Licorice Pizza, uscito nelle sale cinematografiche italiane il 17 marzo, ha segnato il ritorno alla regia di Paul Thomas Anderson dopo 4 anni dal suo ultimo film, Il filo nascosto. L’ultima opera del regista statunitense non ha tradito le aspettative della critica che lo ha accolto come il suo ennesimo capolavoro ma ha diviso e polarizzato il giudizio del pubblico. Dal punto di vista tecnico il film è ineccepibile. I frequenti piani sequenza, alternati ad un sapiente uso di stacchi e primi piani, caratterizzano l’opera sin dalla prima sequenza. l’abilità Anderson si nota anche nella scelta di posizionare la macchina da presa in punti particolari e inconsueti per riprendere alcune delle scene più significative; ad esempio, nella scena in cui i due protagonisti sono stesi su un letto ad acqua e la macchina da presa, invece di stare esclusivamente in posizione zenitale, viene talvolta posizionata sotto al letto. In questo modo, grazie alla semitrasparenza data dal materiale, le sagome dei corpi restano visibili e i movimenti lenti dei personaggi acquisiscono ancora più valore.
Inoltre, in Licorice Pizza Anderson viene anche accreditato, per la prima volta in un lungometraggio, come direttore della fotografia e ciò non fa altro che rendere ancora più evidente la visione artistica totale del cineasta californiano (che in questo film ricopre dunque i ruoli di produttore, sceneggiatore, regista e direttore della fotografia). Tornando al giudizio del pubblico, le perplessità di alcuni spettatori non nascono certo dalla messa in scena o dalla regia, bensì dalla storia e dai personaggi che la trainano. Io stesso, ascoltando le classiche discussioni tra spettatori che si apprestano ad uscire dalla sala, ho avuto modo di assistere a una discussione nella quale alcuni il film veniva definito un’opera “senza capo né coda” o ancora come “un brutto Woody Allen”. Per discutere e analizzare il perché di queste sentenze e del malcontento di una certa parte del pubblico occorre brevemente descrivere la trama e i personaggi di Licorice Pizza.
Gary (interpretato da Cooper Hoffman, figlio del compianto attore Philip Seymour Hoffman, il quale aveva già collaborato con Anderson in cinque film), un ragazzo di quindici anni, si innamora per caso di Alana (interpretata dalla cantante Alana Haim), più grande di lui di dieci anni, e cerca a sua volta di farla innamorare. Il fulcro della vicenda è riassumibile in queste poche parole e tutti gli avvenimenti messi in scena ruotano attorno all’improbabile storia d’amore che sembra non venire mai al dunque. A far da contorno a questa relazione/non relazione ci sono gli anni ‘70 (ben rappresentati dalle ottime scenografie, dai costumi e dalla colonna sonora curata dal chitarrista Johnny Greenwood, alla quinta collaborazione con il regista statunitense), le velleità imprenditoriali e artistiche di Gary, e le disavventure sentimentali di Alana. I protagonisti hanno caratteri antitetici e svolgono simbolicamente il ruolo di rappresentanti delle rispettive generazioni. Da una parte abbiamo l’adolescente incosciente e strafottente che crede di avere il mondo ai suoi piedi; dall’altra la giovane adulta, non ancora totalmente inserita nel mondo lavorativo e senza una relazione stabile, con tutte le insicurezze che ciò comporta, soprattutto nell’epoca in cui il film è ambientato. Come è lecito aspettarsi il personaggio che subisce i cambiamenti più profondi è il più maturo; nel corso del film, infatti, Alana attraversa diversi momenti complicati e si relaziona con le difficoltà di una vita adulta: il giudizio, i rapporti umani spesso caratterizzati dalla convenienza e dalla falsità e la mancanza di un lavoro appagante. Tuttavia, tutte le esperienze che la protagonista ha all’interno del film si concludono sempre nel medesimo modo: Alana torna da Gary e si lascia contagiare dalla sua leggerezza. Gary, infatti, è un personaggio che, a causa della giovane età, rimane simile dall’inizio alla fine della pellicola ma che, grazie all’abilità di Anderson di creare personaggi affascinanti, risulta tutt’altro che piatto.
La storia, narrata quasi come se fosse una favola urbana, non ha una scansione spazio-temporale precisa e chiara e ciò comporta due conseguenze in particolare: da una parte si ha la sensazione che ogni cosa che non avviene ai protagonisti ha luogo a due passi da loro; dall’altra non si ha la chiara sensazione dello scorrere del tempo. La storia narrata potrebbe essere accaduta nell’arco di settimane o in quello di mesi. Questa scelta acquisisce ancora più importanza quando si riflette sulla struttura episodica del film. Tali episodi non sono altro che la reiterazione di un unico concetto declinato in diversi modi e soprattutto visto da due prospettive diverse: il fallimento. Tuttavia, se a uno sguardo superficiale i vari episodi del film sembrano casuali e giustapposti tra loro senza una particolare scelta dietro, man mano che si va avanti si ha la sensazione che essi ci conducano ad un finale certamente non inaspettato ma al tempo stesso soddisfacente. È probabilmente a causa di questa particolare scelta rappresentativa che si crea una frattura nell’opinione del pubblico: l’assenza di una definita dimensione temporale e con essa l’assenza della proverbiale linea che dal punto A va al punto B lasciano una parte degli spettatori spiazzata. La struttura narrativa, del resto, può essere paragonata ad un cerchio in cui i punti cruciali si pongono all’inizio e alla fine del film e che, come nella figura geometrica, sembrano coincidere Se si legge Licorice Pizza, cercando di trovare una coerenza forzata si perde gran parte di ciò che Anderson ha voluto rappresentare con questa pellicola. Quest’opera è il trionfo dell’inconcludenza, della leggerezza e della spensieratezza e perciò si può affermare che anche stavolta Paul Thomas Anderson ha colto nel segno.
Sebastian Angieri