L’impegno di attivisti e civili per fermare l’occupazione genocida della Palestina da parte dello stato di Israele non passa solo da proteste, donazioni e petizioni. A volte basta un semplice impegno quotidiano, concertato e collaborativo, per danneggiare le multinazionali che contribuiscono al massacro. Questo è il progetto di BDS: nel mirino, tra gli altri, anche McDonald’s e Burger King.
Il lavoro di BDS
“Porre fine all’occupazione e la colonizzazione [di Israele] di tutte le terre arabe, smantellando la barriera. Riconoscere i diritti fondamentali dei cittadini arabi-palestinesi di Israele a piena uguaglianza. Rispettare, proteggere e promuovere i diritti dei rifugiati Palestinesi di tornare alle loro case e proprietà come stipulato nella Risoluzione ONU 1945”.
Questo il credo di BDS, abbreviazione di “Boycott, Divestment, Sanctions”. Un’organizzazione a base Palestinese volta a promuovere un impegno cittadino, quotidiano, per limitare l’impatto nocivo del genocidio israeliano. E la loro iniziativa più forte, in questo momento, è rivolta a numerosi brand multinazionali.
Ecco così che, sulla pagina Twitter del movimento, appaiono queste parole. “Molte compagnie sono complici della guerra genocida di Israele contro 2,3 milioni di palestinesi a Gaza. Tutti gli impegni pacifici popolari, inclusi il boicottaggio e il disinvestimento, per ritenere responsabili queste entità per il loro supporto dei crimini di Israele verso i palestinesi sono giustificati”.
Perché boicottare: le donazioni agli “eroi” di Israele
Segue una lista di enti da boicottare, le “compagnie più complici”. In alto i giganti alimentari: Domino’s Pizza, McDonald’s, Papa John’s, Pizza Hut e Burger King. In basso altre multinazionali, di altri tipi – Axa, Siemens, Puma, Carrefour, Ahava, HP e Sodastream – e un invito più generale a boicottare i prodotti israeliani.
L’obbiettivo di BDS è danneggiare direttamente le ditte più coinvolte, in un impegno concertato e basato su prove certe di complicità. Il caso più noto è quello di McDonald’s, la cui filiale israeliana ha donato pasti gratuiti ai militanti dell’IDF in un’iniziativa ben pubblicizzata su Instagram. Hanno inoltre offerto uno sconto del 50% a tutti i membri di tale corpo.
“Siamo andati fuori a rinforzare la nazione Israele”, è scritto invece sulla pagina ufficiale di Instagram della filiale israeliana di Burger King. “Le nostre squadre lavorano diligentemente per continuare a donare migliaia di pasti ai nostri eroi”.
Papa John’s e Domino’s Pizza non sono presenti in Italia, mentre l’unica sede di Taco Bell, a Vicenza, è a uso esclusivo dei militari della caserma Ederle. Tutti e tre questi marchi hanno compiuto donazioni ben pubblicizzate di prodotti alimentari all’IDF – e come loro anche Carrefour, catena di supermercati.
Nell’ambito informatico, nella lista del boicottaggio figurano le compagnie informatiche Siemens e HP (Hewlett Packard). Entrambe hanno messo a disposizione la loro tecnologia allo stato di Israele, assistendoli nel mappare il territorio e gli spostamenti dei palestinesi. Vi è poi la ditta di sportswear Puma, che sponsorizza le associazioni calcistiche dello stato di Israele, e la compagnia di cosmetici Ahava, a base israeliana. Infine vi sono la AXA, agenzia assicurativa che lavora assieme a banche israeliane, e la Sodastream, ditta specializzata in dispositivi per gasare l’acqua potabile. Un’altra compagnia israeliana, attivamente complice nello sfollamento dei cittadini palestinesi beduini del Naqab, i cui dipendenti palestinesi hanno spesso protestato contro le condizioni di lavoro discriminatorie.
I “big 3”: McDonald’s, Disney, Starbucks
Cercando sui social informazioni sul boicottaggio in corso si sentirà spesso parlare dei cosiddetti “Big 3”: la Walt Disney Company, in tutte le sue ramificazioni e compagnie sussidiarie, la multinazionale della caffetteria Starbucks e McDonalds, unica delle tre compagnie ad essere stata segnalata anche da BDS.
L’iniziativa contro Starbucks proviene da dipendenti. Il 18 ottobre la catena ha fatto causa alla sua unione, la Starbucks Workers United, perché o membri dell’organizzazione avevano pubblicato su Twitter un messaggio – poi cancellato – in solidarietà della Palestina invasa. Sul sito ufficiale di Starbucks è stato pubblicato lo stesso giorno un messaggio contrario, solidale con Israele.
Non è chiaro invece da chi provenga la richiesta di boicottaggio verso la Disney – incluse le sue divisioni sussidiarie, come la Marvel. Certo è però il loro sostegno verso Israele, alle cui organizzazioni locali la compagnia ha donato due milioni di dollari. In una lettera aperta sul sito www.disneycompany.com, tale decisione viene motivata come risposta a un “letale attacco terroristico di Hamas”.
La lista di BDS non è dunque esaustiva dei marchi complici della colonizzazione. Numerosi altri colossi industriali – come la compagnia estetica CeraVe e la PepsiCo – sostengono economicamente Israele. Concentrarsi su pochi marchi, in gruppo, rende più immediato l’impatto del boicottaggio. Come scrivono loro stessi, “BDS si concentra su un numero specifico dei bersagli più complici, allo scopo di massimizzare il nostro impatto”.
Flaminia Zacchilli