Dopo 13 anni i sindacati dell’automotive indicono uno sciopero di tutta la categoria: dipendenti di Stellantis, lavoratori dell’indotto, della componentistica, delle società di servizi. La mobilitazione è prevista per il 18 ottobre.
Anche nel 2011, anno dell’ultimo sciopero generale, si chiedeva a FIAT/FCA/Stellantis di salvaguardare posti di lavoro, ma ora la situazione è peggiorata e l’industria dell’auto deve vedersela con nuove sfide e molti problemi: il Green Deal europeo che chiede la transizione alla mobilità elettrica in tempi più brevi di quelli possibili per le fabbriche italiane, la concorrenza cinese, la crisi dell’indotto e della componentistica, sono solo alcune delle lagnanze che Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, ha espresso all’audizione dell’11 ottobre davanti alle Commissioni Attività produttive della Camera e Industria del Senato.
Una sequela di recriminazioni culminata nella richiesta di aiuti, ulteriori fondi per risanare l’automotive italiana. Una pretesa impossibile sia secondo gli esponenti della maggioranza che dell’opposizione. Non si può dire che di fondi pubblici l’azienda non ne abbia avuti, dal momento che l’industria dell’auto è un settore che sta particolarmente a cuore al nostro paese. Proprio questo ha spinto il senatore Carlo Calenda di Azione a chiedere spiegazioni dei 6 miliardi di garanzia pubblica ottenuti nel 2021.
La passione italiana dell’automotive viene ora travolta da una crisi implacabile: i 40.000 dipendenti di Stellantis che lavorano in Italia sono diminuiti di 11.500 unità negli ultimi 10 anni, più di 3000 sono in fase di licenziamento in questi mesi negli stabilimenti di Melfi, Cassino, Pomigliano.
«A Cassino c’è la stessa aria di tutti gli stabilimenti Stellantis in Italia», dice sconsolato all’Atlante Luigi Sorge, RSA della Fiom-Cgil presso lo stabilimento del frusinate. «Qui dal primo ottobre i lavoratori sono tutti (2.500) in contratto di solidarietà (Cds). Ci sono molti di noi che lavorano tre giorni al mese e il resto dei giorni (e delle ore) è occupato dalla cassa integrazione». Taglio del salario per tutti ma non per i dirigenti. Lo stesso Tavares ha visto aumentare la propria remunerazione del 55% in due anni. «A luglio hanno preso bonus di decine di migliaia di euro per obiettivi raggiunti sull’efficienza», tuona, ma nelle sue parole non c’è meraviglia: «che si chiamino Stellantis, che si chiami Fiat o Fca, i padroni e il capitalismo hanno questo volto».
Un capitalismo peraltro nemmeno più in grado di fare il suo dovere fino in fondo. Solo dall’inizio del 2024 si è avuto un calo della produzione del -31% con minaccia di chiudere l’anno sotto i 387.000 veicoli (a fronte di una promessa, che risale ai tempi della fusione FCA-PSA, di 8,7 milioni di automobili l’anno).
Si è puntato tutto sull’auto di lusso, di fascia alta, ma è una strategia che non ha pagato. Si è tradito, in un certo senso così il mercato italiano, quello delle auto familiari, a prezzi contenuti, per privilegiare un export indiscriminato verso il mercato del lusso.
«Il punto è che noi non abbiamo macchine nuove da costruire», continua Sorge. Gli annunci roboanti di nuove vetture, le promesse del ritorno ad una produzione costante, le rassicurazioni della proprietà attorno al ruolo strategico dell’Italia nella realizzazione di macchine Fiat/Stellantis valgono il tempo di un post su X o Instagram. La realtà dei fatti è ben altra: «Stiamo lavorando ancora sul piano industriale della presidenza Marchionne e in produzione abbiamo: Giulia, Stelvio e Grecale». Macchine costose, per poche tasche, i cui costi si aggirano tra i 50mila euro e i 140mila euro. «Entro il 2025 dovrebbero partire le produzioni della Stelvio elettrica», ma il condizionale parrebbe essere d’obbligo, dato che la produzione ha i suoi tempi.
Le ultime assunzioni (pre Covid) sono state realizzate tramite agenzie di somministrazione (di cui una piccola parte stabilizzata con contratto da parte dell’azienda) e senza contare gli incentivi alle dimissioni incoraggiati dall’azienda. «Trent’anni fa – ricorda amaramente Sorge – quando entrai in questo stabilimento eravamo più di 7.500 lavoratori. Nel 2010 eravamo 5.500 circa e oggi si parla di ulteriori esuberi fino a 800, togliendo dal calcolo l’indotto. Attraverso la produzione delle Tipo e delle Tempra siamo riusciti a toccare la cifra vertiginosa di 1.300 vetture al giorno, lavorando su tre turni». Oggi quel mondo appare ancor più lontano di quanto abbia solcato l’aratro del tempo.
Come può, uno stabilimento in queste condizioni, affrontare la questione della transizione declamata, voluta e imposta dall’Unione Europea? «Non abbiamo un piano industriale, questa è la verità. Stellantis vorrebbe continuare a trarre profitto dalla riorganizzazione e dalla razionalizzazione degli stabilimenti: Tavares, che concluderà il suo mandato nel 2026, doveva garantire la proprietà, gli azionisti e, ovviamente, lui stesso non producendo vetture, ma efficientando». E efficienza fa rima con razionalizzazione, tagli: è l’austerity industriale.
Un po’ il senso, anche se espresso dal punto di vista della dirigenza, del discorso di Tavares in Commissione: amministratori e azienda “schiacciati” dal quadro regolatorio europeo, dalle auto cinesi che costano meno e dove la transizione all’elettrico procede spedita, dalle richieste dei lavoratori e che non può far altro che contare sulle istituzioni e licenziare, oltre a tenere gli stabilimenti al minimo della produzione, tradendo – ancora una volta – la vocazione italiana dell’industria automobilistica, la produzione di massa.
A confermare la lenta dismissione è stata la cessione, da parte di Stellantis, di Comau, società di automazione industriale e robotica a un fondo statunitense, cessione autorizzata con prescrizioni dal governo Meloni tramite golden power.
Gli stabilimenti ad oggi sono tenuti al minimo perché una parte della produzione è delocalizzata e centinaia di veicoli vengono prodotti in Polonia. La gigafactory di Termoli, costruita per la transizione verso l’elettrico, è al palo, e si è giocata così i fondi del PNRR che pure le erano stati dedicati, con rischi per tutti i lavoratori del comparto auto e batterie. La transizione ai veicoli elettrici non cambierà la situazione di Cassino e dei lavoratori Stellantis dal momento che, facendo seguito anche alla critica al settore automotive contenuta nel report sulla competitività europea di Mario Draghi, “l’Europa ha dato sì obiettivi di decarbonizzazione, ma senza gli incentivi a modificare la catena di fornitura”. I risultati, ci dice Sorge, sono che «la produzione non sarà immediata e ci saranno ulteriori tagli al personale stimati del 30-40% dal momento che il motore e la meccanica relativa sparirà».
Quali sono, quindi, le richieste dei sindacati?
«Noi siamo a favore della transizione ma, a fronte di un ulteriore calo della manodopera, chiediamo la riduzione dell’orario di lavoro a 30 ore pagate 40, redistribuendo il lavoro che c’è. Non vogliamo la cassa integrazione, non chiediamo la cassa integrazione: vogliamo il lavoro e salari dignitosi che ci consentano di vivere, non di sopravvivere».
Sullo sciopero, sebbene convocato unitariamente dalle federazioni dei metalmeccanici dei sindacati confederali (Fiom-Cgil, Fim-Cisl, Uilm-Uil), Sorge non si sbilancia, ma auspica la più ampia partecipazione dei lavoratori: «Venerdì 18 potrebbe anche succedere che la Fca dichiari il senza lavoro». Il giorno prima dello sciopero la proprietà potrebbe comunicare ai lavoratori che il giorno successivo potrebbe essere un ‘senza lavoro’: «È già successo», ammette Sorge, «la settimana scorsa, alle 8:00 di mattina, la Fiat ha mandato via degli operai perché non c’erano dei materiali che sarebbero serviti per la produzione giornaliera». Ma il delegato è speranzoso: «È solo l’inizio. Difenderemo a qualunque costo ogni singolo posto di lavoro. Vogliamo costruire una vertenza generale di Stellantis, automotive tutto e indotto; che oltrepassi i confini nazionali, investa i paesi europei (si veda la situazione della Volkswagen); che realizzi un fronte unico operaio e faccia tornare i lavoratori protagonisti del proprio futuro».
E anche del futuro del paese. Il loro ruolo a tutela della manifattura italiana è prezioso: il crollo di Stellantis è anche la crisi di 15mila famiglie a Melfi, in Basilicata, e 6mila a Cassino, che vivono dell’azienda automobilistica e delle piccole e medie imprese dell’indotto.
Angela Galloro, Marco Piccinelli