In Islanda, quello che il Guardian ha definito come lo Stato più femminista del mondo, il 24 ottobre avrà luogo il secondo sciopero femminile della storia del paese. Niente lavoro, quindi. E niente fornelli, panni da lavare e stirare, bambini da accompagnare – niente lavoro di cura, insomma, immensa e invisibile fatica di Sisifo svolta principalmente dalle donne e su cui si regge ancora oggi la società contemporanea. Anche quella, avanzatissima, islandese.
Denominato “kvennafrí”, giorno libero, quello del 2023 segue, a distanza di quarantotto anni, il primo sciopero delle donne nella storia islandese del 1975. In occasione dell’anno internazionale della donna indetto dalle Nazioni Unite, il governo islandese capeggiato da Geir Hallgrímsson organizzò un incontro con sindacati, associazioni e collettivi, tra cui il collettivo femminista Redstockings (“calze rosse”) che lanciò uno sciopero dal lavoro di cura e da quello salariato. Il 90% delle donne islandesi si astenne da entrambi. Cambiando per sempre la storia dell’Islanda.
Secondo quanto riportato dal Guardian, le quaranta organizzazioni che quest’anno hanno messo a punto e indetto lo sciopero con lo slogan «Kallarðu þetta jafnrétti?» (La chiami uguaglianza?) prevedono la partecipazione di 25.000 donne agli eventi che si terranno al centro di Reykjavík, con una particolare presenza delle lavoratrici dell’industria della pesca e di insegnanti e infermiere. Presenzierà lo sciopero anche la prima ministra islandese in carica dal 2017 Katrín Jakobsdóttir del partito Sinistra – Movimento Verde che, ha dichiarato al quotidiano islandese mbl.is, aderendo all’iniziativa vuole “mostrare solidarietà alle donne islandesi”.
Scopo dello sciopero? Protestare contro la violenza sessuale e di genere e valorizzare il lavoro delle donne (ancora oggi meno retribuito di quello maschile) colmare il divario di retribuzione tra i sessi pubblicando i salari nelle professioni a prevalenza femminile e intervenire contro la violenza sessuale e di genere.
Sebbene il Paese sia infatti considerato un modello in materia di uguaglianza di genere, trovandosi così tra i primi stati della classifica stilata nell’anno 2023 dal World Economic Forum, in alcune professioni tradizionalmente svolte dalle donne come la pulizia e il caregiving (assistenza alla persona) le islandesi guadagnano il 21% in meno degli uomini, mentre più del 40% delle donne ha subito violenza sessuale o di genere.
Freyja Steingrímsdóttir, una delle organizzatrici dello sciopero e direttrice della comunicazione della BSRB, la Federazione islandese dei lavoratori pubblici, ha dichiarato ancora al Guardian: «Si parla di noi, si parla dell’Islanda come se fosse un paradiso dell’uguaglianza. Ma un paradiso dell’uguaglianza non dovrebbe avere un divario salariale del 21% e il 40% delle donne che subiscono violenza sessuale o di genere nel corso della loro vita. Non è questo l’obiettivo delle donne di tutto il mondo».
Essere considerati uno dei paesi in cui le donne vivono meno disparità al mondo comporta delle responsabilità, insomma. Accontentarsi non è un’opzione. «La violenza contro le donne e il lavoro sottovalutato delle donne nel mercato del lavoro sono due facce della stessa medaglia e hanno un effetto l’uno sull’altro», ha affermato Drífa Snædal, che fa parte del comitato esecutivo dello sciopero delle donne ed è portavoce di Stígamót, un centro di consulenza ed educazione sulla violenza sessuale, evidenziando come l’aumento dell’accesso alla pornografia tra i bambini ha contribuito alla violenza contro le donne.
Con “paradosso nordico” si definisce il fenomeno dei paesi del Nord Europa dove, a fronte della presenza di una avanzatissima legislazione sul lavoro in materia di parità tra i sessi, la violenza sulle donne aumenta. Probabilmente, come ipotizzato da uno studio di Enrique Gracia dell’Università spagnola di Valencia e Juan Merlo dell’Università svedese di Lund, si tratta di un fenomeno che ha a che fare con una violenza “vendicativa” agita dagli uomini sulle donne a causa della crisi del ruolo maschile innescata da una parità di trattamento dei sessi sul luogo di lavoro. Ma non solo. In Islanda, ad esempio, non solo la prostituzione è illegale, ma è stato il primo paese al mondo nel 2010 a bandire gli stripclub. Ai tempi, Kolbrún Halldórsdóttir, la prima politica islandese a proporre il divieto, spiegò la proposta affermando che «non è accettabile che una donna o degli esseri umani in generale siano considerate alla stregua di un prodotto da vendere».
Nel paese dove le donne hanno conquistato il diritto di voto nel 1915, nel 1922 hanno eletto la prima donna in Parlamento e nel 1980 una donna, Vigdís Finnbogadóttir, è diventata per la prima volta Presidente della Repubblica riconfermata per tre mandati consecutivi, è probabile che, anche questa volta, lo sciopero delle donne islandesi farà molto rumore.
Serena Ganzarolli