Confindustria avrebbe utilizzato il termine competitività.
“Manovra? Colpisce i più deboli”
La legge di bilancio viene mal digerita anche dall’Unione inquilini: «Il governo prosegue la sua marcia contro i poveri e, dopo aver tolto il reddito di cittadinanza a 600.000 persone, ora toglie ogni contributo ad altrettante famiglie in disagio abitativo, alimentando la precarietà e creando le condizioni perfette per una ulteriore impennata di sfratti».
Secondo Walter de Cesaris, dell’Unione inquilini, troppe famiglie sono in condizione di morosità incolpevole: «secondo i dati pubblicati dall’Istat sulla povertà, in Italia ci sono oltre 900 mila famiglie in affitto in condizione di povertà assoluta (il 45% circa del totale delle famiglie in affitto, pur rappresentando il 20% del totale della popolazione residente). Su queste pendono, circa 150mila sfratti esecutivi, di cui il 90% per morosità».
Mancanza di: case popolari, canone sociale e caro affitti determinano la situazione fotografata dall’associazione di categoria: tagliando il contributo sociale per gli affitti, si cancellano «queste famiglie con un tratto di penna».
“Nei giardini che nessuno sa” (del Pnrr)
Tra analisi e interviste tonanti, dichiarazioni frenetiche e impulsive poi ritrattate (come successo a seguito di quanto detto da Fazzolari, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, nella giornata di lunedì dopo le audizioni [4]), il vero convitato di pietra è il Piano nazionale di ripresa e resilienza, meglio noto come Pnrr.
Per questo l’associazione Openpolis, insieme ad altre realtà, ha scritto alla Presidente Meloni e al Ministro Fitto (Affari europei, sud, coesione e attuazione del Pnrr) perché: «Allo stato attuale, dopo oltre un anno dall’approvazione del piano, le informazioni [riguardo i conti e i dati del Pnrr] non risultano ancora disponibili. Questo rappresenta un grosso problema non solo per i cittadini ma anche per gli stessi decisori che non hanno le informazioni necessarie per tenere sotto controllo lo stato di attuazione dei singoli progetti e del Pnrr nel suo complesso».
E non importa se ancora il «90% dei traguardi di spesa del Pnrr resta ancora da affrontare», come scrive Federico Fubini sul «Corriere della Sera» [martedì 6 novembre 2022], la Presidente Meloni ha chiesto uno sforzo per riattivare la cosiddetta “cabina di regia” sul Piano: «Occorre fare uno sforzo ulteriore, è importante che ognuno prenda il Pnrr come priorità. Questa cabina di regia sarà convocata in maniera cadenzata: dobbiamo monitorare costantemente i risultati».
Alcune missioni (alias voci di spesa) del piano hanno assorbito, infatti, più fondi del previsto e ora ci si trova di fronte ad un possibile smottamento della struttura ideata dai due esecutivi precedenti.
Cinematograficamente parlando, la situazione ricorda molto la scena del film “Bianca” in cui Nanni Moretti intima di non fare il tunnel nella partizione del Mont Blanc. Un “sistema” delicato che rischia di crollare su stesso.
Note:
[1] Uno spettro si aggira per Montecitorio: lo spettro dell’esercizio provvisorio – Atlante Editoriale (atlanteditoriale.com)
[2] Come se non esistessero.
[3] Federico Fubini, Bonomi: sul Pnrr ci siamo smarriti. Le riforme sono ferme, coinvolgere i privati, «Corriere della Sera», venerdì 2 dicembre 2022.
[4] «Bankitalia è partecipata da banche private: legittimamente ha una visione che reputa più opportuno non ci sia più utilizzo di denaro contante»