La variante femminista

La variante femminista

Se Elly Schlein segnerà effettivamente un cambiamento nella linea politica del Partito Democratico, solo il tempo lo dirà. Quello che già sappiamo, e che poco è stato sottolineato, è che Schlein è già portatrice di un femminismo di segno diverso da quello tradizionalmente affine al Partito Democratico.

 

Non ci hanno visto arrivare. Citando Lisa Levenstein, femminista statunitense, Elly Schlein ha aperto la sua prima conferenza stampa da neo-eletta segretaria del Partito Democratico. E in effetti c’è una cosa che in pochi qualche anno fa avrebbero scommesso potesse accadere. E cioè che sarebbero state due donne a trovarsi alla guida rispettivamente del maggiore partito di governo e di opposizione in un momento così delicato e complesso della storia internazionale e nazionale.

Si tratta di una svolta epocale che non è possibile minimizzare, soprattutto per un Paese come l’Italia. Secondo i risultati di un’indagine svolta dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE) e pubblicata dalla Camera dei Deputati nel marzo 2022, la partecipazione delle donne italiane alla vita istituzionale si situa storicamente al di sotto del 30%, con una inversione di tendenza verificatasi solo nel 2018 quando le donne elette sono aumentate, attestando la propria presenza, in Camera e Senato, al 35%. Eppure no, fino a poco fa “non abbiamo visto arrivare” né Meloni né Schlein (soprattutto la seconda), non nelle posizioni di potere che ricoprono oggi.

 

Due donne differenti, certo. Giorgia Meloni rivendica il suo esser donna secondo i valori propri della destra che rappresenta (è una donna-madre, donna-cristiana, mai solo una donna), e al dato biologico che rivendica ci tiene quel che basta per dichiarare di rivolgersi a lei al maschile.

Elly Schlein si colloca invece in una posizione diametralmente opposta alla destra, ma anche lontana dalla stessa base del Partito Democratico. Classe 1985, lesbica, in pochi avrebbero scommesso sulla sua elezione a prima segretaria donna del Partito Democratico. Definita dal primo momento outsider, quasi nessuno ha compreso in cosa consiste la sua estraneità più importante e meno visibile. Si tratta della qualità del suo femminismo, legato alle istanze del cosiddetto transfemminismo sorto nell’ultimo decennio, di ispirazione statunitense. Non è una novità di poco conto per le donne del PD, tradizionalmente affini al cosiddetto femminismo della differenza, che nelle stagioni di lotta degli anni Sessanta e Settanta diede nutrimento alle fondamentali conquiste politiche e sociali per la salute riproduttiva e la libertà delle donne. Nel pensiero della differenza si situa al centro il corpo sessuato della donna, non l’identità di genere liberamente autodeterminata rivendicata dal transfemminismo; e contro lo sfruttamento del corpo femminile, il femminismo della differenza ha determinato la priorità delle sue battaglie (lotta allo sfruttamento della prostituzione, salute riproduttiva delle donne, centralità della relazione materna, eccetera).

Schlein porta quindi nel PD le istanze di quel transfemminismo che in Italia ha trovato la sua affermazione in “Non una di meno” e che, su alcuni temi, come la posizione sul cosiddetto sex work, ha polarizzato il dibattito femminista e non solo. Nella mozione Schlein, in effetti, la neosegretaria ha scelto di tenere insieme le due tradizioni femministe, a tratti inconciliabili. Nel suo programma troviamo così, oltre alla difesa dell’aborto e la lotta per l’accesso gratuito alla pillola Ru486, anche la promessa di una legge contro l’omobilesbotransfobia (come l’affossato ddl Zan già non pienamente condiviso da una parte della sinistra) e il tema del diritto alla sessualità per le persone disabili, argomento spinoso all’interno del dibattito femminista, in quanto strettamente connesso alla prostituzione/sex work.

Ma c’è un evento particolarmente ostico e controverso che compare nel suo curriculum. Il 12 dicembre 2018, in quanto europarlamentare, è tra i quattordici deputati che, trasversalmente alle forze politiche, votano contro l’emendamento 48bis presentato dallo slovacco Miroslav Mikolášik (Ppe) per la messa al bando della “gestazione per altri”, in cui veniva condannata «[la] pratica della surrogazione, che compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce; […] che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l’uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei paesi in via di sviluppo […]». Schlein non si è più espressa in merito, ma è chiaro che la sua sensibilità è lontana dalla tradizione del femminismo della differenza.

Paradossalmente quindi (e mentre scrivo sta già accadendo) in un ipotetico confronto tra Meloni e Schlein, Meloni appare molto più vicina alla sensibilità femminista della base del PD rispetto alla neosegretaria, laddove la prima rivendica la superiorità del dato biologico alla base dell’identità sessuale, dando vita così a inaspettate affinità come quella con la presidente di Arcilesbica, Maria Cristina Gramolini.

 

Quello che sembra al momento un dibattito secondario, potrebbe in realtà rappresentare per Elly Schlein una sfida dirimente: riuscire a togliere alla destra l’uso delle questioni sottese al dato biologico, maternità e aborto su tutte, impiegate strumentalmente da Meloni per attuare politiche reazionarie contro le donne stesse.

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