“Diritto a non abortire”, “Piena applicazione della legge 194”, “superamento delle cause dell’aborto”. Con queste parole Giorgia Meloni, dal suo insediamento, ha espresso la sua posizione in merito alla legge 194/1978 che regolamenta l’interruzione di gravidanza, facendo intuire che con il suo governo qualcosa sarebbe cambiato. In effetti il 15 aprile scorso, con un emendamento al decreto fondi del Pnrr, la Camera ha approvato con 185 voti favorevoli, 115 contrari e quattro astenuti le misure che consentono di accedere ai consultori alle associazioni anti-abortiste. Si tratta di realtà come l’associazione Pro Vita e Famiglia con cui Fratelli d’Italia, insieme ad altri partiti della destra, ha siglato nel 2022 un documento in cui, tra le tante cose, a essere condannato è proprio l’aborto.
«È in corso un attacco pesante alla libertà delle donne di scegliere sul proprio corpo», ha commentato la segretaria del PD Elly Schlein. Durante la votazione alla Camera, il PD ha organizzato un sit-in di protesta. «La norma […] è stata inserita senza dibattito nel brevissimo iter […] con il solo scopo di fare entrare nei consultori associazioni anti-abortiste che possono incidere psicologicamente, in modo inaccettabile e violento, sulla volontà delle donne che si confrontano con la difficilissima scelta dell’interruzione di gravidanza», hanno denunciato le deputate democratiche Sara Ferrari e Chiara Braga presenti al sit-in.
Il gruppo femminista Non una di meno ricorda che «i consultori sono strutture sociosanitarie gratuite e laiche», mentre da Roma la Casa internazionale delle donne promette che «Sarà mobilitazione generale».
Anche i 5 Stelle puntano il dito contro la maggioranza, sottolineando: «Viviamo in un Paese in cui il diritto all’interruzione di gravidanza è già sotto attacco, in cui è già difficile accedere alla pratica, in cui le donne devono viaggiare fuori provincia o addirittura fuori regione per riuscire ad abortire». Attualmente, infatti, secondo gli ultimi dati disponibili del Ministero della Salute (aggiornati al 2021), il fenomeno della cosiddetta “obiezione di coscienza” tra ginecologi, anestesisti e personale non medico riguarderebbe una media di 63,3% di professionisti.
“Mai dati”, una indagine della bioeticista Chiara Lalli e della giornalista Sonia Montegiove pubblicata dall’Associazione Luca Coscioni, evidenzia come in ben 22 ospedali e quattro consultori italiani la percentuale di obiettori arrivi al 100%. Le regioni in cui è più difficile abortire sono Molise, Puglia e Marche. E per le donne che vogliono optare per l’aborto farmacologico, disponibile in Italia dal 2009 (dal 1988 in Francia e dal 1990 in Gran Bretagna), le cose non sono più semplici. Dal 2020 la pillola Ru486 (mifepristone e misoprostolo) può essere somministrata senza necessità di ricovero ospedaliero, ma contro la decisione del Ministero della Salute si sono schierate le giunte regionali di destra: in Abruzzo, ad esempio, la giunta Marsilio (FdI) ha inviato una circolare affinché l’interruzione di gravidanza farmacologica «sia effettuata preferibilmente in ambito ospedaliero e non presso i consultori familiari».
La stretta del governo Meloni avviene a un mese di distanza dalla decisione del Parlamento francese di inserire il diritto di aborto nella sua Costituzione (articolo 34), votato con una maggioranza schiacciante di 780 voti a favore e 70 contrari. Soprattutto, il governo di Fratelli d’Italia manda un messaggio inequivocabile al Parlamento europeo, che pochi giorni fa ha approvato a larga maggioranza (336 voti favorevoli) la proposta dell’intergruppo Renew Europe per includere l’interruzione di gravidanza tra i diritti dell’Unione attraverso la modifica dell’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali, inteso come “diritto all’autonomia decisionale sul proprio corpo, all’accesso libero, informato, completo e universale alla salute sessuale e riproduttiva e a tutti i servizi sanitari correlati senza discriminazioni“.
Anche per via della distanza siderale che separa adesso l’Italia dalla direzione presa dall’Unione europea, la notizia del voto della maggioranza italiana è rimbalzata sulle prime pagine dei più importanti quotidiani internazionali. Dal Guardian al Washington Post passando per El Paìs e CNN, i giornali hanno messo in evidenza come nel nostro Paese sia già molto difficile accedere al diritto all’aborto, in futuro ancora di più. «È la strategia dell’estrema destra: minacciare per togliere diritti» ha commentato da Madrid la ministra per l’Uguaglianza, Ana Redondo, scagliandosi contro il voto italiano.
Così, mentre il parlamento polacco guidato da Donald Tusk si prepara a superare il contestatissimo divieto di interrompere la gravidanza posto nel 2020, l’Italia rischia di essere il primo paese europeo in cui si avveri l’incubo statunitense iniziato nel giugno 2022, quando la Corte suprema federale ha annullato la sentenza Roe vs Wade. Da allora, almeno una donna su 3 non ha più accesso al diritto all’aborto.
Serena Ganzarolli